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La guerra senza volto alla conquista delle risorse. Intervista a Maso Notarianni di Emiliano Angelelli
I negazionisti climatici. Intervista a Stefano Caserini di Diego Tavazzi
Fame nel mondo. Intervista a Gianni Tamino di Paola Fraschini
Progettare la sostenibilità. Intervista a Jana Revedin di Anna Satolli
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Via libera alla privatizzazione dell'acqua di Ilaria Di Bella

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Fame nel mondo
Intervista a Gianni Tamino
di Paola Fraschini

“I governi rafforzeranno i loro sforzi per dimezzare il numero degli affamati entro il 2015”, questa la dichiarazione finale del Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare della Fao tenutosi a Roma a metà novembre. Peccato che per raggiungere tale obiettivo non ci saranno nuovi impegni finanziari: mancano, infatti, 44 miliardi di dollari da destinare allo sviluppo agricolo e alle infrastrutture nei paesi poveri.
La fame nel mondo ha ucciso, solo nel 2009, un miliardo e duecento milioni di persone. Una verità che atterrisce, ma che lascia ancora indifferente la maggioranza di quella parte del mondo ricco, principale responsabile degli immorali squilibri sociali ed economici. Per capire qualcosa di più su agricoltura e fame nel mondo e quali pratiche attuare per cercare di sanare questa piaga, scambiamo due parole con il professor Gianni Tamino, curatore dell’edizione italiana di Campi di battaglia di Vandana Shiva.

La Fao ha dichiarato che pur essendo i prodotti agricoli sufficienti per una popolazione superiore a quella attuale, ci sono sempre più persone che soffrono la fame. Dov’è l’errore?
L’incremento di cibo è stato ottenuto grazie alla cosiddetta “rivoluzione verde”, che non ha risolto né fame né sottosviluppo. La produttività delle coltivazioni ad alto contenuto tecnologico è stata garantita dal massiccio impiego di energia in ogni fase lavorativa. Si tratta di un enorme flusso di energia supplementare (cioè oltre a quella fornita negli ecosistemi naturali dal sole), che trasforma il sistema agricolo in forte consumatore di energia di origine fossile, con enormi costi e notevoli investimenti tecnologici che hanno reso i paesi poveri completamente dipendenti dalle multinazionali. La conseguenza è stata un forte indebitamento che ha portato questi paesi a produrre cibo di lusso per i paesi ricchi (ananas, banane, caffè, tè ecc.) e a non avere mezzi finanziari per procurasi il cibo necessario al proprio sostentamento. La “rivoluzione verde” ha dunque permesso un grosso aumento di consumi alimentari per i paesi più ricchi, senza garantire cibo per i più poveri.
Inoltre i prodotti dell’agricoltura chimicizzata e i prodotti transgenici, soia e mais in particolare, vengono utilizzati non tanto per fornire cibo agli esseri umani, quanto per alimentare gli animali, che diventeranno cibo per gli abitanti dei paesi ricchi. Ma ogni volta che soia e mais si trasformano in cibo per animali e l'animale diventa cibo per l'uomo, laddove con la carne così ottenuta mangia una sola persona, con quei legumi e con quei cereali se ne potevano alimentare, in modo equilibrato, da otto a dieci. La spiegazione ecologica di questa perdita di cibo disponibile è molto semplice: tutta la produzione naturale del pianeta è garantita dall'energia solare, attraverso la fotosintesi clorofilliana. Questa produzione primaria dà origine alla massa totale delle piante; questa biomassa può sostenere una biomassa molto più piccola di consumatori primari, cioè di erbivori, che a loro volta non possono che sostenere una biomassa molto più piccola di carnivori. Il consumo di carne nelle popolazioni dei paesi più ricchi raggiunge (e spesso supera) i 100 kg di carne pro capite l’anno, mentre una popolazione circa uguale, nel sud del mondo, ogni anno o muore di fame o soffre di grave denutrizione. Se tutta l’umanità volesse consumare 80-100 kg pro capite l’anno di carne, ottenuta sia da pascolo sia da allevamenti intensivi, occorrerebbe avere a disposizione una superficie tripla rispetto a quella del pianeta Terra. Un’indicazione in tal senso viene anche dal calcolo dell’impronta ecologica per produrre carne negli allevamenti intensivi: servono oltre 15 ettari l’anno per una tonnellata di carne contro i due o tre ettari necessari per una tonnellata di cereali.

