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Cresci maledetta, cresci! di Marco Moro
L'"altra economia" di Tim Jackson di Pavan Sukhdev
Ambiente Italia 2011. Intervista a Edoardo Zanchini di Paola Fraschini
Progettare la sostenibilità: un libro e (finalmente) una mostra a cura della redazione
Edizioni Ambiente e GBC Italia a cura della redazione

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L'"altra economia" di Tim Jackson
di Pavan Sukhdev*

Ci teniamo a segnalare che tra poco più di un mese, il 14, 15 e 16 di aprile, è previsto il “tour” italiano di Tim Jackson. L’autore di Prosperità senza crescita. Economia di un paese reale ha infatti in agenda un programma itinerante tra Torino, Roma e Foligno per presentare il suo ultimo libro (già disponibile in versione italiana). È una pubblicazione che caldeggiamo in modo particolare perché chiarisce a partire dalla crisi economico-finanziaria che dal 2008 ha colpito l’Occidente, e che coincide con l’effettiva “crisi” del pensiero e della prassi economica classica, come oggi l’economia globale possa voltare in chiave realmente sostenibile, a misura di un pianeta finito.
Anticipiamo la lettura con un estratto della prefazione di Pavan Sukhdev all’edizione originale inglese.

Gli economisti classici, compreso Adam Smith, hanno impostato il nostro pensiero economico in modo che fosse adatto a un mondo in cui il capitale e il commercio globale si misuravano in milioni, non in migliaia di miliardi di dollari. Ma sono passati più di due secoli. La terra era abbondante, la forza lavoro economica, l’energia non era un fattore fondamentale nella produzione e la risorsa scarsa era il capitale finanziario. Fu così che il capitalista ottenne un ruolo sociale e fu festeggiato e premiato, non messo alla gogna per aver causato le peggiori crisi finanziarie ed economiche. Come cambiano i tempi. (…)
A partire dal dopoguerra la storia della crescita economica è caratterizzata da uno sviluppo insostenibile: insostenibile per gli ecosistemi del pianeta, per la diversità delle sue specie e, di fatto, per la razza umana. In base ad alcuni recenti standard di sostenibilità la nostra impronta ecologica globale è raddoppiata negli ultimi 40 anni, arrivando oggi a superare del 30% la capacità biologica della Terra di produrre quanto serve per soddisfare i nostri bisogni, ed è pronta ad aumentare ancora. In base alle sole proiezioni demografiche, per nutrire l’intera popolazione globale sarà necessario aumentare l’attuale produzione di cibo del 50% entro il 2050. (…)
Oggi siamo sempre più consapevoli che c’è qualcosa che proprio non va e che la società umana deve cambiare in modo radicale se intende risolvere uno qualsiasi dei problemi che dipendono dai limiti di capacità appena descritti. Molti puntano il dito verso l’attuale crisi economica – essa stessa il risultato di crisi che hanno colpito i carburanti, gli alimenti e la finanza – e verso la parallela crisi ecologica e climatica, ipotizzando che abbiano una causa comune: il fallimento del nostro modello economico. L’insostenibilità della crescita determina un problema distributivo particolarmente difficile perché, almeno nel breve periodo, non sarà chi ha causato buona parte del problema – i paesi ricchi – a patirne di più le conseguenze. Per esempio, se il cambiamento climatico dovesse avere come conseguenza una siccità tale da dimezzare il reddito dei più poveri tra i 28 milioni di abitanti dell’Etiopia, il PIL mondiale registrerebbe una flessione inferiore allo 0,003%.
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG, dall’acronimo inglese Millennium Development Goals) rappresentano la volontà del mondo di attaccare la povertà. Il traguardo per questi obiettivi era il 2015, che oggi sembra troppo vicino per sperare di farcela. Anzi, le tensioni sociali stanno aumentando: per via delle disparità crescenti in termini di standard di vita, ma anche perché la povertà è una questione di dignità, non solo mancanza di cibo, vestiti e un riparo. Ancora un altro aspetto di cui preoccuparsi seriamente.
Ma forse non tutto è perduto. Più casi dimostrano che per raggiungere i MDG è necessario stabilire buone pratiche e una salda governance in campo ambientale. Per fare un esempio, salvaguardare le foreste tropicali nei paesi in via di sviluppo offre straordinarie opportunità per collegare due delle più serie minacce al benessere dell’umanità oggi: la povertà e il cambiamento climatico. Comporta anche vantaggi collaterali: cibo, fibre, legna da ardere, acqua e nutrienti per il terreno. Aiuta a controllare la siccità e protegge dalle catastrofi naturali, che non potranno che aumentare con il cambiamento climatico. Questo è un esempio di come si possa usare il “capitale naturale” per risolvere grandi problemi, seguendo una strada ancora poco battuta finora perché l’umanità si è scollegata dal mondo naturale, in senso spirituale e mentale. La società umana ha bisogno di cambiare economia, metodi di valutazione, e di abbandonare i propri pregiudizi impliciti contro il capitale naturale (rispetto a quello creato dall’uomo), la ricchezza pubblica (rispetto a quella privata) e il consumo consapevole e limitato (rispetto a quello folle e sempre in aumento). E forse, prima di tutto, la società umana ha bisogno di riesaminare il proprio rapporto con la natura, trasformandolo nel segno dell’armonia e della convivenza.
Tim Jackson ci fa riflettere, riconoscendo che la società si trova di fronte a un profondo dilemma: la crescita economica non è sostenibile ma la “decrescita”, o la contrazione economica, è instabile. Per trovare una “via d’uscita” da questo dilemma, stiamo tentando di “sganciare” l’attività economica dai suoi impatti con il cosiddetto “decoupling”. Ma non ci sono prove che stia funzionando e, intanto, il consumo delle risorse globali continua ad aumentare. Raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti in merito al cambiamento climatico richiederà un taglio all’intensità di carbonio superiore di due ordini di grandezza rispetto ai massimi mai raggiunti in passato.
Di fronte a questa sfida, Jackson si impegna in un riesame critico della struttura economica e della logica sociale del consumismo. Prosperità senza crescita propone una nuova via per andare avanti, per consentire all’umanità di sopravvivere e di prosperare entro i limiti delle risorse finite del pianeta.
(Taduzione di Michelle Nebiolo)

* Capo del Green Economy Initiative dell’UNEP e Responsabile dello Studio TEEB.