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Anonima Betoniere di Marco Moro
Il paese di Saimir. Intervista a Valerio Varesi di Emiliano Angelelli
L'isola del buon isolamento di Diego Tavazzi
Bollette troppo salate a cura della redazione Nextville
Siamo al rilancio (economico) della veranda? di Ilaria Di Bella

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Il paese di Saimir
Intervista a Valerio Varesi
di Emiliano Angelelli*

Proprio nei giorni in cui il Governo Berlusconi sta ultimando la stesura del decreto legislativo con il quale riscrive il Testo unico sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, esce in libreria Il paese di Saimir, quindicesimo volume della collana VerdeNero firmato da Valerio Varesi. Un romanzo che denuncia la parabola di un giovane lavoratore “fantasma”, costretto ai meccanismi malati dell’edilizia illegale. La stessa edilizia illegale che il nuovo testo del Governo, se uscisse così come è stato preannunciato, rischierebbe in qualche modo di favorire, attraverso un alleggerimento delle pene inflitte alle imprese e un'eliminazione dell'ipotesi di arresto a favore di una semplice sanzione.

Come è nata l’idea di scrivere Il paese di Saimir?
Mi ricordavo di un fatto di cronaca accaduto nel Veneto dove un lavoratore clandestino fu “dimenticato” sotto le macerie e trovato morto dopo giorni. Una vicenda che mi colpì molto. Sono partito da quella e ho costruito una storia nera, credo emblematica di un certo modo di concepire l’imprenditoria e il relativo imbarbarimento dei rapporti fra le persone.

Come ti sei trovato a collaborare a un progetto particolare come VerdeNero?
Mi sono trovato bene perché sapevo di partecipare a un progetto che avrebbe unito il piacere di scrivere con il piacere di contribuire a una buona azione. Inoltre ero molto motivato essendo figlio di un invalido del lavoro. Ho imparato sulla mia pelle cosa significa subire una disgrazia.

Un imprenditore senza scrupoli, il crollo di un cantiere, clandestini albanesi sfruttati, morti bianche: Il paese di Saimir affronta temi spinosi. Cosa si prova a scrivere una storia del genere sapendo che fatti drammatici come questi avvengono ogni giorno?
Da una parte il gusto della denuncia con uno strumento, la narrativa, che forse è più efficace di altri perché agisce direttamente sulle emozioni e fa dei personaggi degli emblemi destinati a colpire la nostra sensibilità suscitando passioni molto forti. Dall’altra sentivo di realizzare un presupposto della mia scrittura che è quello di raccontare vicende capaci di rispecchiare una parte del mondo di oggi. Io credo molto nel cosiddetto “romanzo sociale”, sia esso giallo o di altro genere. Penso che ciascun autore debba tentare di dare una rappresentazione del reale. Allora la letteratura diventa la rappresentazione autentica della vita.

Personalmente mi ha colpito molto la scena iniziale durante la quale Saimir, sepolto sotto al crollo del cantiere, ripensa alla famiglia, agli amici, in attesa che qualcuno lo venga a salvare. Si tratta di un fatto reale, ripreso da un fatto di cronaca, o è solo frutto della tua fantasia?
Come dicevo, mi sono ispirato a un fatto vero, ma c’è anche molta fantasia. Saimir è un ragazzo di diciassette anni che ama la vita e la guarda con ingenuità. Non crede alla malvagità umana, non lo sfiora il pensiero che si possa lasciare sotto le macerie qualcuno per calcolo economico. Ma lui è un invisibile, un clandestino, e nessuno lo deve vedere né da vivo né, tantomeno, da morto. È la legge del tornaconto a schiacciarlo più delle macerie.

Fatti tragici come il rogo della Thyssen a Torino hanno messo in luce (sempre che ce ne fosse ancora bisogno) lo stato di scarse tutele in cui vivono oggi gli operai nei cantieri. E se la situazione è drammatica per un operaio italiano lo è doppiamente per un clandestino…
Certo, ma il problema è a monte, vale a dire nel nostro modo di concepire i rapporti economici. Il capitalismo liberista, ideologia mostruosa, premia chi produce a prezzo inferiore, non importa con che standard di qualità, perché questo è il mondo della quantità e non della qualità. Detto questo, vince chi spunta il prezzo più basso non importa come. Quindi vince l’abito cucito dai bambini cinesi che lavorano 15 ore al giorno e non vengono pagati, i mobili fabbricati da semi schiavi in Thailandia, ma anche, per tornare al romanzo, le case costruite da lavoratori in nero presi per il collo e senza tutele. L’ideale sarebbe il ritorno alla schiavitù come, in effetti, sta avvenendo. Nelle campagne della Campania e della Puglia, in occasione della raccolta dei pomodori, ci sono caporali che controllano i lavoratori stranieri e li prendono a bastonate se non rendono come previsto.

Oggi ci troviamo con un Governo che fa del problema sicurezza la questione nazionale, ma che non fa nulla per  garantire la sicurezza di coloro che rappresentano, per certi versi, il motore della nostra società. E la cosa appare ancora più paradossale se si pensa che il cemento è un altro cavallo di battaglia dell’attuale legislatura (vedi il recente piano casa).
Questo Governo rappresenta il volto peggiore e ahimé, maggioritario di questo paese. Rappresenta, per esempio, quelli che si mostrano xenofobi e poi vanno a cercare gli stranieri come mano d’opera a basso costo. Rappresenta un liberismo economico cialtrone che altrove è già stato abbandonato da tempo. Si urla alla privatizzazione, per esempio, e poi è il pubblico che deve intervenire per sanare i disastri dell’economia liberista e della criminalità finanziaria che ci ha portato sul lastrico. C’è un immenso ritardo culturale in questo paese di provinciali al potere.

Se è vero che la classe politica è lo specchio della società civile, lo stesso discorso si può fare per la classe imprenditoriale. Dobbiamo sentirci tutti colpevoli per ciò che sta accadendo nel nostro paese?
Non penso che tutti gli imprenditori siano dei malfattori, anzi. Il problema è che oggi la moneta cattiva scaccia la buona. Come fa a competere un imprenditore onesto che lavori nell’edilizia dove ci sono centinaia di colleghi che gli fanno una concorrenza più che sleale sui costi? Hai voglia di fare case di qualità se poi il tuo concorrente fa lavorare in subappalto gente in nero che costa un terzo. L’imprenditore onesto è costretto a chiudere in poco tempo. Così come l’artigiano che fattura paga una quantità enorme di tasse e il suo collega che lavora in nero si fa la casa al mare, ai monti e la macchinona mandando i figli all’asilo gratis perché il suo reddito dichiarato è misero.

* Direttore blog VerdeNero.