Si può garantire in modo sostenibile cibo per tutta l’umanità?
Dovendo far fronte da un lato a una rilevante popolazione mondiale che ha bisogno di cibo e dall’altro a disponibilità sempre minori di fonti fossili, che comunque inquinano e comportano il rischio di cambiamenti climatici, l’agricoltura deve evolversi verso sistemi sostenibili che migliorino l’efficienza energetica, utilizzino fertilizzanti di origine organica, impieghino fonti energetiche rinnovabili e riducano la distanza tra produzione e consumo. Ma oltre a sviluppare un’agricoltura sostenibile occorre anche che i consumi di cibo delle popolazioni più ricche siano compatibili con il mantenimento dei processi naturali. Anzitutto bisogna ridurre il consumo di prodotti di origine animale e riportare gli allevamenti all’utilizzo di pascoli, ritornando al rapporto tra cibo di origine vegetale e cibo di origine animale almeno uguale a quello della dieta mediterranea.

Che rapporto corre tra sicurezza alimentare e multinazionali?
Il significato di “sicurezza alimentare” non è solo quello (più conosciuto nei paesi ricchi) di approvvigionamento di alimenti non pericolosi per la nostra salute, ma soprattutto quello di approvvigionamento sufficiente per sfamare la popolazione di un paese. Quest’ultima accezione era ben presente anche in Italia fino a cinquant’anni fa, ma negli ultimi decenni, sia per l’aumentata produzione nazionale ed europea di cibo, sia soprattutto per la maggiore ricchezza, che ci permette di investire una parte sempre più limitata delle nostre risorse finanziare nella spesa alimentare (passata da oltre il 50% della spesa totale negli anni ’50 all’attuale 16%), abbiamo quasi dimenticato il problema della carenza di cibo.
L’insicurezza dell’approvvigionamento alimentare, però, riguarda ancora gran parte della popolazione del pianeta: infatti circa un miliardo di persone soffre la fame, al punto da essere la prima causa di morte (diretta e indiretta), soprattutto per i bambini, mentre altri due miliardi di abitanti non riescono ad avere un’alimentazione adeguata dal punto di vista dell’apporto di minerali e vitamine. Si ritiene spesso che la fame dipenda dalla mancanza di cibo, ma in realtà, come aveva già messo in luce il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, la vera causa della fame è la povertà.
Poche multinazionali hanno il controllo mondiale del settore agroalimentare e ciò non garantisce la sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta. L’aggressività commerciale di queste aziende, che si è dapprima concentrata sul controllo delle sostanze chimiche impiegate in agricoltura, è ora rivolta al controllo delle risorse genetiche e delle sementi, grazie anche ai prodotti transgenici e ai brevetti biotecnologici, con i quali possono controllare quasi tutta la produzione mondiale, riducendo quella biodiversità agricola che garantiva il cibo ai paesi in via di sviluppo.
Infine, in un mondo dove la fame rimane una questione prioritaria e irrisolta, non si possono destinare le risorse indispensabili per l’alimentazione alla produzione di biocarburanti: non possiamo condannare a morire di fame parte dell’umanità per alimentare i Suv dei paesi più ricchi.

