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I negazionisti climatici
Intervista a Stefano Caserini
di Diego Tavazzi

Dal 7 al 18 dicembre si svolgerà a Copenaghen la 15a Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, durante la quale si cercherà di raggiungere un accordo con cui sostituire il Protocollo di Kyoto (la cui validità cesserà nel 2012). A differenza delle passate edizioni, questa volta hanno annunciato la loro presenza anche premier e capi di Stato, tra cui Barack Obama, Wen Jiabao, Angela Merkel, Gordon Brown e Ignacio Lula da Silva. Al di là dei risultati finali, questa partecipazione imponente dà la misura dell’attenzione (e della preoccupazione) con cui viene affrontato il tema in discussione. Ciononostante, in Italia è ancora ampio il fronte di coloro che vengono definiti “negazionisti climatici” e che, pur a fronte di una mole sempre più imponente e incontrovertibile di dati e conoscenze, negano o contestano l’esistenza del riscaldamento globale antropogenico e dei cambiamenti climatici. Abbiamo chiesto a Stefano Caserini, autore del tascabile Guida alle leggende sul clima che cambia, un’opinione in merito.

A distanza di due anni dalla pubblicazione di A qualcuno piace caldo riprendi l’esame delle posizioni dei negazionisti climatici: cosa è cambiato da allora nell’atteggiamento e nelle strategie di chi nega che l’attuale riscaldamento globale sia in gran parte causato dalle attività umane?
Non è cambiato molto, almeno qui in Italia. In generale si può dire che queste voci hanno perso smalto e appaiono meno frequentemente sui mezzi di informazione. L’ulteriore consolidarsi delle evidenze scientifiche sulla realtà del riscaldamento globale e l’inserimento del tema nell’agenda politica a livello internazionale hanno di fatto portato all’emarginazione delle voci che contestano i punti fondanti della scienza del riscaldamento globale. Alcune voci proseguono imperterrite a sostenere che il problema non esiste, è tutto un bluff, una mistificazione: si pensi che la nevicata del 2009 ha portato alcuni giornali a mettere in dubbio la realtà del riscaldamento globale, con editoriali intitolati “La balla spaziale”. Quanto alla strategia, in Italia non c’è mai stata; si tratta di voci isolate, anche molto diverse fra loro.

Secondo l’Ipcc l’innalzamento delle temperature è in gran parte correlato all’aumentata concentrazione di gas climalteranti nell’atmosfera. Le spiegazioni alternative invocano invece i fattori più diversi: il sole, i raggi cosmici, la naturale variabilità del clima... Pensi che in questa ricerca di spiegazioni alternative per il riscaldamento globale ci siano elementi validi?
È sicuramente utile cercare spiegazioni alternative. E di valido nelle ricerche sull’ipotesi solare c’è sicuramente qualcosa, perché su come il sole influenza il clima c’è molto ancora da capire. L’importante però è applicare a questi studi lo stesso atteggiamento “scettico” con cui si valuta la spiegazione prevalente del riscaldamento globale. Se si osservano con uno sguardo scettico, rigoroso dal punto di vista scientifico, tutte le teorie che cercano di dare importanza all’“ipotesi solare” non reggono: il sole ha avuto un ruolo marginale nel riscaldamento globale degli ultimi 30 anni.

Spesso i negazionisti climatici sostengono che la comunità scientifica è divisa e che sull’argomento non c’è un consenso definitivo. Cosa rispondere a questa obiezione?
Rispondo che non è vero. Sul tema del cambiamento climatico, l’esistenza di un solido consenso scientifico è ormai indiscutibile, come hanno mostrato diverse indagini. L’ultima di queste è stata pubblicata sulla rivista EOS e ha portato i risultati di un sondaggio in cui erano poste direttamente agli scienziati alcune domande fra cui “Il pianeta si sta scaldando?” e “L’attività umana è un fattore significativo nel variare le temperature globali del pianeta?”. Hanno risposto “sì” alle due domande rispettivamente il 90 e l’82% degli intervistati. La cosa interessante di questa ricerca è che la percentuale dei “sì” cresce nettamente passando da studiosi senza pubblicazioni a studiosi con pubblicazioni in altri settori (es. geologia, meteorologia, economia), agli esperti di climatologia, identificati per l’aver più del 50% dei lavori scientifici pubblicati nel settore dei cambiamenti climatici. Fra questi ultimi le percentuali dei due “sì” salgono rispettivamente al 96,2 e 97,4%. La conclusione della ricerca è stata: “Sembra che il dibattito sull’autenticità del riscaldamento globale e del ruolo delle attività umane non esista fra chi capisce le sfumature e le basi scientifiche dei processi climatici a lungo termine”.

Oltre alla sincera volontà di accrescere la conoscenza scientifica, che senz’altro è presente, quali sono le motivazioni di chi nega l’origine antropica del riscaldamento globale?
Le ragioni sono tante. In Italia queste posizioni non sembrano avere come prima e diretta spiegazione ragioni di natura economica e finanziaria, ossia la difesa di interessi corporativi. A differenza ad esempio della situazione statunitense, in cui alcuni episodi di pressione delle lobby dell’industria petrolifera sulle politiche climatiche hanno avuto grande risalto, alla base del negazionismo italiano ci sono spesso l’esibizionismo, il narcisismo, la ricerca di visibilità che può arrivare dal cantare fuori dal coro. Il problema climatico per altri è uno dei fronti di una battaglia ideologica, volta a difendere a tutti i costi l’attuale concezione dello sviluppo e della produzione, le “magnifiche sorti e progressive”; oppure una visione religiosa dell’uomo e della natura.

Perché i negazionisti climatici non menzionano quasi mai i possibili feedback positivi, ossia i fenomeni che possono portare a una intensificazione del riscaldamento globale?
Per definizione il negazionismo climatico si pone su un piano non scientifico, non è interessato a una valutazione razionale delle evidenze e delle incertezze, dei motivi per cui il clima potrebbe evolvere verso una situazione più o meno pericolosa per gli esseri umani. Negli ultimi anni la scienza del clima ha portato elementi che inducono a una maggiore preoccupazione per gli impatti dei cambiamenti climatici, e alcuni di questi sono legati proprio a sistemi di “feedback”, di retroazione, che erano conosciuti a livello teorico ma i cui effetti si possono ora misurare. Ad esempio il riscaldamento della zona artica e il ghiaccio marino artico hanno avuto un andamento che ha più che confermato le proiezioni degli studiosi del clima. Mike Serreze, uno dei maggiori studiosi della materia, ha scritto che il ghiaccio marino artico ha imbroccato una “spirale mortale”. Ma a un negazionista basta un anno di crescita, o anche solo l’aumento dovuto alla stagione invernale, per dire che il trend si è invertito e che il riscaldamento globale si è interrotto.