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Questione di punto di vista
di Ilaria Di Bella

L’Italia chiederà all’Unione europea di rivedere i propri impegni nell’ambito del pacchetto clima-energia varato dal Consiglio europeo nel 2007, che prevede la formula “20, 20 e 20”, cioè 20% in più di rinnovabili, taglio del 20% delle emissioni, incremento del 20% dell’efficienza entro il 2020, ora in attesa di essere esaminato dalle commissioni competenti e infine, a dicembre, dal Parlamento di Strasburgo in sessione plenaria. È quanto ha annunciato il ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi, partecipando a Bruxelles a un incontro con gli europarlamentari italiani. Secondo Ronchi, gli obiettivi fissati in ambito comunitario “lasciano intravedere un significativo aggravio degli oneri a carico delle aziende e delle finanze pubbliche, rilevando un quadro ben più problematico rispetto alla valutazione di impatto imposta dalla Commissione europea”. La preoccupazione del governo è che i target di Kyoto pesino troppo sulla competitività delle aziende italiane. “Quel che serve – ha chiarito Ronchi – è un’aggiornata e più approfondita valutazione dei costi diretti e addizionali per le singole economie degli stati membri” e “l’opportunità di esaminare le modalità di raggiungimento degli impegni europei alla luce degli esiti del negoziato di Copenaghen 2009”. Il governo italiano punta dunque ad “attenuare l’impatto del pacchetto sul sistema industriale al fine di tutelarne la competitività in sede internazionale”. È una linea che conferma le scelte già illustrate dalla ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che, in un incontro preliminare in vista del Consiglio europeo del 17 ottobre, aveva parlato della “necessità di verifica” sul pacchetto clima-energia per il pericolo di trovarsi di fronte a “un impegno eccezionale per un obiettivo minimo”. “C’è forte preoccupazione – aveva detto Prestigiacomo – Abbiamo trovato questo negoziato in fase avanzatissima. Ci colpisce che fino a ora nessuno si sia mai preoccupato di valutare i costi in funzione degli obiettivi, senza poi considerare il risultato ambientale”. Secondo i calcoli del dicastero dell’Ambiente, l’Italia rischierebbe di pagare 23 miliardi di euro l’anno per applicare la nuova normativa, che porterebbe a una riduzione del 2% delle emissioni dell’Ue e solo dello 0,3% dell’Italia. “Non vogliamo che salti il negoziato e condividiamo l’obiettivo di lotta ai gas serra ma bisogna fare i conti con la realtà” – ha detto ancora Stefania Prestigiacomo, chiarendo che il prossimo passo sarà quello di “sondare i vari paesi su questa preoccupazione del’Italia e porre il problema al Consiglio d’Europa”. Il Partito Democratico ha risposto presentando una proposta di legge per ridurre le emissioni di C02 attraverso gli incentivi alle rinnovabili, l’efficienza energetica, un nuovo piano dei trasporti e la mobilità sostenibile. Se solo gli incentivi fiscali per l’efficienza energetica delle abitazioni fossero resi permanenti, ad esempio, ogni famiglia potrebbe risparmiare tra i 500 euro e i 1.000 euro l’anno sulla bolletta, attraverso pannelli solari, elettrodomestici a basso consumo, isolamento termico, con un taglio di anidride carbonica. “Considerare gli impegni di riduzione delle emissioni di C02 come un freno alle imprese e all’economia – ha detto Ermete Realacci – è una visione arretrata e anacronistica. Si tratta invece di una grande opportunità per rilanciare la competitività e per aprire prospettive nuove per l’intero sistema paese”. Due visioni opposte che si fronteggeranno in vista degli appuntamenti in sede europea e mondiale. L’ultimo rapporto sui cambiamenti climatici dell’Agenzia europea dell’Ambiente (Impacts of Europe's Changing Climate) parla di un aumento della temperatura media globale di quasi 0,8 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, di un continente europeo spaccato in due con un nord sempre più piovoso e un sud sempre più arido (alcune zone del Mediterraneo registrano un 20% in meno di pioggia rispetto a un secolo fa), di un aumento di 3 millimetri l’anno del livello dei mari, della riduzione del ghiaccio artico e di quello delle catene montuose europee. A rischio il 60% della flora e della fauna montane, la disponibilità di acqua potabile (specie al sud), l’andamento dell’agricoltura e le zone costiere.