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Il pozzo dei desideri. Intervista a Sabina Morandi di Emiliano Angelelli
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Il pozzo dei desideri.
Intervista a Sabina Morandi
di Emiliano Angelelli

L'amore ai tempi del picco del petrolio in uno scenario futuribile che vede contrapposti audaci ecocriminali ed ecomercenari indecisi: è ciò che ci racconta Sabina Morandi ne Il pozzo dei desideri, il primo episodio della nuova collana VerdeNero Romanzi, in un fitto intreccio di luoghi e personaggi che a tratti sembra prendere la via dell'inchiesta. Ne abbiamo parlato con l'autrice appena pochi giorni dopo l'uscita in libreria.

Il pozzo dei desideri dà il via al terzo ramo della collana VerdeNero, quello dedicato al romanzo sociale. Cosa si prova a far parte di un progetto così importante e ambizioso?
Dal mio punto di vista è quasi un segno del destino visto che, da anni, cerco di coniugare l’approccio giornalistico con quello narrativo. Penso che per uno scrittore confrontarsi con la realtà e in fin dei conti con la Storia con la “S” maiuscola sia una sfida molto interessante. Come dice Arundhati Roy, è quando il racconto pubblico e quello privato ci colonizzano che la storia funziona, e il fascino di certi narratori indiani – ma anche latino-americani o statunitensi - è proprio questo. Purtroppo in Italia si è a lungo privilegiato l’approccio minimalista rinunciando preventivamente, soprattutto a livello editoriale, a confrontarsi con gli aspetti sociali cioè, in definitiva, con la narrazione del nostro tempo.
Penso che l’iniziativa di VerdeNero sia quindi molto importante e che oltretutto possa riempire, come ha già fatto con le inchieste, uno spazio che i mezzi di informazione hanno abbandonato. Non è un caso che Il pozzo dei desideri nasce proprio dall’esigenza di raccontare delle storie che i giornali non volevano più pubblicare.

Una curiosità. Ogni capitolo ha un titolo in italiano e uno in cinese. Perché? E cosa significa?
I titoli sono in realtà i nomi delle figure del taijiquan che, essendo molto evocativi, andavano tradotti. Però mi piaceva anche mantenere il suono originale.

Come scrive nella postfazione Ugo Bardi, presidente di Aspo Italia, il tuo libro mette in forma narrativa cose che gli esperti hanno provato a spiegare in forme meno leggibili. Il picco del petrolio è più facile da spiegare con un romanzo che con i fatti?
In realtà, detto fra noi, non è stato affatto facile, ma credo che il problema sia talmente grave che bisognerebbe parlarne il più possibile, sotto forma di articoli, di romanzi o di film, proprio perché l’idea della fine del petrolio per tutti noi è quasi inconcepibile. Oltretutto gli unici che ne sanno qualcosa sono geologi, ingegneri, tecnici petroliferi, tutta gente che non è abituata a rivolgersi ai non specialisti. Inoltre il piano narrativo ti costringe a “entrare” nei personaggi e a sperimentare, dal punto di vista personale, dei cambiamenti che nella vita quotidiana sono molto difficili da immaginare.
L’altro grande problema è quello degli spazi che l’informazione dedica all’argomento, e qui siamo prossimi allo zero. Negli ultimi dieci anni ci sono state più trasmissioni dedicate alle profezie di Nostradamus che al picco petrolifero, e ho sperimentato personalmente il disinteresse delle redazioni che, una dopo l’altra, hanno smesso di comprare articoli dedicati all’argomento. Da quattro o cinque anni l’esaurimento del petrolio è stato totalmente rimosso dai media, e stanno scomparendo anche i riferimenti alle guerre che si stanno combattendo intorno agli ultimi grandi giacimenti. Ricordate i funerali in pompa magna per i caduti di Nassirya? Adesso nessuno parla volentieri dei caduti in Afghanistan, nemmeno per fare un po’ di retorica patriottica.

Da questo punto di vista sei un'ottimista o ritieni che le cifre siano gonfiate?
Se fossi ottimista non avrei scritto un libro del genere. In realtà sono molto spaventata proprio perché se ne parla così poco e solo fra addetti ai lavori. Eppure la prospettiva dell’esaurimento dei combustibili fossili dovrebbe essere al centro di ogni discorso di politica economica, dal trasporto all’agricoltura – fortemente dipendente dal petrolio – dallo stile di vita personale al cambiamento che, questo evento, sta provocando a livello geopolitico. Tutte le nostre energie e i nostri soldi dovrebbero essere impiegati nella riconversione del nostro sistema e invece si continua a farneticare su costosi rigassificatori – che probabilmente saranno finiti quando sarà finito anche il gas – e altre opere faraoniche.

Quando ci si avvicina al fondo del barile ci si aggrappa con le unghie e con i denti, scrivi nel tuo libro, è quello che sta accadendo oggi?
Mi ha molto colpito la storia dei Suv. Anni di ricerca per produrre automobili che consumano pochissimo e cosa facciamo? Impieghiamo le nuove tecnologie per mandare in giro auto sempre più grandi. Dal punto di vista individuale questo comportamento sarebbe inconcepibile. Se ci troviamo in mezzo al mare e l’acqua sta per finire, uno che si mette a fare gavettoni è semplicemente un pazzo, e viene trattato di conseguenza. Ma evidentemente, a livello collettivo, il buon senso scompare.

Mara è un'eco-mercenaria assoldata da una ong per fare spionaggio nei confronti di un'azienda del settore energetico. Vedi un futuro (o un presente?) di eco-mercenari?
Perché no? Da una parte abbiamo una sempre maggiore specializzazione – gli eco-avvocati, gli eco-giornalisti, gli eco-editori… – dall’altro lato abbiamo sempre più guerre petrolifere e quindi, in futuro, sempre più reduci presumibilmente arrabbiati e in cerca di nuova occupazione.

Parlando di ParItal mi è venuto in mente il rapporto tra Enel e Edf. Sono troppo malizioso?
Per niente. In realtà, visto che siamo nel settore petrolifero, avevo immaginato un gemellaggio fra Eni e Total. Dopo di che, con estrema malizia, mi sono infilata nei loro armadi per esaminare gli scheletri: quasi tutti i luoghi menzionati nei dispacci esistono veramente e quasi tutti i conflitti sono reali. A chi vuol verificare – o approfondire storie che nel romanzo sono solo accennate – basta inserire i nomi dei luoghi in un motore di ricerca.

Mara pratica il taijiquan e da quello che scrivi sembra di capire che si tratta di una disciplina che conosci bene. Questa ricerca dell'equilibrio in cui è immersa Mara nel prologo personalmente l'ho ritrovata in tutta la struttura del libro. È solo una mia impressione o è veramente così?
La verità? Il taijiquan lo conosco solo per sentito dire ma ho lavorato molto sull’equilibrio attraverso la danza e soprattutto il tango che, al di là degli stereotipi televisivi, ha molto in comune con le arti marziali. Quindi, effettivamente, c’è questa continua ricerca dell’equilibrio che si riflette anche nelle scelte stilistiche. Per quanto riguarda Mara, però, ho voluto accentuare di più l’aspetto del controllo e dell’auto-controllo che inevitabilmente deraglia quando si imbatte nell’amore. Per questo mi piace il tango: a differenza del taiji la guerra alla gravità si combatte in due. Equilibrio, sì, ma anche spazio per la relazione.