In questo numero

Puntosostenibile in classe A di Marco Moro
Cabaret climatico di Stefano Caserini e Sergio Castellari
Sequenze di memoria. Intervista a Loriano Macchiavelli di Anna Satolli
La scienza della sostenibilità. Conversazione con Gianfranco Bologna di Paola Fraschini
Conflitti "naturali"? di Diego Tavazzi
Efficienza energetica negli edifici esistenti, la vera cura per Kyoto di Giuliano Dall’Ò
Nei programmi elettorali ambiente fa rima con energia di Ilaria Di Bella

contatti

iscriviti

Conflitti "naturali"?
di Diego Tavazzi

Iraq, Tibet, Afghanistan, Sudan, Congo, Nigeria, Beluchistan, Marocco, le regioni di Aceh e Papua occidentale in Indonesia: questi paesi hanno in comune il fatto che sui loro territori si combattono conflitti armati causati, in parte, dalla volontà di appropriarsi delle risorse naturali. Petrolio, gas naturale, acqua, ma anche minerali rari: in forte rialzo ad esempio l'interesse per l'uranio, complice il ritorno dell'opzione nucleare in molti stati.
Emblematico è il caso del Tibet: al di là delle considerazioni di natura politica, la regione tibetana assicura alla Cina un enorme bacino di riserve idriche e minerarie. Tra i grandi fiumi dell'Asia, solo il Gange nasce infatti sul versante indiano dell'Himalaia. Tutti gli altri, Indo, Mekong, Yang Tze, Salween, Brahmaputra e Sutlej, hanno le loro sorgenti sull'altopiano tibetano. Per il "dragone cinese", il controllo di queste aree è fondamentale al fine di sostenere la propria crescita economica e soddisfare i sempre più forsennati bisogni energetici. Va ricordato infatti che entro il 2015 la Cina intende coprire almeno il 15% dei propri consumi con fonti rinnovabili, e tra queste vi è in primo piano l'idroelettrico. Ecco allora una delle spiegazioni dell'occupazione del Tibet, che procede da decenni nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale o addirittura con il suo plauso, come nel caso della ferrovia che collega Qinghai a Lhasa, celebrata da più parti come un trionfo dell'ingegneria applicata. Solo nelle ultime settimane le rivendicazioni dei tibetani hanno trovato spazio sui canali di informazione, complice l'avvicinarsi delle Olimpiadi.
Il caso del Tibet è solo l'ultimo di una serie di conflitti di intensità e durata variabili, e si inserisce in un panorama internazionale in cui crescono ogni giorno le turbolenze. In questa situazione di caos, le riserve si trasformano in bottino su cui mettere le mani a tutti i costi. E che costi: la guerra in Iraq, secondo le stime del premio Nobel per l'economia Joseph E. Stigliz, è costata a oggi almeno 3.000 miliardi di dollari. Ma le risorse naturali possono diventare anche uno strumento di pressione. In questo senso, la Russia di Putin e di Medvedev prefigura sviluppi inquietanti per quelle che sono state definite "democrazie a idrocarburi". L'ex Unione Sovietica è oggi in mano a un'oligarchia di uomini d'affari e politici che controllano immensi giacimenti di gas naturale, argomenti da far pesare sul tavolo delle relazioni internazionali. Procedendo in questa direzione le cose sono destinate solo a complicarsi: la crescita economica, per come è attualmente intesa, coincide con maggiori consumi che vanno a incidere su riserve sempre più scarse. Maggiori consumi, maggiori conflitti. E ad aggravare il tutto, il cambiamento climatico. Uno dei punti su cui concorda la maggior parte degli studiosi è che si verificheranno mutamenti anche profondi nella distribuzione e nella frequenza dei fenomeni atmosferici. Queste variazioni potrebbero costituire un ulteriore elemento di perturbazione in un sistema già in forte agitazione.
L'unica soluzione praticabile consiste nell'allentare la pressione sul capitale naturale in cui viviamo. Si tratta di un obiettivo evidentemente colossale, che richiede trasformazioni profonde nei modi di pensare, di immaginare, calcolare e produrre.
L'edizione 2008 dello State of the World è dedicata proprio alla definizione degli strumenti con cui modificare in senso sostenibile l'economia globale, correggendone i difetti e migliorandone i punti di forza. Come recita il sottotitolo del volume, si tratta di una serie di "innovazioni per un'economia sostenibile" che dovrebbero costituire la trama normativa e concettuale su cui operare la trasformazione economica. È un percorso difficile, ma che ha il vantaggio di poter essere declinato in una varietà infinita di modi, ognuno rispettoso della storia e delle specificità delle culture locali. È un percorso che si appoggia alle qualità migliori degli esseri umani: senso della comunità e rispetto per gli altri, intelligenza e creatività, capacità di innovare e audacia. Si può fare? State of the World 2008 contiene molte delle possibili risposte a questo fondamentale quesito.