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Pedala che ti passa. Intervista a Silvia Zamboni di Paola Fraschini

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Pedala che ti passa
Intervista a Silvia Zamboni
di Paola Fraschini

Oggi la rivoluzione si fa pedalando in bicicletta. Si tratta di un processo che fa poco rumore, infatti la bici è silenziosa più di ogni altro mezzo di trasporto. Non solo, non emette inquinanti e in più fa bene alla città, al corpo e pare faccia persino venire il buon umore. Un altro valido motivo per montare in sella. Ne parliamo con l’autrice di Rivoluzione bici, Silvia Zamboni,* in libreria dal prossimo 18 novembre.

Chi sono i protagonisti della rivoluzione a due ruote di cui parli nel libro?
Se consideriamo il nostro paese, la “rivoluzione a pedali” geograficamente è ancora un fenomeno a macchia di leopardo. Dal punto di vista sociale, invece, la bicicletta tende sempre più a essere un mezzo di trasporto trasversale. A cominciare dagli abbonati al bike-sharing (il sistema di bicicletta pubblica a noleggio) che in una città come Milano comprendono anche professionisti probabilmente abituati, in passato, a usare il tassì. Poi ci sono i ciclisti urbani che hanno scelto le biciclette pieghevoli, che utilizzano in combinazione con bus e metropolitane, o con il treno per il pendolarismo extraurbano. In alcune città, Reggio Emilia in testa a tutte, i “rivoluzionari a pedali” in erba sono i bambini che vanno a scuola in bicibus. Soprattutto per il fatto che la bicicletta non si alimenta con i derivati del petrolio e non inquina, ed è un bene di consumo “povero”, economicamente accessibile, è il mezzo di trasporto preferito dai centri sociali, che in alcune città hanno dato vita alle ciclofficine popolari, dove puoi aggiustare la tua bicicletta o realizzarne una ex novo a partire da rottami di biciclette, le cosiddette “bici da adottare”. A Milano e Roma sono anche sorte agenzie di pony express in bicicletta, i bike messengers. Ci sono poi associazioni classiche, come la Federazione amici della bicicletta, che si batte da anni per la diffusione della mobilità ciclabile, e altre meno tradizionali, come i gruppi di critical mass, che organizzano periodicamente uscite mensili in gruppo per occupare le strade sottraendole al dominio incontrastato delle automobili. C’è poi chi sceglie la bicicletta per fare prima, chi per perdere qualche chilo di peso, chi per risparmiare sul costo della benzina, chi, infine, per non inquinare.

