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Inchiesta all’amianto
Intervista a Stefania Divertito
di Emiliano Angelelli

Una giovane giornalista decide di percorrere la via crucis dell’amianto. Nelle scuole elementari, nelle case di periferia, sulle navi che ancora oggi intossicano i porti, nelle fabbriche, racconta di chi deve combattere contro l’ottusità delle burocrazie (e l’indifferenza di un’intera classe politica) che trasforma in un calvario anche una semplice richiesta di pensione. Si intitola Amianto. Ritratto di un serial killer il nuovo VerdeNero Inchieste scritto da Stefania Divertito, in libreria dal 14 ottobre. Il libro è stato presentato in anteprima il 10 ottobre nel corso di Cinemambiente, il festival di cinema ambientalista di Torino.

Parliamo innanzitutto dei risarcimenti e delle pensioni. Perché è così difficile in Italia vedersi riconosciuto un diritto del genere?
Stefania Divertito: Qual è il diritto che è facile farsi riconoscere in Italia? A parte le facili battute, i lavoratori che hanno il diritto alla pensione perché hanno respirato l’amianto, generalmente hanno davanti a loro un cammino lungo e difficile prima che possano effettivamente ricevere i dovuti benefici previdenziali.
Innanzitutto perché la normativa è, a seconda dei settori, farraginosa e confusa.
Ad esempio, prendiamo il settore dei marittimi. Per poter accedere ai benefici devono dimostrare di aver lavorato in ambienti contaminati con le fibre e per farlo dovrebbero farsi firmare il curriculum dagli armatori. Senonché il settore della navigazione è caratterizzato da un’estrema mobilità lavorativa. Spesso poi gli armatori sono falliti ed è impossibile ricostruire il proprio curriculum lavorativo con esattezza. Oppure il caso dei lavoratori portuali genovesi. La procura ha scoperto che decine di loro hanno manomesso i propri documenti per dimostrare un’esposizione all’amianto invece inesistente. Quindi l’Inail, l’ente truffato, ha sospeso l’erogazione delle pensioni, che già era in corso, per poter effettuare delle verifiche, lasciando però senza soldi migliaia di lavoratori, compresi coloro che con la truffa non c’entrano nulla. Per non parlare di quelle fabbriche dove i lavoratori sono stati inconsapevolmente a contatto con le fibre di asbesto. Oppure come nei casi di alcuni operai delle officine ferroviarie, dove lo stesso datore di lavoro non ammette che ci sia stata esposizione. Non si tratta di velleità economiche di chi intende arricchirsi a spese della previdenza pubblica: chi ha respirato l’amianto durante la carriera lavorativa è stato esposto a un rischio concreto, e pertanto va tutelato. Credo che sia difficile, senza una forte e coesa azione politica.

Quali passi in avanti sono stati fatti da questo punto di vista?
S.D.: “Laddove non arriva il legislatore o il politico interviene l’azione giudiziaria”. Me l’ha detto, non celando una certa soddisfazione, il presidente del Cocer (il Consiglio centrale di rappresentanza) Marina Alessio Anselmi riferendosi al buon risultato ottenuto recentemente dalla procura di Padova. Dopo una interminabile serie di udienze preliminari sono stati infatti rinviati a giudizio otto alti ufficiali della Marina Militare per omicidio colposo. Secondo la procura tra il 1980 e il 1994 (quindi anche oltre la data in cui è stata emanata la legge che mette al bando l’amianto in Italia) gli ufficiali hanno omesso di informare i marinai dei pericoli a cui andavano incontro. Circa 400 di loro si sono ammalati e molti sono morti per malattie asbesto-correlate. La Marina Militare, pochi giorni prima dell’udienza di rinvio a giudizio, ha stabilito di voler risarcire con 800 e 850 mila euro le famiglie delle due vittime che hanno dato il via al processo. Sempre per rimanere in tema di marittimi, in molti casi i giudici amministrativi regionali hanno decretato che per ottenere i contributi previdenziali basta avere il libretto di navigazione, senza dover quindi rintracciare gli armatori.

L’esposizione all’amianto può lasciare dietro di sé tracce indelebili. Fibrosi polmonare (asbestosi), lesioni pleuriche e peritoneali, carcinoma bronchiale e mesotelioma pleurico: se una di esse compare non ci sono dubbi, l’esposizione c’è stata. E non c’è una dose minima al di sotto della quale possiamo essere sicuri di non ammalarci. Che cosa significa concretamente?
S.D.: Un tempo il mondo scientifico sosteneva che per potersi ammalare di malattie asbesto-correlate occorreva essere stati sottoposti a un’esposizione continuativa e prolungata. Adesso invece studi più recenti testimoniano che ciò non è affatto detto: potrebbe essere sufficiente anche aver respirato la polvere killer in momenti differenti o per poco tempo. Questo ovviamente non significa che chiunque si sia trovato a contatto con questo minerale poi si ammalerà, ma vuol dire che potrebbe ammalarsi. La prevenzione è sicuramente uno degli aspetti più rilevanti da tenere in considerazione. E quindi crollano anche le motivazioni di quei datori di lavoro – mi vengono in mente alcuni dirigenti d’industria – che si credono al di sopra di ogni accusa perché i propri dipendenti sono stati esposti solo in alcune fasi della lavorazione. Ecco, la loro posizione è destinata a crollare.

