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Efficienza energetica negli edifici esistenti, la vera cura per Kyoto di Giuliano Dall’Ò
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Efficienza energetica negli edifici esistenti, la vera cura per Kyoto
di Giuliano Dall’Ò*
Efficienza energetica come valore economico. È questo in fondo l’obiettivo
della certificazione: stimolare il mercato e orientare le scelte per innescare
un meccanismo virtuoso in grado di migliorare sempre di più questa qualità degli
edifici che non si vede ma ben si sente nei costi di gestione e nell’impatto
ambientale.
Il mercato fino a ora ha reagito bene. Forse anche perché l’interesse
c’è, le tecnologie per l’efficienza energetica sono disponibili
e non mancano le importanti agevolazioni economiche da sfruttare (detrazione
fiscale del 55%, conto energia per il fotovoltaico ecc.). Ma si potrebbe e
dovrebbe fare molto di più.
L’interesse a contenere i consumi è confermato dalle ricerche
di mercato. Quella promossa da AstraRicerche nell’ambito della campagna “Isolando”,
che si riferisce a un campione rappresentativo di italiani nella fascia d’età compresa
tra i 25 e i 64 anni, ci fornisce un dato interessante: l’81% ritiene
che l’isolamento termico sia un fattore importante da considerare. I
dati sono relativi a una indagine svolta nel settembre 2007; oggi, con il petrolio
a 111 dollari al barile, la percentuale molto probabilmente aumenterebbe. La
quota di italiani che prevede di intervenire in qualche modo per ridurre i
consumi dell’abitazione scende al 29,2%, circa un italiano su tre. Ma
quanto sanno gli italiani dell’attuale normativa? La risposta ci viene
dalla stessa indagine: una percentuale buona, corrispondente al 60,5%, è a
conoscenza del fatto che tutte le abitazioni nuove o ristrutturate debbano
rispettare determinati parametri energetici, ma poco meno della metà,
il 47,8%, sa delle detrazioni fiscali del 55%. Un italiano su quattro, per
la precisione il 24,4%, è a conoscenza del fatto che la certificazione
energetica esiste e sarà presto obbligatoria anche per vendere o acquistare
un singolo appartamento.
C’è dunque interesse a ridurre i consumi energetici anche se qualche
carenza di informazione rimane. Ma perché allora non si riesce a fare
di più? Dal 30 aprile 2007 al 29 febbraio 2008, le pratiche per la detrazione
fiscale del 55% sono poco più di 52.000 (dati
ufficiali al 30/02/08).
Non molte se le si rapporta all’intera
popolazione italiana e soprattutto al potenziale numero di interventi realizzabili.
Qualche elemento per comprendere il fenomeno ci viene sempre dall’indagine
di AstraRicerche. Il 30,4% degli intervistati non sa a chi rivolgersi, il 29,9%
ritiene che l’ottenimento delle detrazioni sia troppo complicato e il
22,3% non vuole avere fastidi in casa. Una percentuale praticamente inesistente,
solo lo 0,8%, pensa che gli incentivi siano troppo scarsi. La corretta conoscenza
del potenziale tecnico ed economico degli interventi di miglioramento dell’efficienza
energetica e la semplificazione delle procedure sono quindi gli obiettivi da
raggiungere per arrivare a una diffusione più rapida di quelle che solitamente
chiamiamo “buone pratiche”.
Come si sta muovendo il mercato immobiliare? La situazione attuale non è delle
migliori, nel senso che si avverte una situazione di stallo. Non incontrano
invece crisi gli “edifici di qualità”: una qualità che
può essere legata all’architettura dell’edificio, al pregio
delle finiture, alla sua ubicazione, ma una qualità che, proprio grazie
alla certificazione, può essere anche energetica. Molti costruttori,
ben consci del mutato interesse dei potenziali acquirenti, puntano proprio
su questo e così la classe energetica, la B ma in non pochi casi la
A, è l’elemento che può fare la differenza. Forse nel mercato
attuale non si riesce a spuntare un prezzo superiore per un edificio con classe
di efficienza alta, ma il solo fatto di riuscire a venderlo prima di un altro
per il costruttore è un vantaggio non trascurabile.
Gli edifici nuovi, con molta probabilità, non solo rispetteranno le
già restrittive normative introdotte dal Dlgs
311/2006 (e
anticipate di due anni in Regione Lombardia), ma avranno tendenzialmente prestazioni
energetiche superiori. Una tendenza che in altri paesi viene accelerata da
percorsi normativi a tappe forzate: nel Regno Unito, ad esempio, gli edifici
realizzati a partire dal 2014 dovranno essere “carbon neutral”.
