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Milano e l'Expo tra allocchi e criceti. Intervista a Nicoletta Vallorani di Emiliano Angelelli
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Milano e l'Expo tra allocchi e criceti.
Intervista a Nicoletta Vallorani

di Emiliano Angelelli

Zoe Libra, lasciata vegetare in coma nel penultimo romanzo di Nicoletta Vallorani risorge grazie a VerdeNero in Lapponi e criceti, ma lo fa in un modo molto particolare. La spazzina detective, infatti, diventa un fantasma che si aggira protettiva e curiosa fra le strade in zona Pasteur, in una Milano sull'orlo di un baratro chiamato Expo.

Partiamo dal titolo. Perché i criceti? Perché gli allocchi di Lapponia?
L’allocco di Lapponia è una specie di civetta. Nonostante l’aria illusoriamente mansueta, in realtà è un feroce predatore, che colpisce a sorpresa e in modo infallibile. L’assassino perfetto. Qualunque nefandezza metta in atto, nessuno sospetta mai di lui. Il criceto, invece, è sospettabilissimo. I moventi delle sue azioni sono chiari e si riconducono tutti a una perfetta, assoluta, inossidabile autoreferenzialità. Il criceto fa tutto quello che fa per se stesso, perché in tutta onestà pensa di essere la creatura migliore e più meritevole sulla terra. Ora, non so: conoscete qualcuno che somiglia a questi due animaletti? Be’, in questo caso, cominciate a scappare.

Come ti è venuto in mente di fare di un fantasma il protagonista del libro?
Zoe è finita in coma, alla fine del romanzo precedente, perché mi pareva che Milano non avesse più bisogno di lei. Come le persone, anche i personaggi hanno un potenziale, che a un certo punto finisce. E l’anarchica ilarità di Zoe sembrava aver fatto il suo tempo. Di qui il mio tentativo di metterla a riposo.
Ma il fatto è che non si è mai padroni dei propri personaggi: sono sogni riusciti, e come le persone, hanno vita che prescinde da chi li hai creati. In più, Milano è cambiata, si è imbarbarita, è precipitata in quel meccanismo di rimbecillimento collettivo che è l’Expo. È stupefacente quante menti brillanti siano state ridotte in pappa per neonati dal miraggio di partecipare alla grande festa dell’arraffo libero. Perciò Zoe doveva tornare. E come poteva farlo se non nei panni di un fantasma? Tecnicamente, gli spettri presentano numerosi aspetti positivi. Come investigatori, sono uno schianto: nessun problema nei pedinamenti, intercettazioni a prova di bomba e uno sguardo sulla vita che si avvicina a essere onniscente. Perciò perché no? È stata Zoe a farsi avanti come fantasma. Io non ho deciso, direi, quasi nulla.

Zoe dice: "Come gli scrittori e gli intellettuali, noi fantasmi non produciamo profitto. Non compriamo e non vendiamo. Non consumiamo. Non siamo sensibili al mercato immobiliare". Ti senti un po' Zoe-fantasma?
Non c’è dubbio. E lietamente. L’invisibilità consente il privilegio di arrivare non visti dove si vuole. E quando si è lì, nella posizione di dire quel che si pensa, magari, chi lo sa, forse capita improvvisamente di ridiventare visibili e pericolosi. E comunque io faccio questo: regalo la mia voce a un fantasma, come è  Zoe, e trasversalmente a chi, con una deontologia desueta, usa la parola non per soldi ma come valore aggiunto alla società civile, o mezzo per ricostruirla, la società civile, quando essa è andata perduta. Sono discorsi non sempre semplicissimi, che richiedono da parte di chi li fa una forma di coerenza elementare oggi diventata una caratteristica di altri tempi. Però per me pensare e scrivere è questo, e si può fare solo senza ammanettarsi alla causa del denaro o del successo tout court (che pure piace a tutti, intendiamoci, ma se devo scegliere, scelgo di esser libera. E invisibile).
E per far questo, mi scelgo un editore. Magari è anche importante che questo editore, come dire, indossi bene il mio libro: Zoe è una personcina impegnativa. E anche “la Vallorani” è una scrittrice impegnativa. Non è che van bene tutti a ospitare fantasmi.