Solo in Italia ogni anno muoiono 4.000 persone a causa di mesoteliomi e asbestosi. Nel nostro paese la fibra killer ha causato un numero elevato di morti, sia nelle città dove erano presenti fabbriche per la produzione di Eternit (l’esempio più noto è Casale Monferrato) sia nei cantieri navali. E proprio per i militari e per chi lavorava nei cantieri la via crucis per ottenere i risarcimenti è stata ed è particolarmente lunga.
S.D.: Sì, come ho detto prima, per loro si tratta di un vero e proprio calvario, anche se recentemente si stanno aprendo degli spiragli. Ma alcune storie restano assurde da concepire, come quella di Federica, una ragazza di Marina di Carrara. Suo padre lavorava ai nuovi Cantieri Apuani e respirava l’amianto tutti i giorni. Quando purtroppo è deceduto, prima c’è stato il riconoscimento della causa di servizio, ma poi l’Asl ha presentato un ricorso negando la causa di servizio e il tribunale ha dato ragione all’azienda sanitaria obbligando addirittura Federica e la sua famiglia a restituire quanto ricevuto come benefici previdenziali. C’è ancora il ricorso in Cassazione pendente, ma questa famiglia sta vivendo con la spada di Damocle di un debito pesantissimo quanto assurdo.

Anche se, come dicevi prima, ultimamente si è aperto qualche spiraglio con il risarcimento concesso da parte del Ministero della Difesa ai familiari di due marinai deceduti per aver prestato servizio su navi imbottite d’amianto.
S.D.: Sì, il risarcimento predisposto dalla Marina è stata una bella sorpresa non solo per le due famiglie, ma anche per noi tutti che da anni seguiamo questa vicenda. È un’ammissione di responsabilità inedita e importante. Ovviamente non ci sono solo queste due famiglie, ma tante altre vittime. Questa decisione potrà costituire un precedente? Lo scopriremo solo con il passare del tempo e continuando a seguire tutta la vicenda.

L’amianto fino a qualche anno fa era onnipresente nelle nostre vite e ha mietuto vittime anche tra coloro che non avevano mai lavorato né in una fabbrica né tantomeno nel settore dell’edilizia. Semplici cittadini, con l’unica colpa di essere nati troppo vicino a una discarica abusiva o inconsapevoli dirimpettai di tettoie pericolose. O magari le mogli degli operai... Una tragedia estremamente democratica da questo punto di vista...
S.D.: Sì, purtroppo. A Monfalcone, a Taranto, a Casale Monferrato, anche a La Spezia, da alcuni anni ad ammalarsi non sono più soltanto i lavoratori, ma anche i loro parenti. Le mogli che hanno lavato le tute da lavoro, ad esempio. A testimonianza del fatto che l’esposizione prolungata non è una conditio sine qua non per ammalarsi. Spesso accade che ci sia una malattia da amianto e il paziente non ne abbia mai sentito parlare. In quei casi può essersi trattato di un qualunque tipo di esposizione. Basti pensare che in Italia ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di fibra sparsi ovunque. Il contatto con questo pericolosissimo materiale può avvenire in qualsiasi contesto, anche oggi avviene forse soprattutto inconsapevolmente. Per questo voglio sottolineare ancora una volta che la prevenzione è fondamentale.

Nel luglio scorso il gup Cristina Palmesino ha rinviato a giudizio Stephan Ernest Schmidheiny e il barone belga Jean Marie Louis Ghislain De Cartier De Marchienne, i due imprenditori titolari del gruppo Eternit che lavorava l’amianto in Italia. L’accusa è di disastro doloso e rimozione volontaria di cautele. Cosa si possono aspettare i famigliari delle vittime da questo processo (così come da quello di Padova)?
S.D.: Ho incontrato il pm Raffaele Guariniello e ho letto parte delle carte del processo. È imbastito grazie a migliaia di documenti e di testimonianze. Racconti documentati e precisi che evidenziano un comportamento incurante della salute dei lavoratori. Il pull difensivo dei due miliardari è molto accanito e le ha provate tutte, anche solo far spostare il processo da Torino, ma non ci sono riusciti. Bisogna riconoscere anche che i due imputati sono molto anziani e rappresentano più di quanto oggi siano davvero. Il loro resta comunque un impero finanziario ed economico. I risarcimenti economici potranno essere consistenti. Le famiglie si aspettano anche un segnale forte di giustizia. Non a caso i difensori di Schmidheiny e di De Marchienne nella loro requisitoria hanno tentato di sottolineare che il processo deve riferirsi all’operato dei due uomini Eternit e non deve cercare una sentenza esemplare. Io penso invece che quello che serve a tutte le Eternit che sono disseminate nel nostro paese sia proprio una sentenza esemplare che stabilisca un principio di verità e giustizia, e cioè che la salute dei lavoratori è un valore e un diritto che vanno tutelati, qualsiasi sia l’impegno economico da dover affrontare.