In questo numero

L'annuario della diffamazione di Marco Moro
Rapporto ecomafia 2010. Intervista a Enrico Fontana di Diego Tavazzi
Energia eolica senza turbine di Emiliano Angelelli
I trent'anni di Legambiente di Antonio Pergolizzi

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Rapporto Ecomafia 2010
Intervista a Enrico Fontana
di Diego Tavazzi

Il rapporto Ecomafia ogni anno fa il punto sullo stato della criminalità ambientale in Italia. Nel 2009, grazie – paradossalmente – alla crisi che ha investito il nostro paese, gli ecomafiosi hanno fatto affari d’oro. Abbiamo chiesto a Enrico Fontana, Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, un approfondimento sui temi più rilevanti dell’edizione 2010 del rapporto (in libreria dal 9 giugno).

Nel 2009 il fatturato delle ecomafie, anche se di poco, è cresciuto rispetto al 2008: com’è possibile che ciò sia avvenuto in un momento in cui quasi tutti gli indicatori economici segnano un ribasso?
L’economia illegale ha una vita propria, disancorata da quella legale. Anzi, ne sfrutta proprio i momenti di crisi per aumentare i propri fatturati. Se le imprese sono in difficoltà, solo per fare un esempio, saranno più tentate di ridurre i costi di smaltimento dei rifiuti affidandoli a chi fa ribassi quantomeno sospetti. Un dato significativo contenuto nel rapporto 2010 riguarda l’abusivismo edilizio: mentre il mercato immobiliare registra un crollo delle nuove costruzioni, a causa della crisi, il mattone illegale subisce una leggerissima flessione, passando da 28.000 a 27.000 case abusive costruite in un anno.

Le ecomafie sono sempre più forti al Nord, il cuore produttivo del paese, e nel Lazio. Cosa sta a significare tutto ciò?
Il dato del Lazio è davvero preoccupante. Questa regione è la seconda nella classifica nazionale per quanto riguarda i fenomeni d’illegalità ambientale. E non è azzardato fare un parallelismo con la crescente infiltrazione delle organizzazioni criminali radicate nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa, in particolare camorra e ‘ndrangheta. Ancora oggi, infatti, sono sempre questi territori, con in testa la Campania, quelli in cui è più forte l’aggressione, in varie forme, al patrimonio ambientale. L’ecomafia ha un suo modello espansivo: attraverso il ciclo illegale del cemento (dalle cave alle speculazioni edilizie) e il ciclo illegale dei rifiuti (dalla raccolta allo smaltimento) le organizzazioni mafiose riciclano anche i capitali che accumulano con attività più tradizionali, come il traffico di droga. È un veleno, che inevitabilmente punta ai territori e alle regioni dove c’è più ricchezza.

RAEE, supermercati, smaltimento illegale degli pneumatici usati, eolico: sono questi i “nuovi settori” in cui le ecomafie si sono infiltrate. Quali sono i pericoli a cui andiamo incontro?
Il pericolo più grande è sempre lo stesso: l’impoverimento economico, sociale e ambientale del paese. La presenza delle mafie comporta sempre una perdita secca in termini di legalità, di qualità della vita e di libertà d’impresa. E questo vale per i traffici di rifiuti, le infiltrazioni mafiose nel settore delle energie rinnovabili e gli investimenti di capitali illeciti nella grande distribuzione.

Il calcestruzzo depotenziato è uno dei temi forti di Ecomafia 2010. Quali rischi si corrono?
Innanzitutto viene messa in serio pericolo la sicurezza degli edifici e delle infrastrutture costruite con materiali scadenti. Stiamo parlando di scuole, ospedali, cavalcavia stradali e ferroviari. Ma vale la pena ricordare che con il calcestruzzo depotenziato si sbriciola anche la credibilità delle istituzioni, che non controllano la qualità delle opere. E si altera profondamente tutto il mercato delle costruzioni. Per queste ragioni abbiamo chiesto al ministero delle Infrastrutture di procedere immediatamente alla verifica di tutte le opere a rischio. E chiediamo all’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili, di cacciare gli imprenditori che hanno realizzato opere con il calcestruzzo depotenziato. Sono davvero persone ciniche e senza scrupoli, che lucrano sulla sicurezza dei cittadini. E che meritano disprezzo sociale, prim’ancora che adeguate sanzioni penali.

Da Ecomafia 2010 emerge con chiarezza il ruolo determinante dei “colletti bianchi”. Come agiscono? Cosa fanno?
Senza ingegneri, architetti, notai, dirigenti bancari, chimici compiacenti, e l’elenco potrebbe continuare a lungo, le ecomafie semplicemente non esisterebbero. Sono loro che mettono a disposizione le conoscenze indispensabili per falsificare i codici che accompagnano i rifiuti, i certificati di analisi, le “ricette” del calcestruzzo. E sono sempre loro che si mettono a disposizione, quando hanno ruoli nella pubblica amministrazione, per rilasciare concessioni edilizie illegittime, evitare controlli e così via. Abbiamo dedicato ai colletti bianchi un capitolo specifico proprio perché le indagini, soprattutto quelle sui traffici illegali di rifiuti, hanno evidenziato il loro ruolo decisivo. Spesso non sono organici ai clan, ma nelle indagini di mafia sta emergendo anche un ruolo diretto di alcuni di loro. Più banalmente mettono in vendita ruoli e competenze, per arricchirsi il più facilmente possibile. Gli ordini professionali, al riguardo, dovrebbero essere molto più severi, sospendendo quelli coinvolti nelle indagini e cacciando quelli che vengono condannati.

Cosa fare per contrastare l’attività delle ecomafie? Informazione, repressione, cultura: e poi?
Bisogna diffondere la buona economia, quella ecologica e solidale. Promuovere la riduzione, il riuso e il riciclaggio dei rifiuti, scommettere sulla bioedilizia, sugli ecodistretti industriali. E poi la pubblica amministrazione deve diventare trasparente, ma davvero, garantire la partecipazione e il controllo da parte dei cittadini. I clan cercherebbero comunque di infiltrarsi, è vero, ma si ridurrebbe di molto la loro capacità di incidere nel tessuto economico e sociale. Un’economia e una società più responsabili sono l’antidoto principale all’ecomafia.

Tra le storie (tante, purtroppo) raccontate in Ecomafia, ce n'è qualcuna particolarmente emblematica dell’arroganza e del cinismo che contraddistinguono l’operato degli ecocriminali?
Ne vengono in mente due: l’operazione “Regi Lagni”, in provincia di Caserta, realizzata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, che ha svelato una gestione criminale degli impianti di depurazione, con un inquinamento gravissimo che andava dai terreni agricoli al mare; e l’inchiesta “Golden house”, condotta dalla procura di Vibo Valentia, in Calabria, con il sequestro di 120 appartamenti costruiti sulle stesse aree investite dalla frana che il 3 luglio del 2006 fece tre morti, 90 feriti e 300 sfollati. Sono affari criminali in cui ovviamente è già spuntato l’interesse dei clan. E che danno un’idea del vero e proprio baratro, anche morale, in cui l’ecomafia rischia di far sprofondare il nostro paese.