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Obiettivi comuni di Marco Moro
Vento a favore. Intervista a Silvia Zamboni di Paola Fraschini
Conflitti ambientali. Intervista a Marica Di Pierri di Anna Satolli
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Una via d'uscita dal nucleare di Gunter Pauli

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Vento a favore
Intervista a Silvia Zamboni
di Paola Fraschini

In questo articolo
parliamo di:
Vento a favore
di Edo Ronchi, Pietro Colucci a cura di Silvia Zamboni

 

Provate a immaginare un rappresentante del centrosinistra e uno del centrodestra che scrivono insieme un patto per l’ambiente, fatto di riflessioni, proposte, scelte di campo condivise. Impossibile? Nient’affatto. Edo Ronchi e Pietro Colucci, due protagonisti di primo piano sulla scena politica e imprenditoriale nazionale, da anni si misurano con le difficoltà del nostro paese nell’affrontare in maniera seria e sistematica l’agenda ambientale. Per questo motivo hanno elaborato una sorta di piano d’azione per far uscire l’Italia da decenni di emergenze ormai cronicizzate e per afferrare le opportunità di cambiamento positivo che offre la fase di crisi economica, climatica ed energetica che stiamo attraversando. È disponibile in libreria Vento a favore, intervista ragionata a Ronchi e Colucci a cura di Silvia Zamboni*. Un dialogo e un confronto la cui dichiarata speranza è quella di contribuire a modificare il costume nazionale dell’incomunicabilità tra schieramenti politici. Che possa essere di buon auspicio in vista delle tornate elettorali delle prossime settimane!

Partiamo da un tema di estrema attualità: il nucleare. Dopo la retromarcia del governo, il Senato ha approvato l'emendamento che rinvia il ritorno dell’atomo. Si tratta davvero di un ripensamento sul tema “energia nucleare” (una proposta che potrebbe avvicinare i due schieramenti politici contrapposti) o è una manovra finalizzata ad altro, un espediente?
Di fatto l’emendamento votato al Senato rappresenta uno stop al nucleare, una marcia indietro del governo, il riconoscimento di una oggettiva difficoltà di fronte all’incidente al reattore di Fukushima, che è venuto a ricordarci non solo che nemmeno nel paese-modello per la sicurezza degli impianti, quale era il Giappone, ci può essere garanzia assoluta di immunità dagli incidenti alle centrali atomiche, ma anche che quando l’incidente si verifica le conseguenze sono gravissime e incontrollabili. A ragione, quindi, gli antinuclearisti avevano potuto rallegrarsi di aver raggiunto, con l’emendamento, il risultato di bloccare il progetto di costruzione dei reattori nucleari senza bisogno di contarsi nelle urne elettorali. Le successive dichiarazioni rilasciate dal presidente del consiglio Berlusconi, a conclusione dell’incontro con il presidente francese Sarkozy, hanno “guastato” questa soddisfazione, mettendo in primo piano il carattere strumentale del provvedimento approvato dal Senato per cancellare il referendum sul nucleare. Questa strumentalità, però, non contraddice e non sminuisce la marcia indietro a cui è stato costretto il governo, ben consapevole che nel paese la sua è una posizione di minoranza. Le esternazioni di Berlusconi circa lo stato emotivo degli italiani a seguito dell’incidente nucleare di Fukushima, e quindi la necessità, secondo il premier, di non rischiare l’abbandono definitivo dell’energia atomica a causa di un referendum svoltosi in una fase “emotivamente” sfavorevole nel paese, confermano che sanno di perdere. Del resto, già a ottobre 2010, in tempi “emotivamente non sospetti”, un sondaggio IPSOS aveva certificato questo stato delle cose: gli italiani favorevoli al nucleare erano appena il 29%, per crollare, nell’ultimo sondaggio post Fukushima, al 17%.
Al contempo, le dichiarazioni di Berlusconi, fatte probabilmente a uso dei sostenitori filo-nuclearisti del governo, hanno però rafforzato la percezione dell’emendamento come escamotage tattico antidemocratico, con una ulteriore finalità, oltre quella di uscire dall’impasse rispetto alla scelta nucleare ritenuta impopolare: bloccare il referendum, uno tra i quattro in programma, che ha maggiori chance di raggiungere il quorum. Se, come ci ha insegnato uno che se ne intende(va), è vero che “a pensare male si fa peccato ma ci si prende”, in questo caso il pensiero cattivo è che Berlusconi non teme solo di giocarsi sia la chance nucleare azzerando gli accordi già stipulati tra Enel ed Edf, sia la faccia rispetto agli impegni presi con la Francia (e guarda caso, le dichiarazioni le ha fatte dopo essersi incontrato con l’amico Sarkozy), ma ha paura che il referendum sul nucleare possa fare da traino per il raggiungimento del quorum refendario, col rischio che passi anche il quesito che chiede di abrogare il legittimo impedimento, ennesima legge ad personam che la sua maggioranza gli ha regalato per sottrarlo al giudizio del tribunale. In ogni caso spetta ora alla Corte di Cassazione giudicare se l’emendamento (che deve ancora passare alla Camera) rispecchi davvero la volontà “abrogativa” del programma nucleare espressa dai promotori del referendum, rendendolo superfluo. E vedremo se la maggioranza studierà qualcosa anche per impedire il referendum sull’acqua, come si è vociferato. Di sicuro non lo faranno per il legittimo impedimento, perché in questo caso un emendamento che dia soddisfazione, anche solo per finta, all’opposizione che l’ha promosso e lo sostiene, comporterebbe la cancellazione di un privilegio con cui il premier intende continuare a difendersi dai processi e non nei quattro processi in cui è coinvolto.
Quanto poi alla possibilità in questa legislatura di riaprire concretamente le porte al nucleare una volta “gabbato lo santo” – ovvero cancellato il referendum – c’è chi è convinto, anche tra gli antinuclearisti, dell’impossibilità che il governo rifaccia un’ennesima marcia indietro. Escluderei però completamente l’eventualità che possa essere addirittura interessato a cercare un accordo leale con l’opposizione contraria al ritorno al nucleare.

