The next big thing di Marco Moro
Inventori di favole. Intervista a Girolamo De Michele di Emiliano Angelelli
Analisi del ciclo di vita. Intervista a G.L. Baldo di Paola Fraschini
Qualità e territorio di Emanuele Burgin
La tranquilla provincia milanese di Antonio Pergolizzi
Questione di punto di vista a Ilaria Di Bella
Inventori di favole.
Intervista a Girolamo De Michele
di Emiliano Angelelli*
Con la faccia di cera è il dodicesimo volume della
collana VerdeNero di Edizioni Ambiente. Un romanzo ambientato interamente
a Ferrara, la città in cui vivi. Presentiamolo ai lettori.
Con la faccia di cera è una ghost-story con evidenti debiti
verso Il segno del comando, ma anche verso Blow-up e Lost.
Inseguendo le apparizioni di una misteriosa ragazza, un giovane fotografo
scopre un archivio sulla Solvay raccolto da un anziano ex-operaio ora in
pensione, gonfaloniere della neonata Contrada della Vergine Maria. La storia
si svolge l’ultima settimana del Palio di Ferrara, mentre tra le vie
della città compaiono personaggi venuti dal passato. Un ulteriore
elemento è il condominio in cui il fotografo vive: un agglomerato
in preda alle peggiori passioni, avvitatosi in una spirale di autodistruzione
che sembra avere le stesse dinamiche di un corpo invaso dagli agenti patogeni
derivanti dalla produzione del PVC.
Nel tuo racconto si parla di tumori provocati dal CVM (cloruro di vinile
monomero), un composto organico estremamente tossico che la città di
Ferrara conosce bene, visto che rientrava nei processi di lavorazione della
Solvay. Questa parte del racconto nasce da un’esperienza da te realmente
vissuta?
No. Io patisco disturbi respiratori che mi rendono ipersensibile all’inquinamento
atmosferico – e Ferrara è una delle città più inquinate
d’Europa. E vengo da una famiglia che ha conosciuto sulla propria pelle
il dramma di quelli che una volta si chiamavano omicidi bianchi, e che oggi
sono stati declassati a morti sul lavoro. L’insalubrità dell’aria
e gli omicidi bianchi sono due elementi che potrebbero unire la mia città di
nascita e la mia città d’elezione, Taranto e Ferrara, in un macabro
gemellaggio. Questo mi rende particolarmente attento ai temi della nocività,
sia diretta che indiretta, del lavoro.
Ferrara che “non ama la chimica, ma ama i posti di lavoro” è un
po’ il paradigma del Nord – in particolare
il Nordest – che lavora, che produce, che cresce
economicamente, ma a quale prezzo?
Ferrara ha molti elementi per essere eletta come un’allegoria del paese
in cui viviamo, sia in positivo che in negativo. È la città di
Bassani, nella quale i turisti vanno a cercare la famosa finestra sopra la
farmacia, quella della notte del ’43. E magari non sanno che un ragazzo è morto
dopo mezz’ora di agonia, alle 4 del mattino, circondato dagli agenti
di polizia che aveva avuto la sventura di incrociare, senza che nessuno – meglio:
nessun ferrarese, perché l’unica testimone è un’immigrata
con permesso temporaneo – si affacciasse alla finestra. Come in molti
altri luoghi cresciuti sul profitto di processi industriali sporchi, dei quali
in apparenza nessuno sospettava la pericolosità. In questo assomiglia
certamente al Nordest. E oggi che la Solvay non c’è più si
può parlare del pedaggio di morte che Ferrara ha dovuto versare, dal
momento che nessuno pagherà per questo. Si parla meno, e se si può si
tace, della condizione dell’aria e dell’acqua, come se il CVM si
fosse dissolto nel nulla. Si preferisce non parlarne perché altri veleni
vengono or ora aggiunti ai vecchi, si preferisce fingere di non sapere che
le nanopolveri non vengono rilevate, ma esistono. Ci si volta dall’altra
parte, ci si nasconde dietro la persiana della finestra: come fa il Nordest
quando commercia e si arricchisce con la camorra che apre outlet e porta via
i rifiuti.
Finora in Italia la giustizia non ha dato voce alcuna a chi questo prezzo
l’ha pagato (e anche molto salato). Mi viene in mente il processo sul
Petrolchimico di Marghera – anche lì si trattava di CVM. Ma prima
ancora che un problema giudiziario non credi si tratti di una questione culturale
e di responsabilità individuale?
