In questo numero

Quel qualcosa che non va di Marco Moro
Il pacchetto "20-20-20" fa lo sgambetto alla lobby del nucleare di Sergio Zabot
Il Codice delle energie di Alessandro Geremei
Le misure europee per il clima. Chi vince e chi perde? di Edo Ronchi
Imprese e ambiente di Simona Faccioli
Una gestione ambientale di qualità di Enrico Cancila

contatti

iscriviti

Il pacchetto “20-20-20” fa lo sgambetto alla lobby del nucleare
di Sergio Zabot*

“Vai avanti tu che a me scappa da ridere” sembra essere stata la parola d’ordine al vertice europeo di Bruxelles, convocato per dotare l’Unione europea di un piano per contrastare i cambiamenti climatici. Il nostro Premier non se l’è fatto dire due volte e insieme al suo collega polacco ha minacciato di porre il “veto” al “pacchetto” che prevede di tagliare del 20% le emissioni di CO2, di aumentare al 20% la quota di fonti rinnovabili e di ridurre del 20% i consumi attuali di energia con misure di efficienza energetica. Il tutto entro il 2020.
Tuttavia, seppur con il segno del randello di Sarkozy sulla faccia, Berlusconi è riuscito a procrastinare la decisione finale e di spostarla in sede di Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo, dove serve l’unanimità, e non a livello di ministri tematici (ambiente, energia) dove sarebbe bastata la maggioranza qualificata.
Il pacchetto europeo, tradotto in soldi, vuol dire investire pesantemente per arrivare al 2020 consumando ben il 40% in meno di combustibili fossili e risparmiare in più almeno altri 12 miliardi di euro in crediti di emissioni da pagare se non si raggiunge l’obiettivo.
Il documento del Governo elenca solo costi, non viene presentata alcuna valutazione dei ritorni diretti e indiretti, economici, ambientali e occupazionali degli investimenti necessari, ma solo un allarme senza alcuna dimostrazione per attaccare la strategia europea su clima ed energia.
I costi presentati dal Governo, peraltro, sono stati smentiti clamorosamente dal commissario europeo all’Ambiente Stavros Dimas che si è detto sbalordito dal modo con cui l’Italia ha presentato costi doppi rispetto ai calcoli di Bruxelles.
Per contro il Premier britannico Gordon Brown ha dichiarato che proprio il pacchetto 20-20-20 può rappresentare la risposta forte allo “tsunami” finanziario che sta investendo tutti i mercati. Le tecnologie per le fonti rinnovabili e per l’uso efficiente dell’energia sono molto interessanti anche e soprattutto per un sistema industriale, come quello italiano, incentrato prevalentemente sulle piccole e medie imprese.
Infatti, sebbene si tratti di lavorazioni ad alto contenuto tecnologico, è possibile raggiungere scale efficienti minime anche con dimensioni contenute, senza dover ricorrere a sistemi industriali di grande taglia e complessità come quelli, appunto, necessari alla costruzione della filiera nucleare, irta di difficoltà e soprattutto di incognite.
Il settore edilizio in particolare, che nel suo complesso, industria delle costruzioni compresa, assorbe oltre la metà dei consumi finali di energia, se da una parte è ancora un settore fortemente “artigianale”, dall’altra può inglobare tutte le tecnologie più innovative esistenti sul mercato: dai nuovi materiali ai nuovi componenti edili quali laterizi, vetri, serramenti, materiali isolanti; componenti e sistemi impiantistici quali caldaie ad alto rendimento, sistemi di climatizzazione, impianti di cogenerazione, celle a combustibile, impianti solari, impianti a biomasse, componenti e sistemi di illuminazione, di regolazione e controllo (ndr, al tal proposito segnaliamo il manuale di Paola Sassi Strategie per l’architettura sostenibile. I fondamenti di un nuovo approccio al progetto, in uscita a novembre).
Questi fatti sono importanti anche per capire che la sfida dello sviluppo sostenibile e duraturo non è poi così velleitaria come in molti vogliono farci credere. L’impegno europeo, vincolante, all’interno del quale anche l’Italia deve trovare la propria strada, è sicuramente perseguibile anche se in salita, dato che fino a ora la politica italiana è sempre stata poco presente sull’argomento. Gli obiettivi 20-20-20 sono a portata di mano e per le Comunità locali puntare su un modello di generazione distribuita con un forte ruolo delle fonti rinnovabili è una prospettiva ben più credibile, moderna e desiderabile di quella spinta dagli sponsor del nucleare.
Realizzare questi obiettivi può avere un effetto straordinario non solo in termini di riduzione delle importazioni di fonti fossili e quindi di risparmio economico, ma anche in termini di innovazione e di creazione di nuovi posti di lavoro, e in ultima analisi di maggior benessere per tutti.
Di fatto il Governo vuole bloccare fonti rinnovabili ed efficienza energetica, le vere alternative pulite, per far spazio agli interessi della lobby nucleare.
Infatti, se si sommano gli obiettivi europei sulle rinnovabili, il piano per l’efficienza energetica e gli investimenti nel campo del gas naturale, in Italia non c’è spazio anche per il nucleare. Con efficienza e fonti rinnovabili si raggiungono i 150 miliardi di kWh/anno contro i 60 del piano nucleare, oltre il doppio dell’energia e senza dover nuclearizzare il territorio. Tutto questo entro il 2020, proprio quando dovrebbero entrare in funzione le prime centrali atomiche, che a quel punto saranno inutili e non saranno in grado di produrre neanche un chilowattora perché non ce ne sarà bisogno, rischiando così di ritrovarci con le ennesime “cattedrali nel deserto”.
Le previsioni del CESI (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano) sull’evoluzione della domanda elettrica in Italia, pubblicati dall’Enel, indicano un fabbisogno di 404 TWh al 2020. Per contro le previsioni di Terna secondo uno scenario cosiddetto “di sviluppo”, ovvero senza l’attuazione degli obiettivi di risparmio energetico, stimano in 420 GWh il fabbisogno di elettricità e in 74 GW il fabbisogno di potenza al 2018. Nel documento citato, Terna sostiene inoltre che, assumendo un indice di rischio dell’1%, che comporta un livello di riserva del 23%, si può stimare un valore del fabbisogno complessivo di potenza alla punta, sempre al 2018, pari a circa 91 GW.
Ora, senza entrare nel dettaglio di quanto inciderà il tracollo economico in atto sui consumi finali e spostando in prima approssimazione al 2020 il fabbisogno indicato da Terna al 2018, gli obiettivi del 20-20-20 comportano che al 2020 ci sia una riduzione di consumi finali di 75 GWh e altri 75 GWh vengano prodotti con fonti rinnovabili. Il fabbisogno integrativo con fonti convenzionali, si riduce così a 270 GWh di energia elettrica e poco meno di 60 GW di potenza termoelettrica convenzionale, superiore del 30% al fabbisogno elettrico del 2009 (350 GWh) e del 22% superiore alla potenza termoelettrica lorda installata attualmente (73,3 GW).
A questo punto qualcuno ci deve spiegare dove è lo spazio per costruire 4-5 centrali nucleari che dovrebbero produrre 60 GWh di elettricità l’anno, come chiede Fulvio Conti, amministratore delegato dell’Enel, quando già al 2020, attuando il “pacchetto 20-20-20” rischiamo un surplus di oltre il 20%.
La verità è che l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili sono in forte competizione con il nucleare. Attuare il pacchetto 20-20-20 al 2020 significa tagliare le gambe alle velleità della lobby nucleare. Il Governo questo lo sa benissimo e per questo motivo cerca di bloccare il piano europeo adducendo costi non sostenibili per il paese. Forse che i costi per attivare una filiera nucleare non esistono? E questi costi chi li pagherà? Solo i privati? Con quali soldi? Con quelli che si sono fatti fregare investendo nei derivati? O forse pensano di istituire un nuovo Cip6 consacrato all’elettricità nucleare?
I sostenitori del nucleare mentono spudoratamente quando affermano che non c’è concorrenza tra nucleare ed efficienza energetica. Questa divergenza è destinata ad aumentare per due ordini di motivi:
• tutte le tecnologie dell’energia distribuita, comprese le tecnologie del risparmio energetico sono destinate inesorabilmente a diventare sempre meno care per via dei grandi volumi di produzione e dei miglioramenti continui che consentono di sfornare sempre più nuovi prodotti “più risparmiosi” dei precedenti. Questo non succede per gli impianti centralizzati e soprattutto per gli impianti nucleari che storicamente tendono a costare sempre di più, in contrasto con le cosiddette “curve di apprendimento delle tecnologie” (1). D’altra parte dalla progettazione di un componente nucleare fino alla sua realizzazione passano talmente tanti anni che, anche quando si inventano nuovi prodotti e nuove tecnologie, non è possibile utilizzarli immediatamente e bisogna aspettare che entri in produzione una nuova filiera;
• il mercato sta cominciando a riconoscere i benefici ottenibili con le tecnologie distribuite, sia in termini di profitti, sia per l’elevata ricaduta che questo comporta sui livelli occupazionali a livello locale. Il risparmio energetico, la produzione distribuita di elettricità e le fonti rinnovabili in particolare, cominciano a mostrare il loro potere dirompente per sfondare barriere che fino a poco fa sembravano impenetrabili, riducendo drasticamente i costi e migliorando le prestazioni. Stanno peraltro emergendo nuove classi di tecnologie, alcune ancora immature come le celle a combustibile alimentate a idrogeno, che sono destinate però a rivoluzionare il mercato dei trasporti.

