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Quel qualcosa che non va di Marco Moro
Il pacchetto "20-20-20" fa lo sgambetto alla lobby del nucleare di Sergio Zabot
Il Codice delle energie di Alessandro Geremei
Le misure europee per il clima. Chi vince e chi perde? di Edo Ronchi
Imprese e ambiente di Simona Faccioli
Una gestione ambientale di qualità di Enrico Cancila

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Imprese e ambiente
di Simona Faccioli

Paola Ficco, introducendo Imprese e ambiente 2009. Guida agli adempimenti normativi (libro da lei curato e del quale ha personalmente scritto la parte relativa alla gestione dei rifiuti) svolge alcune riflessioni sul dibattito tra ambiente ed economia, da giurista ambientale, affrontando la questione dell'inserimento dell'Italia nel quadro normativo europeo, e del rapporto tra norma comunitaria e norma italiana.
Si sa infatti che quando si parla di ambiente i confini si allargano, e non solo quelli "naturali" per via degli effetti transfrontalieri degli inquinamenti, ma anche, dall'altro lato, per i confini "giuridici" del diritto ambientale, che trova le sue basi in ambito comunitario.
Le direttive comunitarie "ambientali" spesso sono scambiate per direttive "industriali", cioè come atti dovuti per garantire la libera circolazione di prodotti e difendere le imprese. In questa prospettiva, la dimensione ambientale delle direttive viene a essere intesa come un ostacolo agli scambi e alla crescita anziché come una opportunità per migliorare la qualità della vita (da cui ovviamente deriva l'impulso agli scambi e alla crescita).
In materia di rifiuti, ad esempio, da qualche tempo in Italia (sulla scorta comunitaria) si è affermata la responsabilità del produttore (con riferimento ai beni) facendo proprio (in modo molto italiano) il principio comunitario; infatti, si pensa che essendo il produttore dei beni responsabile dei rifiuti che da questi beni si origineranno, costui abbia la responsabilità solo economica della raccolta e dell'avvio a smaltimento/recupero (è il caso dei Raee, del fine vita auto e tra poco degli accumulatori e delle pile). Da qui a creare situazioni di "business" il passo è brevissimo; si inventano pluralità di sistemi di raccolta, di recupero, cabine di regia, tavoli tecnici; insomma la fantasia al potere. Tutto fondato sul valore economico e sulla proprietà (categorie che non attengono ai sistemi di tutela ambientale, ma che il lessico giuridico - e comune - usa per ormai atavici motivi di riferibilità alle categorie classiche della cultura della pandettistica) di quanto si raccoglie.
Ma, il principio della responsabilità del produttore (come concepito in sede comunitaria) vuol dire ben altro, e precisamente: chi immette sul mercato un prodotto (quindi un potenziale rifiuto) è obbligato ad assumersi la responsabilità principale dei potenziali danni che quel prodotto può cagionare all'ambiente, compresi quelli della fase in cui il prodotto viene costruito (dall'impiego delle sostanze, alla maggiore durata della vita media ecc.). Questo perché l'ambiente non comincia dove c'è la produzione di un rifiuto, ma molto prima. Tuttavia, di questo il "produttore" non si preoccupa mai, mentre scomoda (più o meno correttamente) il "libero mercato" per non pregiudicare la concorrenza in relazione a chi si prenderà i suoi scarti, sempre in relazione al valore di mercato del bene. Infatti, se quel valore diminuirà o se quel rifiuto non sarà facilmente raggiungibile (ad esempio in cima a una montagna o in fondo al mare) nessuno (a meno di reazioni dell'ordinamento e della discesa in campo di interventi sussidiari) si preoccuperà più di raccoglierlo.
Il volume Imprese e ambiente trova una precisa collocazione in questo dibattito (affrontato a diverso titolo dagli autori del libro): fornisce le istruzioni affinché l'impresa sia in regola con tutte le prescrizioni normative ambientali che la possono riguardare.