Si legge che la bici è una necessità economica, sociale e ambientale… È vero, costituisce indubbiamente un vantaggio per il mondo, ma dove lo mettiamo lo svantaggio per i miei polmoni? In bicicletta respiro più inquinanti rispetto a un automobilista?
Ci sono studi che affermano che all’interno dell’abitacolo delle automobili l’inquinamento è maggiore che all’esterno. L’ho trovato scritto nella pubblicazione della Commissione europea del 1999 “Città in bicicletta. Pedalando verso l’avvenire”. Anche il sito web del Comune di Reggio Emilia riporta i dati di uno studio del 1995 che attesta come gli automobilisti respirino aria più inquinata dei ciclisti. Ciò non toglie, però, che è sempre consigliabile scegliere percorsi poco trafficati e non sostare – per esempio ai semafori – dietro a auto, bus, furgoni, per evitare di respirare i gas di scarico. Il professor Paolo Crosignani dell’Istituto Tumori di Milano sostiene poi che le piste ciclabili andrebbero fatte ad almeno duecento metri dalle vie più inquinate perché a quella distanza l’inquinamento è molto ridotto. Il problema dell’aria inquinata è legato al fatto che sotto sforzo si accelera il respiro per cui se ne inspira di più. Basti pensare che dai 5-10 litri respirati a riposo, si passa a 60 litri con attività moderata e a 130 con attività intensa. Per cui nel libro ho sollevato il problema proprio in questi termini: l’aria inquinata di città che respiriamo pedalando, sotto sforzo, in mezzo al traffico, non danneggia la salute annullando i benefici dell’attività motoria? E visto che non sono un medico, per rispondere mi sono rivolta a degli specialisti.
Secondo la dottoressa Susanna Morgante del Progetto regionale contro la sedentarietà presso il Dipartimento di Prevenzione dell’Asl 20 di Verona, a fare la differenza in termini di riduzione del danno è l’allenamento, in quanto consente di avere una respirazione più regolare e di inspirare volumi inferiori di aria. Più si è allenati, infatti, meno si avverte lo sforzo del pedalare, e di conseguenza si respira più lentamente inspirando meno aria. Ad esempio il tragitto casa-lavoro, o casa-scuola o casa-negozio, fatto da una persona allenata comporta un’accelerazione del respiro di gran lunga minore, ovvero diventa un’attività fisica moderata o addirittura leggera. La questione quindi non è se indossare o non indossare la mascherina, che è solo moderatamente utile perché non filtra le particelle più piccole e più dannose. Per chi non è allenato ciò che conta è iniziare con gradualità, perché quanto più la persona si allena, tanto più l’accelerazione del respiro si riduce, quindi è minore il volume d’aria che si inspira, comprese le sostanze inquinanti che si accompagnano all’aria delle nostre città. In ogni caso, secondo la dottoressa Morgante i benefici legati all’attività motoria in bicicletta sono superiori agli inconvenienti derivanti dal respirare l’aria inquinata di città. Per questo, il Dipartimento di Prevenzione di Verona, in collaborazione con la Fiab-Federazione italiana amici della bicicletta, nel 2006 ha avviato il progetto “Pedala che ti passa” rivolto ad anziani, a pazienti diabetici di tipo due e a portatori di malattie croniche dell’apparato cardiocircolatorio, alla popolazione di ogni età non allenata, a chi soffre di problemi di metabolismo e ha quindi di bisogno di avviare un’attività fisica moderata. Il progetto consiste nell’organizzare due-tre uscite di gruppo in bicicletta nel corso della settimana, sia in città sia lungo percorsi extra urbani di interesse naturalistico con l’obiettivo di promuovere l’uso regolare della bicicletta nella quotidianità.

Mi metto nei panni dei pigri, di quelli che pensano che pedalare in città sia troppo faticoso, pericoloso e troppo lento rispetto all’automobile, come ribatti a queste obiezioni?
Se si è minimamente allenati e ci si sposta in città pianeggianti, su distanze medie, al di sotto dei due chilometri – che nel nostro paese corrispondono al 50% degli spostamenti quotidiani casa-luogo di lavoro – direi che la fatica non la si avverte. Al contrario, le endorfine che si liberano con il movimento mettono semmai di buon umore. Per quanto riguarda i pericoli rappresentati dal traffico urbano, inutile negarlo: rischi per la propria incolumità fisica se ne corrono. Bisogna quindi fare molta attenzione. I rimedi per aumentare la sicurezza dei ciclisti (e dei pedoni, gli altri utenti deboli della strada) però ci sarebbero, se le amministrazioni locali volessero fare qualcosa: realizzazione di corsie e piste ciclabili da un lato, e interventi e misure di moderazione del traffico dall’altro, come ad esempio il limite massimo di velocità di 30 km/h, con aree residenziali a 10 km/h. Casi come quello di Chambery, in Francia, che cito nel libro, dimostrano che con adeguate politiche per la sicurezza stradale si possono ottenere risultati eccellenti e una drastica riduzione degli incidenti. Rispetto alla lentezza della bicicletta nei confronti dell’automobile, se parliamo di percorsi brevi nei centri urbani, direi che in tutte le gare che sono state organizzate tra l’auto e la bicicletta, la seconda ha sempre avuto la meglio, anche perché può passare in aree vietate alle macchine, e giunta alla meta non ha il problema del parcheggio. Benché anche la caccia al palo libero a cui attaccare la bicicletta, vista la penuria di rastrelliere, a volte porti via tempo. Sempre meno, però, di quello che occorre per parcheggiare la macchina.

