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Qualità e territorio
di Emanuele Burgin*
Potrà sembrare lezioso che in tempi piuttosto cupi per la loro finanza,
e pure per quella dei cittadini, gli enti locali si dedichino a temi quali
la certificazione ambientale o addirittura la registrazione EMAS. Eppure, la
capacità di misurare, gestire, migliorare i propri impatti ambientali
rappresenta un investimento nel senso più classico del termine: spendere
oggi per risparmiare domani. Quante volte ci siamo ritrovati in affannose discussioni
sui classici problemi ambientali dei nostri territori, e quante volte i nostri
interlocutori, e noi con loro, ci siamo lanciati alla ricerca della soluzione
magica, di quel click di interruttore che d’acchito rende pulita la nostra
aria o ricchi d’acqua limpidissima i nostri fiumi? Sappiamo bene che
non funziona così, ma certo se fossero d’uso comune strumenti
quali la contabilità ambientale, potremmo facilmente dimostrare che
per ogni milione non speso oggi per la pessima qualità della nostra
aria ne pagheremo in futuro 5, o forse anche 10, per i costi che ne derivano,
dai ricoveri ospedalieri ai farmaci assunti, alle giornate non lavorate, al
tempo di vita perso. E allora sarebbe più semplice risolvere le nostre
competizioni e capire quali devono essere le nostre priorità.
La certificazione ambientale, nel suo complesso, è strumento fondamentale
per dare alle nostre amministrazioni un approccio strutturato, che sappia andare
oltre le buone intenzioni, spesso velleitarie, e i fiori all’occhiello
tanto belli da raccontare quanto poco incisivi nella realtà. Ai colleghi
amministratori che intendessero avviarsi su questa strada raccomando cautela:
prima di cogliere qualche rosa troveranno molte spine, dallo scetticismo di
tanti alla fatica di imporre alla propria organizzazione l’indispensabile
salto di qualità, non tanto in ciò che si fa, ma in come lo si
fa. Una volta però che la certificazione ambientale si è radicata,
e addirittura con la registrazione EMAS si sono pubblicamente assunti gli impegni
di miglioramento messi nero su bianco nella dichiarazione ambientale, tutto
questo diventa sistema. E diventa a sua volta un sistema quello degli enti
locali che ponendosi questi obiettivi decidono, nell’Open
Group TANDEM,
di mettere a confronto e in rete le proprie esperienze, difficoltà,
successi.
La certificazione ambientale è possibile per le pubbliche amministrazioni
sin dal 1996 secondo lo standard ISO 14001, mentre EMAS ne prevede la possibilità solo
con la Revisione del Regolamento del 2001. Inizialmente questo strumento viene
riservato alle imprese, e sono proprio quelle più ambientalmente impattanti
a registrarsi per prime, e in modo più esteso. L’approccio dello
strumento volontario supera quello, tradizionale, del rispetto dei limiti normativi
a emissioni, scarichi, rifiuti. Non che i limiti non vadano rispettati, ci
mancherebbe: ma quali sono i limiti che vanno imposti a un’attività perché non
inquini, o più propriamente perché inquini in misura sostenibile
per la capacità di carico dell’ambiente circostante? Sappiamo
bene che alla frontiera della scienza e della tecnica non si finisce mai di
imparare, che ogni stanza che si apre conduce a un’altra che non si conosce:
certi farmaci che 40 anni fa si somministravano contro un banale raffreddore,
con tanto di pubblicità televisiva, oggi sono riconosciuti come potenti
cancerogeni. Per non parlare poi della capacità delle autorità di
regolamentazione di imporre limiti realistici, che non siano grida manzoniane,
e di farli rispettare mediante controlli precisi e sanzioni credibili: sono
capaci tutti di scrivere limiti ambiziosissimi alle emissioni di questo o quell’inquinante
dai tubi di scappamento delle nostre auto, ma se poi la tecnologia non è in
grado di raggiungerli, che si fa? Si vietano le auto e si chiudono le fabbriche?
L’approccio volontario sotteso alla certificazione ambientale rovescia
questo approccio, e il soggetto che ottiene il risultato si impegna a un miglioramento
sistematico e misurabile. Con la registrazione EMAS tutti hanno diritto a leggere
la dichiarazione ambientale e andare a vedere, a fine anno, l’effettivo
grado di realizzazione degli obiettivi. Dunque non semplici limiti, ma molto
di più.
In tutto questo le pubbliche amministrazioni, il cui peso diretto e indiretto
nel vivere sociale ed economico è tutt’altro che marginale, non
possono non fare la propria parte.