E cosa dire dell’esistente? Il problema della qualità energetica
dello stock edilizio nazionale è stato oggetto di studi e ricerche che
però non ci hanno fornito dati sufficientemente attendibili. I dati
sulla certificazione energetica però possono dare delle informazioni
interessanti. Quelli disponibili riguardano al momento la sola regione che
ha attuato una legge sulla certificazione, e cioè la Lombardia. Nel
periodo dal 1° settembre 2007 al 28 febbraio 2008 le certificazioni pervenute
sono state all’incirca 26.000: si tratta di certificazioni energetiche
in gran parte redatte per il trasferimento di proprietà di edifici interi,
quindi dalla villetta alla piccola palazzina, ovviamente esistenti. I dati
ufficiali disaggregati non sono ancora disponibili ma anticipazioni fornite
in occasione di convegni evidenziano per gli edifici lombardi una situazione
energetica preoccupante, e d’altra parte prevedibile: la classe energetica
più gettonata è la G, ossia l’ultima della scala, e il
fabbisogno di energia primaria per il solo riscaldamento è intorno ai
180 kWh/m2 anno.
Il confronto tra gli edifici nuovi, realizzati al massimo delle prestazioni,
e quelli esistenti evidenzia fin da oggi un divario apparentemente incolmabile
con classificazioni che si collocheranno ai due estremi della scala. Confrontare
un edificio nuovo con un fabbisogno di energia primaria per il solo riscaldamento
di 30 kWh/m2 anno con un edificio esistente con 180 kWh/m2 anno equivale a
verificare, in termini pratici, che la bolletta energetica del primo sarà pari
a 1/6 di quella del secondo.
Come reagirà il settore immobiliare? Forse in questa prima fase di applicazione
delle procedure di certificazione il problema non appare in tutta la sua drammaticità,
ma quando saranno esposte le prime targhe e ogni cittadino avrà l’opportunità di
fare un confronto con il certificato energetico dell’edificio appena
acquistato qualche ripercussione il mercato immobiliare ce l’avrà.
Gli obiettivi di riduzione dei gas climalteranti nel settore edilizio non possono
prescindere da una azione rapida ed efficace rivolta proprio agli edifici del
parco edilizio esistente. Che i nuovi edifici siano efficienti è una
cosa sicuramente positiva, ma il problema non si risolve puntando sulla sostituzione:
gli edifici non sono delle automobili che durano al massimo 15 anni, hanno
un ciclo di vita molto lungo e il ricambio può essere ragionevolmente
programmato considerando non decine ma centinaia di anni.
I nostri edifici, però, vengono periodicamente ristrutturati e questa
diventa una occasione per attuare quelle strategie che consentono di risalire
di parecchie classi energetiche con investimenti non necessariamente dispendiosi
e fortemente incentivati.
Il mercato potenziale dell’efficienza energetica nel recupero può contare
su un parco edilizio esistente di dimensioni non trascurabili. I dati dell’ultimo
censimento Istat del 2001 ci forniscono al riguardo numeri interessanti: degli
oltre 11 milioni di edifici esistenti sono circa 2.780.000 (19,4%) quelli costruiti
prima del 1971 e ritenuti in stato di conservazione mediocre o pessima. Ricordiamo
che la prima legge sull’efficienza energetica, la 373, risale al 1976:
questi edifici quindi oltre a essere scadenti dal punto di vista tecnologico
sono sicuramente inefficienti dal punto di vista energetico. Sempre sulla base
della matrice Istat, se si considera la soglia temporale anteriore al 1981
e gli edifici ritenuti da pessimi a buoni, il numero aumenta incredibilmente
passando a circa 7.380.000 (65,7%). In tutti i casi circa l’80% del patrimonio
edilizio esistente in Italia è stato realizzato prima del fatidico 1976
e quindi senza regole sull’efficienza energetica.
Ma come si ripartiscono gli edifici in funzione del numero di abitazioni? Il
dato è da ritenersi interessante perché l’edilizia cosiddetta
diffusa è geometricamente la più inefficiente in quanto a parità di
volume riscaldato la superficie disperdente è maggiore, ma offre anche
un vantaggio di non poco conto: i decisori riguardo possibili interventi di
riqualificazione energetica sono pochi.
Le abitazioni in edifici con un numero di abitazioni da 1 a 2 sono circa 11.463.000
(42%). Se si considerano gli edifici con un numero di abitazioni compreso tra
1 e 4 (rimaniamo quindi sempre nell’edilizia diffusa) le abitazioni salgono
a 14.941.000 (55%). Il 67% delle abitazioni del patrimonio edilizio nazionale è inserita
in edifici con 8 o meno abitazioni.
Il mercato dell’efficienza energetica nel settore edilizio del recupero
dunque esiste e la qualità energetica mediamente scadente richiede interventi
urgenti. La certificazione energetica può diventare lo strumento per
orientare queste azioni: non una certificazione come atto formale e quindi
utilizzata in modo passivo, ma una certificazione che può essere efficace
se adottata in modo preventivo. Certificare per conoscere e quindi per agire:
uno slogan che ci consentirebbe di avvicinarci agli obiettivi di Kyoto, almeno
nel comparto edilizio, con una maggiore rapidità.
* Giuliano Dall’Ò, coordinatore del Gruppo di lavoro sull’efficienza energetica di Kyoto Club, architetto e professore di Fisica Tecnica Ambientale presso il Politecnico di Milano, direttore di SACERT, ha curato con Gianni Silvestrini e Mario Gamberale il volume Manuale della certificazione energetica degli edifici uscito per Edizioni Ambiente a febbraio 2008.