Roberto Saviano ha scritto una Lettera
a Gomorra che dice tutto quello che c’è da dire sulla responsabilità individuale.
La responsabilità individuale, l’assunzione delle proprie responsabilità, è una
brutta bestia: è molto più comodo rifugiarsi nel conformismo,
nelle morali prêt-à-porter, o inchinarsi davanti a un papa o un leader
che ti dicono cosa pensare e ti assolvono dai peccati. Pensa alla guerra nel
Darfur: ci fa comodo pensare che sia una guerra di religione, e non una guerra
per il controllo delle riserve di gas nel sottosuolo scatenata dall’aumento
del prezzo del gas di cui, col nostro consumismo sfrenato, siamo tutti responsabili.
Se consumassimo di meno il gas scenderebbe di prezzo e non varrebbe più la
pena finanziare una guerra per il suo controllo: ma preferiamo sprecare luce,
gas, acqua e benzina piuttosto che modificare i comportamenti quotidiani. Tanto,
i morti del Darfur non sono certo nel nostro portone di casa...
Con la faccia
di cera è preceduto da una splendida
citazione di Gabriel Garcia Marquez: “Dinanzi a questa realtà impressionante
che dovette sembrare un’utopia durante tutto il tempo umano, noi inventori
di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora
troppo tardi per intraprendere la creazione dell’utopia contraria.
Una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per
gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore
e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cent’anni
di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla
terra”. Credi che sia ancora possibile costruire un’utopia contraria?
Sì, credo di sì. Anche se non è facile, anche se ora come
ora credo che sarà il compito di un’intera generazione. L’alternativa
all’utopia è nel pericolo che potrebbe non esserci alcuna generazione
dopo la nostra.
Tornando a voi “inventori di favole”, credi che sarete proprio
voi a favorire la nascita di una seconda opportunità per gli esseri
umani? In poche parole, credi che progetti come quelli di VerdeNero possano
realmente fare qualcosa per cambiare la nostra società?
Se per “cambiare la società” intendi mutamenti drastici
e immediati, no. Narrare storie è un compito senza fine e, spesso, senza
fini: il narratore crea legature tra parole, tra cose e parole, tra corpi e
cose che prima di lui non c’erano, o non erano viste. E queste legature
prendono poi vita autonoma, una vita non facile da prevedere o da governare.
Narrare storie mostra altri mondi possibili, oltre a quello in cui viviamo:
come realizzarli è un compito diverso, per realizzare il quale anche
i narratori, rimboccandosi le mani, devono cooperare nella social catena dell’umanità.
VerdeNero è racconto di ecomafia e l’ecomafia per eccellenza è rappresentata
dallo scandalo dei rifiuti in Campania. Dopo aver assistito alla bufera della
monnezza che ha preceduto la caduta del Governo Prodi, tu credi veramente
che il problema sia stato risolto, visto che le televisioni sembrano voler
far passare questo attraverso i loro schermi?
Non è stato risolto alcunché perché non è mai esistito
alcun problema. Il partito dei (cosiddetti) termovalorizzatori ha sapientemente
accumulato rifiuti nelle strade – mentre discariche autorizzate rimanevano
vuote – per spazzare via un governo pavido, che non ha avuto il coraggio
delle proprie azioni. Da un governo di sinistra mi aspettavo non solo che bloccasse
gli inceneritori, ma che andasse in televisione a dire a chiare lettere cos’è il
racket dei rifiuti, come e perché è una bufala che si possa produrre
più energia di quanto ne serve per bruciare i rifiuti, quali polveri
ultrasottili respiriamo tutti quanti, dove finiscono davvero non solo i rifiuti
dell’Acna di Cengio e del Nordest, ma anche della ecologissima Regione
Toscana. Adesso i rifiuti sono scomparsi dalle strade turistiche, mentre gli
abitanti dei paesi contigui ai siti di scarico dei rifiuti continuano a morire
di tumore e leucemia causati dalle radiazioni degli scarti del Nord. E per
gestire l’ordine pubblico, dietro la facciata dei militari mandati a
passeggiare in Campania, è già pronto l’esercito della
camorra. La strage di Castel Volturno è stato un segnale non solo al
popolo dei migranti, ma a chiunque abbia intenzione di disturbare i manovratori.
*Direttore blog VerdeNero.