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Polemiche di governo su quote di CO2 ed energia
di Ilaria Di Bella

“Una polemica infondata e pretestuosa nel metodo e nel merito. Il distacco tra gli obiettivi e i risultati raggiunti sulla riduzione delle emissioni di CO2 non riguarda la grande maggioranza dell’industria italiana”. Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella Commissione Ambiente del Senato, da sempre impegnato sui temi dell’energia (sua la mozione con cui il Pd ha contrastato in aula il documento del Pdl contro il solare), definisce così l’ennesimo acceso dibattito tutto italiano sul tema della strategia europea contro i cambiamenti climatici. Questa volta a innescare la miccia è stato il “botta e risposta” tra la nostra Presidenza del Consiglio e la Commissione europea: a una lettera con cui Palazzo Chigi chiedeva di aprire una discussione sulle quote di emissione, l’Unione ha replicato definendo “non negoziabili” gli accordi presi. A seguire, un fiume di dichiarazioni, tra cui quelle del ministro dell’Ambiente.

Nei giorni scorsi il ministro Stefania Prestigiacomo in un’intervista ha dichiarato che il governo ha sollevato un problema che c’è e va affrontato subito, perché il piano delle emissioni italiano è sbagliato, prevede quote insufficienti, e dunque finirebbe col danneggiare le nostre aziende. Ha detto: l’Ue ci deve venire incontro...
Roberto Della Seta: La polemica innescata dal governo Berlusconi nei confronti della Commissione europea sulle quote di emissione è infondata e pretestuosa sia nel metodo sia nel merito. Nel metodo c’è una decisione (il piano nazionale delle emissioni, ndr) che è stata assunta quando era in carica il precedente governo e contro la quale non è stato fatto ricorso, nonostante si potesse. Dunque, a questo punto le quote di emissione per l’Italia sono quelle a suo tempo concordate tra quel legittimo governo e la Commissione europea e sono a tutti gli effetti vincolanti per il nostro paese.
Nel merito, poi, questa polemica ha ancora meno ragioni d’essere. Il distacco registrato tra le quote che ci sono state assegnate e le emissioni reali non riguarda l’industria italiana. Questa è una fantasia che viene ripetuta, temo volutamente, per nascondere un fatto che i dati fotografano. Grandissima parte di questo ritardo è concentrato in unico settore: quello delle grandi centrali termoelettriche, e cioè delle centrali Enel. La ragione fondamentale è che in questi anni l’Italia, in quel settore, ha scelto la via del carbone, riconvertendo grandi impianti. Tra tutte le fonti fossili, come si sa, il carbone è quella a più bassa efficienza in termini di emissioni di CO2. Se l’Italia continua a puntare proprio su questo cavallo, temo che sarà sempre meno realistico rispettare gli obiettivi concordati. L’industria italiana, invece, è assolutamente in linea con gli standard e gli obiettivi europei, anche perché le nostre imprese sanno che ridurre le emissioni e risparmiare energia è utile dal punto di vista della competitività, per esempio tagliare la bolletta significa diminuire i costi di produzione e quindi reggere meglio la concorrenza. Solo in Italia la scelta dell’efficienza energetica viene presentata dal governo come penalizzante per il sistema produttivo.

A fine luglio il Senato ha approvato una mozione del Pdl che boccia il solare fotovoltaico, in controtendenza con quanto sta succedendo nei più grandi paesi del mondo e ha respinto una mozione sulle rinnovabili a firma Della Seta, sostenuta da tutto il gruppo democratico. Il giorno prima alla Camera era stato approvato un ordine del giorno dell’opposizione che impegnava il governo sulle rinnovabili. Confusione?
R. D: C’è confusione, ma anche ignoranza di quale sia la posta in gioco, e forse anche un po’ di malafede. Da una parte il governo italiano firma ai tavoli negoziali internazionali documenti che individuano nei mutamenti climatici la principale minaccia non solo ambientale ma anche economica per il benessere presente e futuro del nostro paese e dell’umanità, dall’altra con la sua maggioranza in Parlamento vota mozioni che negano il problema dei mutamenti climatici, che sostengono che questo è un problema inventato dagli ambientalisti e che bisogna tagliare i finanziamenti all’energia solare. L’unica scelta certa e chiara nelle strategie del governo Berlusconi è quella insana di tornare al nucleare. È una scelta pericolosa dal punto di vista ambientale e della sicurezza, perché il nucleare attuale non ha risolto nessuno dei problemi che l’hanno reso così impopolare. È una scelta anche economicamente suicida: costruire quattro centrali da 6.400 megawatt significa spendere 20/25 miliardi di euro per un contributo ai consumi di energia del paese pari al 5%. E sto parlando di fondi privati ma anche, in gran parte, di fondi pubblici. Stanziamenti che toglieranno risorse, attenzione e centralità, a quella che deve essere la direzione di marcia: investire sull’efficienza energetica e sulle rinnovabili. La Green Economy non è uno slogan, già oggi in Europa è il titolo sotto il quale, anche durante questi mesi di crisi, sono stati creati nuovi posti di lavoro e nuove imprese. Con la prossima finanziaria, appena presentata, viene invece cancellato il famoso sgravio fiscale, introdotto dal governo Prodi, del 55% sulle spese sostenute per ristrutturazioni degli edifici finalizzate all’efficienza energetica. Questo ci farà perdere altro terreno.

Resta l’obiezione: le rinnovabili non rappresentano ancora una quota sufficiente di mercato, il nucleare può aiutare a tagliare le emissioni.
R. D: A parte il fatto che sono già 15 le Regioni, governate sia dal centrosinistra sia dal centrodestra, che hanno fatto ricorso alla Consulta, o si stanno orientando per farlo, contro la possibilità che il governo decida dall’alto la scelta dei siti per gli impianti, prevista dalla legge “sviluppo” che ha sancito il ritorno al nucleare. Se pure qualche Regione di centrodestra accetterà la localizzazione, si tratterà di capire quale sarà il grado di accettazione sociale di queste eventuali scelte sui territori. Comunque... Le centrali comincerebbero a produrre energia elettrica non prima del 2025, mentre stiamo parlando di obiettivi molto più stringenti ravvicinati nel tempo, perché i mutamenti climatici non aspettano. L’efficienza energetica è invece un traguardo che consente alle famiglie di pagare meno le bollette e alle imprese di abbassare i costi energetici delle loro produzioni. E produce risultati in tempi brevissimi.