Quando il Regolamento EMAS II offrì alle pubbliche amministrazioni la
possibilità di accedere alla Registrazione, un gruppo di enti locali
coordinato dalla Provincia di Bologna diede vita a un gruppo di lavoro per
elaborare quali potessero essere le tappe per arrivarci. Nella riflessione
fu presto chiara la consapevolezza che la certificazione ambientale, ed EMAS
in particolare, non poteva considerarsi disgiunto da una serie di altri strumenti
a disposizione delle amministrazioni per costruire la sostenibilità. EMAS, Agenda
21, acquisti verdi, contabilità ambientale sono
tutte tessere di un mosaico componibile con diversi accenti, ma sempre caratterizzato
da un filo comune: la sostenibilità viaggia sul doppio binario, le soluzioni
tecniche da un lato e la partecipazione dell’altro. Costruire processi
di partecipazione in tempi di democrazia televisiva è una bella fatica:
ma abbiamo il dovere di difendere il principio della trasparenza unito alla
testarda difesa di spazi realmente partecipativi, dove chi (singolo o forma
sociale organizzata) vuole offrire il proprio contributo alla formazione di
una decisione possa trovare interlocuzione con un’amministrazione che
non si limita ad aprire il dialogo ai cittadini per ottenere il consenso su
scelte già preconfezionate.
Oggi gli enti locali che hanno raggiunto la certificazione ambientale, o che
comunque ci sono vicini, cominciano a essere un numero significativo. E quel
gruppo di lavoro, l’Open Group di TANDEM, continua a svolgere la propria
attività: la rete degli enti locali assume soggettività politica,
sia guardando alla prossima revisione europea del Regolamento EMAS, sia dialogando
(o tentando il dialogo) con il Comitato EMAS nazionale, con gli enti di certificazione
e con l’Istituto di formazione italiano.
Da un lato, vorremmo che, nella valorizzazione della nostra esperienza, i tanti
elementi che abbiamo dovuto affinare nei nostri percorsi rendessero la certificazione
ambientale più consona alle specificità delle nostre amministrazioni:
non ha molto senso concentrarsi sull’adeguamento dello scarico dell’ultima
casa cantoniera di montagna quando l’ente governa la qualità delle
acque, di tutte quante le acque del territorio, attraverso la propria azione
di pianificazione e il rilascio di migliaia di autorizzazioni. È un
esempio fra i tanti che si potrebbero fare: ogni ente locale ha un proprio
bilancio di impatti diretti e indiretti ed è al complessivo dei suoi
effetti che la Registrazione deve guardare, nella prospettiva di un miglioramento
reale e non puntuale né episodico.
Dall’altro, vorremmo che in un’ottica di sussidiarietà,
gli organi nazionali che sovrintendono alla certificazione cogliessero appieno
le potenzialità di una stretta collaborazione con gli enti locali, andando
oltre la fissazione di paletti (per esempio, l’individuazione di una
soglia minima di percentuale di raccolta differenziata) che di per sé sono
la negazione dell’approccio di miglioramento continuo e per giunta risultano
pure di difficile applicazione: isolare un numero che è solo uno dei
tanti aspetti di un sistema (nell’esempio, il ciclo integrato dei rifiuti)
significa additare scorciatoie a lungo andare assolutamente inefficaci. Tanto
più che non viviamo in un sistema napoleonico, ma di governance complessa,
dove l’efficacia dell’azione amministrativa si misura anche, e
sempre di più, nella capacità di un territorio (civitas e
non urbs, comunità e non semplice luogo fisico) di progredire
tutto insieme.
Da ultimo, una riflessione profonda dovrebbe essere spesa sulla nostra capacità di
comunicazione, di fare massa critica nell’affermazione dei nostri obiettivi.
La bandiera di EMAS potrà un giorno sventolare da tante nostre finestre,
ma i cittadini cosa capiranno? È alla riconoscibilità della certificazione,
e in particolare di EMAS che dobbiamo tendere, perché nell’immediatezza
dei meccanismi comunicativi odierni la qualità ambientale possa essere
percepita e apprezzata come un valore e non un orpello. Perché, com’è successo
vent’anni fa con la certificazione di qualità, il sistema di coloro
che sono registrati EMAS o certificati ISO 14001 possa un giorno essere così forte
da imporre agli altri di adeguarsi al nuovo standard, a pena di una inevitabile
progressiva emarginazione.
*Assessore all’Ambiente Provincia di Bologna, coordinatore del gruppo di lavoro TANDEM. Curatore, insieme a Enrico Cancila (responsabile dell'area sviluppo sostenibile ERVET) e Camillo Franco (amministratore di SOGESCA), di Qualità e territorio. La certificazione ambientale negli enti locali, in libreria da settembre.