In questo numero

Copenaghen, flop di fine anno di Marco Moro
Gli incentivi alle energie rinnovabili. Intervista doppia a Gianni Silvestrini e Anna Bruno Ventre
di Maria Antonietta Giffoni e Filippo Franchetto
Manovre energetiche di Alessandro Geremei
Antimafia sociale a rischio di Antonio Pergolizzi

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Copenaghen, flop di fine anno
di Marco Moro

In una recente intervista Fred Pearce ha affermato senza mezzi termini che la politica fa male al clima. Una posizione molto netta e che in questo momento probabilmente rispecchia il sentire comune, dopo il fallimento (prevedibile?) della Cop 15 a Copenaghen. Su questo round dei negoziati internazionali si era addensata una grande aspettativa, complice anche una copertura mediatica senza precedenti. Proprio questo ultimo aspetto potrebbe alla fine essere considerato come l’unico vero risultato positivo: per qualche settimana si è parlato moltissimo di tematiche ambientali, in modo così intenso e diffuso che è come se si fosse effettuata una enorme campagna di sensibilizzazione. Da qui anche le grandi aspettative, certamente per la massima parte aspettative non informate, cioè molto generiche e forse anche molto “mediatiche” (l’attesa del colpo di scena finale, di un Obama che interviene e restituisce speranza al pianeta), ma altrettanto certamente si tratta di aspettative deluse.
Da qui si riparte, quindi, con la conferma che la politica fa male non solo al clima ma all’ambiente in generale, lo usa sempre più spesso come argomento elettorale, ma è poi totalmente inadeguata ad affrontare problemi il cui orizzonte temporale non ha che fare con i 4 o 5 anni di un mandato.
A voler essere ancora più tetri si potrebbe dire che la conclusione del summit ricorda quel “morire per Danzica?” che ancora oggi è il simbolo dell’incapacità della diplomazia internazionale di reagire alle emergenze globali. Impegnarsi per salvare Tuvalu? Ma che razza di credenziale sarebbe per un qualsiasi politico che avrà poi a che fare con un elettorato nazionale che focalizza la propria attenzione solo su quelli che percepisce come i “veri” problemi, ossia quelli di casa propria? L’idea che la risposta a quest’ultima domanda sia scontata; questo è il limite maggiore della politica. O almeno questo è il limite che appare più evidente.
Certo, vista da Tuvalu la prospettiva deve apparire completamente rovesciata e la dimensione “locale” si trova a combaciare esattamente e necessariamente con quella “globale”, ma questo può essere solo un altro motivo per ritenere che o si arriva con l’acqua alla gola oppure nulla si muove. Meglio pensare invece che abbia ragione Pearce e che, quindi, fosse sbagliato riporre grandi aspettative su ciò che avrebbe potuto succedere in quello che si era nel frattempo trasformato in un vero palcoscenico mondiale, dove i rappresentanti delle nazioni hanno interpretato le proprie pièce, molto più rivolte al loro rispettivo pubblico nazionale piuttosto che a un’ipotetica opinione pubblica globale.
Tutti avremmo voluto che da Copenaghen uscisse l’immagine di un mondo consapevole e solidale nell’affrontare l’emergenza che ormai nessuno è più in grado (tranne il nostro Senato) di mettere in dubbio. Ne saremmo stati rassicurati. Ma questo non è che il desiderio di un lieto fine molto hollywoodiano.
Cambiare punto di vista è necessario per cogliere davvero quei processi di cambiamento che sono comunque in atto e a questo sono essenzialmente dedicate le novità editoriali presentate nell’ultimo numero di Puntosostenibile per il 2009.
Come per i negoziati internazionali, anche nella interpretazione di come stanno evolvendo importanti settori dell’economia nazionale attraverso l’elaborazione delle regole che li governano, è necessario avere delle guide affidabili, per non cadere nell’eccesso di aspettativa di fronte alle opportunità offerte e per non farsi prendere dalla depressione di fronte alla complessità che si affronta per coglierle.