Che cos’è la biodiversità e chi sono i suoi nemici?
Il termine biodiversità, o diversità biologica, indica l'insieme delle forme viventi. Molto spesso la biodiversità viene definita come il numero di specie presenti in un certo ambiente, tuttavia questo è estremamente riduttivo e il concetto di biodiversità non è riconducibile a un numero. Essa include le variazioni a tutti i livelli della materia vivente, dai geni ai biomi passando per gli individui, le popolazioni, le specie e le comunità (o gli ecosistemi, se includiamo anche i fattori fisico-chimici che condizionano gli organismi). La biodiversità è, dunque, a un tempo l’insieme dei diversi geni e dei diversi individui che troviamo in ciascuna specie, che interagendo tra loro nei diversi ambienti danno origine ai diversi ecosistemi.
Ciò che garantisce la biodiversità sono i meccanismi alla base dell’evoluzione: un materiale genetico, che può mutare e che viene trasmesso per via ereditaria (sessuale) e la selezione naturale che l’ambiente esercita sugli individui. Ogni organismo è in grado di scambiare la propria informazione genetica con altri individui della stessa specie attraverso le varie forme di sessualità, che caratterizzano i diversi tipi di organismi. Negli animali, ad esempio, la fecondazione dell’uovo da parte dello spermatozoo e la successiva fusione dei loro nuclei conferisce all’embrione caratteri genetici di entrambi i genitori. In tal modo i figli risulteranno avere una miscela abbastanza casuale dei caratteri dei genitori e ciò spiega perché più figli di una stessa coppia non siano mai uguali. Così una popolazione di individui di una stessa specie risulterà costituita da individui tutti diversi, ciascuno dei quali avrà maggiore o minore probabilità di sopravvivere e avere figli in base alla capacità di adattarsi all’ambiente.
Si capisce dunque perché sia così importante mantenere la biodiversità: infatti in una popolazione tutta omogenea un cambiamento ambientale o una epidemia o una malattia di qualunque genere potrebbe determinare per selezione una situazione inammissibile dal punto di vista evolutivo: o tutti gli individui della popolazione riescono a sopravvivere o non ne sopravvive nessuno. In natura le strategie evolutive tendono a evitare questa logica da “roulette russa”, favorendo la sopravvivenza di almeno una parte della popolazione.
Nemici della biodiversità sono tutti quei fattori, in gran parte determinati dalle attività umane, in grado di alterare gli equilibri ambientali e gli ecosistemi, come, ad esempio, i cambiamenti climatici, la desertificazione, la deforestazione, l’agricoltura industrializzata, gli allevamenti intensivi, gli OGM ecc.

Che cos’è la biopirateria e chi sono i biopirati?
Si parla di "biopirateria" quando le risorse biologiche o le conoscenze e le pratiche tradizionali di un popolo vengono brevettate, e il loro uso di conseguenza viene sottoposto a restrizioni di proprietà intellettuale. Una forma di biopirateria si è sviluppata grazie alla possibilità di brevettare organismi geneticamente manipolati (OGM), oltre che parti del corpo o geni di qualunque vivente. Ciò ha favorito la rapina di geni di piante e animali in varie parti del pianeta, ricchi di biodiversità, e di brevettarli, per essere poi usati, attraverso manipolazioni genetiche.
Le multinazionali hanno già brevettato (e stanno brevettando) non solo geni di piante utilizzate nella medicina e nell'agricoltura tradizionali, senza coinvolgere i popoli che per secoli hanno utilizzato queste piante, ma anche geni e cellule umani.
A subirne le conseguenze sono anzitutto i popoli più poveri, che rischiano di essere strangolati da questa logica, ma anche gli equilibri ecologici rischiano di essere sconvolti, con danni che prima o poi si ripercuoteranno su tutti gli abitanti del pianeta, popoli ricchi compresi.

Crisi economica e crisi ecologica sono collegate? Come vedi la spinta sui consumi per uscire dalla crisi?
A partire dalla Rivoluzione industriale, lo sviluppo economico si è alimentato grazie allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, fonti di energia fossile in primo luogo, portando a un crescente squilibrio ecologico del pianeta. Le soluzioni adottate nel passato, e che si stanno prospettando anche oggi per l’uscita dalla crisi, continuano a spingere sull’incremento dei consumi. È un errore, dato che le risorse sono limitate e che un incremento dei consumi ne accelererebbe l’esaurimento, con il rischio di provocare un irrecuperabile squilibrio ecologico planetario e una ulteriore divaricazione tra popoli ricchi e poveri. Nel caso dei consumi alimentari, in particolare, significherebbe continuare a produrre cibo per la parte ricca dell’umanità, con grande dispendio di energia derivata dal petrolio, con grandi consumi di sostanze chimiche nocive, riducendo la varietà di specie negli ecosistemi e la biodiversità agricola.
Per risolvere la crisi ambientale e per uscire dalla crisi economica occorre cambiare il modello energetico, avviare una nuova rivoluzione industriale basata su minori consumi e sulle energie rinnovabili. Occorre infine sostituire l’attuale agricoltura dipendente dal petrolio con una sostenibile, in grado di produrre cibo per tutta l’umanità, senza sprechi e nella logica della produzione il più possibile locale (filiera corta), un’agricoltura già ampiamente praticata in tutto il mondo, come l’agricoltura biologica.