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Quanto costa il piano B? di Diego Tavazzi
Greenwash: gli inganni verdi delle aziende di Paola Fraschini
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Greenwash: gli inganni verdi delle aziende
di Paola Fraschini

Su Internazionale della scorsa settimana è apparsa per la prima volta una nuova rubrica intitolata Greenwash a cura di Fred Pearce, giornalista scientifico britannico e collaboratore di New Scientist. È significativo che l'unico settimanale italiano che documenta con lucidità gli scenari internazionali decida di dedicare uno spazio fisso a questo nuovo fenomeno. Ma cosa si intende con il termine greenwashing?
Pearce esordisce così: "Quando il mondo della pubblicità era senza regole, negli spot si poteva affermare qualunque cosa: l'alcol ti rende sexy, fumare fa bene ai polmoni, i detersivi contengono una polvere magica che lava più bianco. Oggi è di nuovo così, almeno nelle pubblicità dei prodotti 'verdi'". Il fatto che il verde sia oggi così di moda può quindi produrre degli effetti indesiderati? Il rischio è, per quelli che si impegnano davvero in questo campo, di essere messi in cattiva luce e di veder proliferare le truffe commesse approfittando di una genarele crescita della sensibilità ambientale. Identificare queste pratiche potrebbe diventare una competenza di cui ogni consumatore dovrà sapersi avvalere.
Il circolo vizioso denunciato d
a Pearce funziona così: i consumatori esigono sempre più spesso dai produttori l'assunzione di un maggiore livello di responsabilità ambientale; di conseguenza poche aziende osano presentarsi sul mercato senza avere credenziali ecologiche. Il rischio è che il più delle volte si tratti di greenwashing, cioè di semplici operazioni di facciata. I proclami verdi di certe aziende sono spesso generici, qualche volta assurdi, e di certo alimentano la sensazione che diventare "sostenibili" sia un gioco da ragazzi. Di quante automobili viene suggerita l'"ecologicità", addirittura con foglie verdi che escono dal tubo di scappamento, per poi risultare in termini di emissioni tra le peggiori della categoria? Quante acque minerali imbottigliate si vantano di essere prodotte con una ridotta impronta ecologica (riducendo il packaging o ricompensando con l'acquisto di crediti di carbonio...), glissando sul fatto che l'acqua che sgorga dai rubinetti di casa è, nella maggior parte dei casi, potabile, sicura, e soprattutto non produce rifiuti in plastica o vetro, non viaggia su gomma per essere distribuita ecc.?
Un altro ambito a cui guardare con una certa attenzione potrebbe essere quello delle certificazioni ambientali. Il solo fatto che vi siano in circolazione un numero molto elevato di marchi, tutto sommato poco comprensibili per chi non è del mestiere, desta qualche allarme. Come capire, ad esempio, se una certificazione di qualità ambientale che riguarda uno stabilimento industriale ha a che fare anche con la qualità del prodotto che ne esce? Insomma, il fatto che la sala riunioni sia isolata con materiali naturali implica qualcosa rispetto alla qualità del prodotto finale? Non si può certo dare per scontato che il consumatore possieda sempre un livello di informazione tale da distinguere al volo tra processi di certificazione che riguardano la filiera, l'unità produttiva, questa stessa ma intesa come edificio, le materie che vi entrano, i prodotti che ne escono ecc. Tanto di frequente si assiste a un uso disinvolto di certificazioni correttamente ottenute quanto complessa è in realtà la materia. Le oltre 300 pagine di volumi come Manuale della certificazione energetica degli edifici e Analisi del ciclo di vita LCA lo testimoniano a sufficienza. "Verdi" non si diventa schioccando le dita, e nemmeno facendo vedere auto che invariabilmente percorrono meravigliose strade deserte in mezzo a una natura incontaminata.