Sulla base dell'insegnamento di Peppino Impastato, ridere è una delle armi migliori contro la mafia. Leggendo il tuo libro viene da pensare che valga lo stesso anche per la morte. È così?
Mi piace pensare che la risata di Zoe non si orienti solo verso la morte. In fondo, l’austera signora con la falce in mano rappresenta un limite reale, fisico, che non abbiamo bisogno di combattere. Occorre solo abituarsi al fatto che a un certo punto la vita sia finita. E ci si può abituare. Più complicato è adattarsi all’ineluttabilità di alcuni signori che ci governano, che non conoscono tramonto. E in questo caso sì, la risata è la cura e l’arma, l’unica possibile.

Mi ha colpito molto questa frase: "Essere italiano di recente faceva un po' vergogna. Gli onesti provavano il desiderio di dimenticarsi di aver mai posseduto quella nazionalità e di rimuovere ogni traccia della lingua". Un concetto che in questi giorni di ansietà è quanto mai condivisibile...
L’appartenenza è una necessità umana e una strategia di sopravvivenza, ma perché sia confortante occorre riconoscersi almeno minimamente in quello cui si decide di appartenere. Ora, il mio problema è questo: cosa posso condividere? La politica culturale? Le scelte economiche? Le battute sulla Shoa o quelle sui gay? Non so: noi scrittori incontentabili – ovvero quelli come me, che non si candidano in liste politiche, non partecipano alle feste delle grandi case editrici, non hanno tanto tempo per correre appresso al glamour dell’intelligenza di regime – questo trascurabile problema l’abbiamo. Come si fa ad appartenere a tutto questo? Quando mi verrà in mente una risposta intelligente, ve lo farò sapere.

Architetti e avvocati rampanti che prendono lentamente possesso di un quartiere depredandolo in qualche modo della sua anima popolare. Succede in diverse città d'Italia. Ma qui si parla in modo particolare di Milano. È questa la spiegazione della scelta del quartiere di Pasteur?
Pasteur, appunto, è un quartiere campione, e dunque quel che vi succede dal punto di vista della speculazione immobiliare è esemplare. Milano vive in questo momento in una costante ristrutturazione. I ponteggi sono la quotidianità. La perdita di coordinate di spazio che erano familiari è responsabile di numerose sparizioni di pensionati che sospetto si aggirino desolati tra il supermercato e casa loro, senza riuscire a ritrovare la strada giusta. Dunque, da una parte, bisognava raccontare di questa situazione reale.
Ma Pasteur è anche un luogo dello spirito – nel senso che è un quartiere immaginario e anche nel senso che è la casa di Zoe fantasma burlone. Perciò ha regole peculiari, e una singolare tendenza ad autopreservarsi. Abbiamo bisogno di credere che posti di questo tipo esistano. Così a essi possiamo appartenere. Anche in questa povera Italia. Insomma, Pasteur è una specie di miracolo realizzato dal dio apocrifo di Zoe.

Quella in cui vive la giovane protagonista Agata è una Milano di immobiliarismo sfrenato, bolle edilizie ed Expo per niente lontana dalla realtà...
Gli scrittori del mio genere non vanno mai troppo lontani da casa. Ci serve parlare di quel che ci preme e raccontare storie che non riusciamo a cambiare. Io non costruisco case, non faccio il governante, non sono in magistratura e non sono un premio Nobel. Raccontare queste storie è quello che posso fare. Un modo come un altro per cambiare il mondo.

Una città sull'orlo di un Expo che non può reggere. Sei d'accordo?
Per come la vedo io, la Milano che da quando son qui ho imparato ad amare sarà spazzata via dall'Expo. Però a Zoe piace pensare che accadrà il contrario, e in fondo anche a me. Ma nel mondo reale, per cambiare le circostanze della vita bisogna crederci e tentare di farsi voce solista del coro. L'Expo è un coro mal assortito e che canta male. Milano è migliore di quel che sembra: una città infinitamente più interessante e accogliente di come la vuole chi la governa.