In questo numero

Dignità del tascabile di Marco Moro
Tutti i colori dell'energia “verde”. Intervista a Roberto Rizzo di Filippo Franchetto
Salute verde. Intervista a Luca Carra e Margherita Fronte di Anna Satolli
Biodemocrazia di Vandana Shiva
100 domande sul cibo. Intervista a Stefano Carnazzi di Emiliano Angelelli
Green jobs. Intervista a Marco Gisotti di Diego Tavazzi
Pedala che ti passa. Intervista a Silvia Zamboni di Paola Fraschini

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Biodemocrazia*
di Vandana Shiva

Scrivo questa prefazione dal Ladakh, la fredda regione desertica che occupa gran parte dell’India settentrionale. L’unica fonte d’acqua è costituita dalla neve che si scioglie sui ghiacciai, ed è grazie ai piccoli ruscelli formati dal disgelo che le comunità del Ladakh hanno potuto creare oasi ricche di vegetazione. Ogni cosa deriva dalla terra e dalla sua biodiversità: gli yak, le pecore e le capre danno latte e fibre, i salici e i pioppi forniscono legname che viene usato per le costruzioni e come fonte di energia, nei campi si coltivano l’orzo e il grano su cui si basa l’alimentazione di queste popolazioni. Quello del Ladakh è un caso lampante di economia basata sulla biodiversità.
È quindi nelle società tradizionali che scopriamo come si può vivere oltre il petrolio e gli altri combustibili fossili. I cambiamenti climatici rappresentano un’altra ragione per rivolgersi alla biodiversità come base del sostentamento umano. Innanzitutto, la biodiversità offre alternative ai combustibili fossili e all’industria petrolchimica. Inoltre, converte l’anidride carbonica – un gas a effetto serra – in carbonio utilizzabile dalle piante e in ossigeno che possiamo respirare. Un’economia incentrata sulla biodiversità agisce quindi come sink per il carbonio, e aiuta sia nell’adattamento sia nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Ciononostante, il paradigma industriale e meccanicista, obsoleto e fuori moda, resiste ostinato. Quando scrissi per la prima volta Campi di battagliaora pubblicato in versione aggiornata, ndr – le applicazioni commerciali dell’ingegneria genetica erano appena iniziate. Oggi stiamo sperimentando le conseguenze ecologiche ed economiche del cibo e dei raccolti geneticamente modificati.
Negli Stati Uniti e in Canada, le colture trattate con l’erbicida Roundup sono state invase da erbe infestanti estremamente tenaci.
In India, il cotone Bt geneticamente modificato ha soppiantato le varietà locali, ha fatto salire il prezzo delle sementi da 7 a 17.000 rupie al chilo, ha incrementato di 13 volte l’uso dei pesticidi, ha costretto molti coltivatori a indebitarsi e li ha spinti al suicidio. Dal 1997, 200.000 persone si sono uccise, e la maggioranza dei suicidi è avvenuta nell’area in cui viene usato il cotone Bt.
L’impiego di questo cotone sta anche determinando la scomparsa di specie utili, come api e farfalle, fondamentali per i processi di impollinazione, e dei microrganismi che assicurano la fertilità del suolo.
Durante lo scorso decennio le coltivazioni geneticamente modificate si sono diffuse in cinque paesi. Soia, grano, canola e cotone rappresentano le colture geneticamente modificate più diffuse in commercio, e la sola Monsanto vende il 95% dei semi geneticamente modificati di tutto il mondo.
Vengono fatte, ovviamente, affermazioni in merito alla selezione genetica di tratti resistenti ai cambiamenti climatici e nel settore sono stati registrati più di 530 brevetti. Tuttavia, le attuali tecnologie di ingegneria non possono manipolare tratti multigenetici. La resistenza alla siccità, alle alluvioni o all’eccesso di salinità è stata selezionata dalla natura e dai coltivatori. Brevettare questi tratti costituisce una forma di biopirateria, un furto culturale ed ecologico di tratti genetici.
La biodiversità deve rimanere nelle mani dei coltivatori, sia perché ne sono stati i primi allevatori, sia perché è solo attraverso la biodiversità che gli agricoltori possono garantire la sicurezza alimentare in tempi di caos climatico.
Mentre i bulldozer abbattono le foreste tropicali per far posto al grano e alla soia, e questi vengono trasformati in bioetanolo e biodiesel per le auto, gli effetti dei cambiamenti climatici e la fame si aggravano.
Per essere basato su monocolture, il sistema alimentare è diventato sempre più dipendente dai combustibili fossili che servono per produrre i fertilizzanti chimici, per alimentare i mezzi agricoli, per i trasporti a lunga distanza che aggiungono chilometri alla filiera alimentare.
Con la diffusione delle monocolture e la scomparsa dei produttori locali, stiamo “mangiando” sempre più petrolio, non cibo, mettendo a repentaglio il pianeta e la nostra salute.
Superare le monocolture della mente è diventato un imperativo per risanare il sistema alimentare. Le piccole aziende agricole che basano il loro lavoro sulla biodiversità hanno una maggiore produttività e garantiscono introiti maggiori ai contadini, e una dieta “biodiversa” nutre meglio e con un gusto migliore.
Riportare la biodiversità nelle nostre fattorie significa anche restituire il territorio ai piccoli coltivatori. Il controllo delle multinazionali prospera sulle monocolture; la libertà alimentare dei cittadini si basa invece sulla biodiversità. La libertà degli esseri umani e delle altre specie viventi si rafforzano a vicenda.
La possibilità di avere uno sviluppo sostenibile richiede che la nostra alimentazione quotidiana si basi sulla democrazia del cibo, ossia la condivisione della rete alimentare da parte di tutti gli esseri viventi. Mangiare cibi locali, freschi e biologici è un piccolo passo per ripristinare e migliorare la rete alimentare. La democrazia del cibo è un elemento essenziale della democrazia sulla Terra, del vivere come suoi cittadini, rispettando i diritti di tutti, ricordando i nostri doveri nei confronti della salute nostra e del pianeta. Mangiando in modo sostenibile, contribuiamo anche alla giustizia e alla pace. Questa è democrazia del cibo, democrazia sulla Terra. Questa è biodemocrazia: la democrazia per tutte le forme di vita.

* Estratto della Prefazione alla nuova edizione di Campi di battaglia.