Il dramma che si è abbattuto sui mercati finanziari e che coinvolge anche l’economia reale deve servirci da lezione. L’energia è il motore delle attività economiche del mondo moderno e i problemi energetici rappresentano l’ossessione di tutte le società moderne. Ma le risposte ai problemi energetici non possono e non devono essere date esclusivamente aumentando i fattori di scala: al giorno d’oggi soffriamo di una idolatria quasi universale per il gigantismo. Procedere verso il gigantismo significa procedere verso l’autodistruzione.
La crescita non può porsi obiettivi illimitati, perché, come diceva Gandhi “la terra produce abbastanza da soddisfare i bisogni di ognuno, ma non per soddisfare l’avidità di tutti”. La crescita economica deve tenere conto della disponibilità delle risorse, intese come capitale, non come rendita, ma soprattutto deve tenere conto della capacità dell’ambiente di far fronte alle interferenze dello sviluppo umano.
Ecco perché serve il passaggio da un modello ad alta intensità energetica a un modello di energia diffusa sul territorio, che apra la strada all’innovazione tecnologica, a una nuova economia, a nuove forme di partecipazione e di responsabilità concreta, che conduca, in ultima analisi, a una nuova cultura che contenga finalmente quegli elementi fondamentali e durevoli dello sviluppo sostenibile.
Nota tecnica pubblicata sul sito del Kyoto Club.