Nel libro parli di città come Ferrara, Bolzano, Reggio Emilia, Padova, Mestre, Parma: dobbiamo dedurre che prima o poi anche da noi sembrerà di vivere in città a misura d’uomo come accade nei centri urbani del Nord Europa?
Per lo meno è sperabile. Le città italiane amiche della bicicletta che ho citato nel libro sono la riprova che se si applicano con costanza, per più anni, politiche a favore della diminuzione dell’uso dell’auto, con investimenti adeguati per la mobilità ciclabile, si possono ottenere anche da noi alte percentuali di uso della bicicletta, senza bisogno di essere danesi o olandesi. In pochi anni Bolzano è arrivata al 25% di modal share della bici, vuol dire che, su 100 spostamenti giornalieri, 25 sono fatti in bicicletta; Ferrara è al 29%, oltre 30% se consideriamo anche studenti e pendolari; Mestre è al 25%. Certo, c’è ancora molto da… pedalare per arrivare al 37% di Copenaghen, però siamo sulla buona strada.

Le città si devono attrezzare (mezzi pubblici con possibilità di trasporto bici, rastrelliere e ciclofficine, ma anche sicurezza). È vero che la bici fa bene anche alla fisionomia della città?
Le città che riconoscono il diritto a esistere delle biciclette e creano le condizioni per farle circolare in sicurezza, liberano spazio a favore di pedoni e ciclisti sottraendolo alle automobili, predispongono rastrelliere o cicloparcheggi per la sosta ordinata, realizzano piste ciclabili nel verde: sono città meno inquinate, meno congestionate dal traffico, più silenziose, in altre parole più vivibili, più conviviali. Perché, come mi hanno detto alcune delle persone che ho intervistato, la bicicletta è un tratto leggero sulla città, è un modo di presentarsi delicato, in punta di piedi.

Infatti… “La bicicletta è un mezzo di straordinaria leggerezza per entrare nei luoghi, è un modo di presentarsi con delicatezza, gentilezza, non invasivo, in punta di piedi.” Tutto l’opposto dei suv che invadono e ingombrano le nostre strade cittadine, si tratta di controtendenza? Possiamo sperare che la bici diventi il prossimo status symbol?
Direi che i veri nemici dei suv sono il caro-benzina e la crisi economica: basta guardare cosa è successo e sta succedendo negli Stati Uniti, patria dei suv, dove le vendite di questi bisonti sono crollate, al punto che la Chrysler chiuderà la linea di produzione per fare piccole utilitarie. In Italia il fenomeno suv è quanto mai insensato nelle nostre città, dove non ci sono condizioni meteo così estreme da giustificarne l’acquisto, né dislivelli impervi. Quanto alla bicicletta, basterebbe che, anche senza diventare uno status symbol, fosse percepita come un mezzo di trasporto veloce, sano, economico e divertente. E, se vogliamo combattere davvero i drammatici cambiamenti climatici ormai in atto, come il mezzo ideale per i nostri spostamenti quotidiani a zero emissioni di CO2.

Gli incentivi stanno cambiando il mercato dell’auto, spingendo verso prodotti meno inquinanti, ma pur sempre inquinanti. Per sostenere invece la diffusione di un mezzo di trasporto a zero emissioni come la bici non è previsto nulla?
Al contrario: ad aprile di quest’anno sono starti stanziati, per la prima volta, degli incentivi per l’acquisto di normali biciclette, voglio dire non a pedalata assistita elettricamente, che sono stati “bruciati” in pochissimi giorni. Al punto che ne hanno stanziata un’altra tranche a settembre.

Nel pacchetto sicurezza approvato a luglio, una norma consente, oltre che di multare, anche di togliere punti alla patente automobilistica dei ciclisti che commettono infrazioni. Da che parte sta il governo?
La norma l’ha voluta il governo, quindi sostiene questo provvedimento, che è discriminatorio a vantaggio dei ciclisti non patentati e dei pedoni. Se passo in bicicletta con il rosso e ho la patente automobilistica, mi fanno la multa e perdo punti della patente. Se invece sono un pedone o un ciclista senza patente, prendo solo la multa.

 

* Giornalista, è stata assessora all’Ambiente del Comune di Bologna.