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Quel qualcosa che non va di Marco Moro
Il pacchetto "20-20-20" fa lo sgambetto alla lobby del nucleare di Sergio Zabot
Il Codice delle energie di Alessandro Geremei
Le misure europee per il clima. Chi vince e chi perde? di Edo Ronchi
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Le misure europee per il clima. Chi vince e chi perde?
di Edo Ronchi

La crisi finanziaria ed economica in corso per il 2008, e prevedibilmente almeno per il 2009, produrrà una riduzione dei consumi energetici e quindi anche una riduzione delle emissioni di CO2, sicuramente in Italia. Gli scenari sui quali si sta ragionando hanno assunto come baseline le emissioni del 2005 (578 milioni di tonnellate di CO2) e gli andamenti tendenziali a partire da quell’anno fino al 2020 (645 milioni di tonnellate). Già nel 2006 e nel 2007 le emissioni in Italia erano diminuite, e non aumentate come immaginato nel 2005; nel 2008 diminuiranno sicuramente ulteriormente nel settore industriale, nel civile e nei trasporti per effetto della crisi. Quindi la crisi ridurrà le emissioni di gas di serra e i costi per le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea. Le previsioni di costi, per effetto di questa crisi, vanno riviste registrando le diminuzioni in atto e previste per il prossimo anno.

Le stime del Governo italiano non reggeranno il confronto europeo. La differenza fra le stime dei costi delle misure per ridurre le emissioni di CO2 fatte dal Governo italiano e quelle della Commissione europea non reggeranno in sede di verifica. Le stime del Governo italiano, infatti, derivano dalla scelta dello scenario europeo peggiore e meno realistico (scenario RSAT dello studio della Commissione UE) che supera gli obiettivi assegnati all’Italia, senza ricorso alcuno ai meccanismi flessibili, senza importazione di energia elettrica rinnovabile e senza ricorso ottimale alle migliori tecnologie disponibili. Lo scenario della Commissione europea considera invece un mix realistico per l’Italia (degli scenari base proposti, raggiunge gli obiettivi con misure cost-efficiency e un parziale ricorso ai meccanismi flessibili) con un costo complessivo che è meno della metà di quello, esagerato, del Governo italiano, e con un’incidenza sul pil fra le più basse d’Europa.

Il pacchetto europeo non penalizza l’industria italiana, ma una decina di grandi industrie italiane. Mentre sul pacchetto auto l’Italia fa bene a chiedere maggiori impegni per la riduzione delle emissioni dei veicoli di grossa cilindrata, sbaglia invece a dire che la ripartizione dell’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 del 2005, entro il 2020, sia penalizzante per l’industria italiana. È penalizzante per una decina di grandi industrie italiane. L’industria italiana nel suo complesso, invece, sta rispettando il trend di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020. Nel 2007 solo due settori sono fuori da questo trend: il settore della produzione di energia elettrica con centrali termoelettriche per ben 24,8 milioni di tonnellate di CO2 (più 6,8 Enel, più 6,2 Edison, più 2,7 Edipower, più 1,4 Tirreno Power e più 3,2 altri impianti) e il settore della produzione di cemento per 2,5 milioni di tonnellate (più 0,6 Colacem, più 0,4 Italcementi, più 0,2 Buzzi Unicem e 1,3 altri cementifici). Per gli altri settori (cosiddetti non ETS, Emission Trading Scheme) l’obiettivo di una riduzione del 13% delle emissioni del 2005 entro il 2020 è meno impegnativo di quello di Kyoto, è meno impegnativo della media europea (del 20%) e in linea con le riduzioni in corso nel 2006 e nel 2007 e, con tutta probabilità, verrà superato dal trend del 2008 e 2009 per la crisi in atto.

Efficienza e rinnovabili richiedono forti investimenti, ma non ci sono pasti gratis nemmeno per altre scelte. L’obiettivo di risparmio e di efficienza energetica (riduzione del 20% del consumo tendenziale interno al 2020) è molto impegnativo, ma non è vincolante, quindi non è un costo obbligatorio, ma una scelta. L’obiettivo, invece vincolante, di coprire il 17% del consumo energetico al 2020 con fonti rinnovabili è molto impegnativo e richiede investimenti importanti che comportano non solo costi e non solo benefici ambientali, ma sviluppo di una fonte nazionale, sviluppo occupazionale e tecnologico. Per l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili occorre una definizione del quadro energetico nazionale almeno al 2020: non è realistico, come spesso viene detto, proporre sia un forte incremento delle rinnovabili, sia l’efficienza energetica ed elettrica, insieme a un aumento del carbone, del gas e aggiungendo anche il nucleare. Tutto ciò non sta affatto insieme e nessun pasto sarà gratis. Chi attacca sul costo dell’efficienza e delle rinnovabili, propone in realtà altre scelte energetiche prioritarie.

Se vincono gli attuali alleati del centro-est Europa, l’Italia perde alla grande. Attenzione alle alleanze con i paesi ex socialisti europei che criticano il pacchetto europeo perché richiedono di tornare al 1990 come anno di riferimento anche per la seconda fase del dopo Kyoto e non, invece, adottare come anno di riferimento il 2005 come propone la Commissione europea. Questi paesi, infatti, nel 1990 avevano emissioni molto elevate che poi sono rapidamente crollate insieme alla loro industria pesante ed energivora. Per loro tenere fermo il 1990 significa poter vendere diritti di emissione, spostare invece al 2005 la data di riferimento, significa dover attuare, anche loro, misure di riduzione delle emissioni. Questo spostamento sarebbe vantaggioso anche per la Russia, ma renderebbe molto più difficile un accordo globale sia con gli Stati Uniti sia con la Cina, che hanno invece notevolmente aumentato le loro emissioni dal 1990 e cominciato a frenarle dal 2005. Sarebbe una posizione quantomeno strana per chi sostiene la necessità di un minore impegno per l’Italia: nel 1990 le emissioni erano di 517 milioni di tonnellate, nel 2005 578 milioni, cioè 61 milioni in più. Partire dal 1990 per l’Italia sarebbe molto svantaggioso.

* Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.