Efficienza energetica. Nel solo ambito del risparmio energetico il governo stima un “costo” per l’Italia di 15 miliardi di euro l’anno. Questa affermazione è falsa: gli interventi di risparmio ed efficienza hanno benefici netti che sono ampiamente dimostrati dall’esperienza, da studi di fonte industriale e da affermazioni recenti di vertici industriali (2).
Secondo la recente analisi di McKinsey, gli investimenti in efficienza possono stabilizzare i consumi energetici al 2020 in modo conveniente, con una riduzione del 20% rispetto allo scenario tendenziale, e hanno tassi interni di ritorno degli investimenti dell’ordine del 10%: quali altri settori vantano una simile performance?(3) Raggiungere il 20% di risparmio di elettricità è possibile ed economico.
Secondo il Politecnico di Milano (4) il costo dell’elettricità risparmiata ai valori attuali risulta di 5,4 centesimi al kWh contro gli oltre 9 registrati come prezzo all’ingrosso. Per raggiungere il 20% al 2020, l’ordine del beneficio scontato, che si produce nel corso del tempo, è dell’ordine di 65 miliardi di euro. I benefici ambientali al 2020 sono dell’ordine di un taglio di 50 milioni di tonnellate/anno di CO2 che si traducono in un equivalente miliardo l’anno di permessi evitati al 2020.

Fonti rinnovabili. Anche su rinnovabili e obiettivi di riduzione delle emissioni i “costi” presentati sono evidentemente gonfiati. Senza fornire alcuna prova, il Governo valuta per l’Italia un costo di 27 miliardi di euro l’anno, almeno 10 volte superiore alla stima effettuata dall’Unione europea, nel gennaio del 2008: il Governo è in grado di dimostrare questa stima?
Secondo la Commissione per raggiungere gli obiettivi europei l’Italia dovrà investire 8 miliardi di euro l’anno ma avrà benefici economici immediati (5). Ogni anno, solo grazie al taglio delle importazioni di gas e petrolio, l’Italia potrà risparmiare 7,6 miliardi di euro, mentre con la riduzione dell’inquinamento si risparmierebbe oltre 1 miliardo di euro in politiche di mitigazione e controllo. Questo senza considerare i benefici che deriverebbero dall’innovazione del sistema economico.
Sulle fonti rinnovabili gli investimenti in Germania hanno prodotto l’occupazione oggi di 250 mila persone. In Italia il solo settore eolico occupa 13.000 persone e potrebbe crescere a 66.000 contribuendo da solo a oltre la metà degli obiettivi per le fonti rinnovabili al 2020 (6).
I costi di produzione di tutte le fonti rinnovabili sono da anni in diminuzione contrariamente al nucleare che presenta costi in forte crescita. I 50 miliardi di kWh da rinnovabili da produrre in più al 2020, peraltro, valgono 25 milioni di tonnellate di CO2 l’anno evitate, la riduzione dei consumi di circa 10 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio oltre agli investimenti evitati in centrali a combustibili fossili dell’ordine dei 5 miliardi di euro. Questi benefici sono stati inclusi nelle stime del Governo?

Note
(1) Generalmente quando si introduce sul mercato una nuova tecnologia, grazie all’esperienza maturata durante la produzione si migliora la tecnologia stessa e si riducono conseguentemente anche i costi di produzione. Per il nucleare questo non è avvenuto.
(2) Le dichiarazioni recenti al Quotidiano Energia (25 settembre 2008) di Giuliano Monizza, vicepresidente del gruppo industriale ABB sono inequivocabili. In Europa si tratta solo per la produzione, trasmissione e distribuzione di un potenziale di risparmio di 400 miliardi di kWh/anno, più di quanto consuma l’Italia.
(3) McKinsey, Capturing the European Energy productivity opportunity, settembre 2008.
(4) Il rapporto del Politecnico di Milano, “La rivoluzione dell’efficienza” (2008), valuta in 100 miliardi di kWh i risparmi negli usi finali di elettricità in Italia con un ritorno degli investimenti pari a un beneficio netto, non un costo, ai valori attuali di 60 miliardi di euro.
(5) Impact Assessment, Commissione europea 23 gennaio 2008.
(6) Rapporto ANEV 2008. Il rapporto cita un’analisi occupazionale svolta dalla UIL.

* Direttore del Settore Energia della Direzione Centrale Risorse Ambientali della Provincia di Milano.