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Carte false. Sul caso Ilaria Alpi verità traslucide
di Emiliano Angelelli

Giovedì 18 giugno, nel corso dell’inaugurazione della XV edizione del Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi si è tenuta, a Riccione, la presentazione di Carte false. L'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità. Hanno partecipato Roberto Scardova, Mariangela Gritta Grainer, Luciano Scalettari e Andrea Purgatori, con la moderazione di Andrea Vianello. Nel corso del dibattito è stata proposta una ricostruzione della vicenda della spedizione e dell'omicidio dei due giornalisti, aprendo al contempo sui punti ancora oscuri del caso, e sulla verità processuale e giornalistica.

Vi proponiamo, a seguire, un’intervista realizzata con Mariangela Gritta Grainer, consulente ai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi, portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi e autrice di uno dei contribuiti che compongono il libro.

Quindici anni d’inchieste e non siamo ancora arrivati alla verità sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Nonostante la Commissione Taormina abbia lavorato sul caso dal gennaio 2004 al febbraio 2006, sembra ancora lontana una conclusione. Ultimamente, però, la magistratura ha rifiutato la possibilità di archiviazione. Quali prospettive ci sono per il futuro?
Una domanda difficile. Anche perché più passa il tempo e più diventa complicato arrivare alla verità giudiziaria. Io credo, però, che attraverso un impegno così esteso come quello riscontrato negli anni nella società civile, si possa tenere aperta la speranza di giungere alla verità.

La Commissione Taormina in realtà aveva fatto di peggio, pretendendo di aver chiuso il caso appurando che si trattava di bravi giornalisti (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ndr) morti per una fatalità. Così aveva concluso la relazione della Commissione, mentre le due relazioni di minoranza (quella del centrosinistra e quella dell’onorevole Mauro Bulgarelli) avevano affermato che tutto il lavoro portato avanti rinforzava l’ipotesi che si fosse trattato di un’esecuzione e che l’obiettivo di questa erano proprio Ilaria e Miran.

Il fatto che il Gip abbia respinto la richiesta di archiviazione è un fatto importante perché a questo è seguita la prova del dna sulla macchina (la Toyota su cui presumibilmente viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ndr), fatta venire appositamente in Italia dalla Commissione Taormina dopo 12 anni. Ciò che emerge è che quel sangue è sì di un soggetto femminile, ma non di Ilaria Alpi. E dunque Ilaria non si trovava su quella macchina. E le possibilità sono due: o quella macchina è falsa oppure Ilaria è stata uccisa altrove.

Il caso Ilaria Alpi è uno dei tanti misteri italiani. Prove che spariscono, testimoni che scompaiono, il coinvolgimento dei servizi segreti, ma soprattutto traffici di rifiuti tossici e di armi… La cosa sconvolgente è che dopo tanto tempo questi traffici vanno avanti.
Questa è la ragione fondamentale per cui non si arriva alla verità. Naturalmente parlo sempre di verità giudiziaria. Perché tutti sappiamo com’è andata, ma si tratta di una verità traslucida e non avvalorata da una sentenza della magistratura che abbia individuato gli esecutori e i mandanti.

Che cosa allora materialmente impedisce alla magistratura di fare il suo lavoro?
Userò le parole del magistrato Luciano Tarditi, Pm di Asti che, negli anni appena successivi alla morte dei due giornalisti, aveva seguito un traffico di rifiuti tossici che s’incrociava con il caso Ilaria Alpi. Naturalmente tutta la documentazione che riguardava Ilaria Alpi venne mandata a Roma perché di competenza del magistrato che si era occupato della vicenda e purtroppo non ne fu tenuto conto in alcun modo. Parlando l’anno scorso con Tarditi, proprio ad Asti, mi disse che quando la magistratura vuole arrivare alla verità, usando mezzi leciti, democratici, costituzionali, in qualche modo alla verità ci si arriva. Se questo non avviene è perché non si vuole farlo.

Oppure glielo si impedisce. Lo abbiamo visto recentemente con il caso De Magistris…
È vero. E anche in questa circostanza c’è stato un magistrato rimosso dal suo incarico. Si tratta di Giuseppe Pititto, il secondo magistrato che si occupò dell’uccisione di Ilaria Alpi. Tra l’altro questo avvenne in un momento particolarissimo dell’indagine. Perché il dottor Pititto aveva compiuto alcuni passi importanti: aveva fatto riesumare il cadavere, e predisposto l’autopsia e una serie di perizie, aveva iscritto sul registro degli indagati il sultano di Bosaaso, l’ultima persona che aveva parlato con Ilaria Alpi, e poi aveva individuato e fatto venire in Italia, attraverso l’attività investigativa della Digos di Udine, l’autista e uno degli uomini della scorta, due personaggi chiave, in quanto testimoni oculari. Alla vigilia della venuta in Italia di queste due persone, però, (siamo nell’estate del 1997) al magistrato viene tolta l’inchiesta. Quindi a interrogare i due testimoni sarà un nuovo magistrato che li ascolta entrambi e poi li rimanda prontamente indietro.

E i funzionari della Digos di Udine vengono immediatamente allontanati dai loro incarichi…
Questo per opera della famigerata Commissione Taormina. Una commissione che però ha avuto un merito su tutti, che è stato quello di acquisire tutta la documentazione esistente sul caso. Sei mesi dopo, quando Taormina ha capito come giravano le cose, ovvero che non c’erano dubbi che si fosse trattato di un’esecuzione, ha iniziato a indagare con un gruppo di persone a lui fedeli su chi fino a quel momento aveva seguito il caso (giornalisti, magistrati, settori di Polizia) cercando di demolire il lavoro fatto. È così che sono stati sospesi e indagati i funzionari della Digos, che però poi sono stati assolti. In ogni modo sappiamo benissimo che il lavoro investigativo a volte è un lavoro sporco, nel senso che non tutto il materiale che si raccoglie corrisponde a verità e che all’interno di esso bisogna saper discernere. Ma non c’è dubbio che gli esponenti della Digos di Udine, a partire da chi li dirigeva, la dottoressa Antonietta Motta Donadio, hanno fatto un lavoro egregio. Perché senza di loro l’autista e l’uomo della scorta non li avremmo mai rintracciati.

Visto lo stato attuale delle indagini, all’interno di Carte false non ci sono naturalmente risposte definitive, ma c’è una quantità di materiale, ricostruito con dovizia di particolari da Roberto Scardova e grazie al contributo di Barbara Bastianelli, Francesco Cavalli, Mariangela Gritta Grainer, Alessandro Rocca e Luciano Scalettari, tale da consentire al lettore, così come è stato per la Digos di Udine, di fare il proprio lavoro di discernimento e capire cosa è successo a Mogadisco quel 20 marzo del 1994.

“Un libro”, così come ha concluso l’incontro di Riccione Andrea Vianello, “è per chi ama la verità e non le carte false”.