Il tema “ambiente e sviluppo sostenibile” potrà davvero unire negli intenti la classe politica? Cosa ne sarà della proposta presentata nel volume da Ronchi e Colucci di un “piano d’azione per l’ambiente”?
Visto il clima politico di scontro frontale tra i due schieramenti politici temo che la proposta di Ronchi e Colucci non abbia possibilità, per ora, di ammorbidire i toni e di indurre a nobili riflessioni circa il bene del paese. Ma i tempi di questa proposta sono medio-lunghi, e il governo appare in difficoltà; potrebbero quindi cambiare gli scenari di fine legislatura e di preparazione alle prossime elezioni creando alleanze allargate oggi inedite e, soprattutto, l’urgenza dei problemi potrebbe imprimere un’accelerazione e spingere uno schieramento politico più ampio a mettersi nella direzione giusta del vento a favore della green economy. Rispetto all’attuale stato di cose non mi sento tuttavia di distribuire in parti uguali la responsabilità tra i due schieramenti per una navigazione allo sbando: ritengo oggettivamente difficile accordarsi e riflettere pacatamente con una maggioranza di governo, come quella attuale, litigiosa al suo interno, rabberciata con l’acquisizione di singoli eletti, e disposta a stravolgere le regole del gioco costituzionale per assecondare “il capo”. Nello specifico delle questioni ambientali sollevate Ronchi e Colucci con dovizia di dati e proposte, ci sarebbe invece un’urgenza particolare a trovare quest’accordo politico: la crisi economica e occupazionale, quella energetica e quella climatica spingono tutte verso una politica industriale innovativa, a basso contenuto di carbonio e alto contenuto di tecnologia e di ricorso alle energie pulite e all’efficienza energetica per creare nuova occupazione pulita; così come il riemergere della questione dei rifiuti a Napoli (in realtà mai risolta), i problemi legati al dissesto idrogeologico del nostro paese, richiedono un impegno serio a favore del bene comune ambiente, che adesso, dagli imprenditori più illuminati, non viene più visto come ostacolo allo sviluppo, bensì come volano sostenibile della ripresa economica. A Palazzo Chigi, però, oggi si parla d’altro, e in Parlamento pure. La stessa Confindustria, a proposito del decreto Romani che a metà marzo aveva azzerato gli incentivi alle rinnovabili, non li ha difesi, anzi, ha sostenuto l’utilità del nucleare e l’onerosità degli incentivi; dimenticando che in Germania (dove gli incentivi hanno contribuito allo sviluppo del settore, e dove si è programmato, al 2050, di coprire con le rinnovabili l’80% dei consumi elettrici) oggi ci sono più addetti nel comparto delle energie pulite che in quello dell’automobile. In totale autonomia, Colucci, pur autorevole esponente di Confindustria in quanto presidente di Assoambiente, nel libro non esita invece a definire il nucleare inutile, superfluo sul piano tecnico, svantaggioso su quello economico e difficilmente gestibile a livello sociale e del consenso.

Quali sono a tuo avviso i tratti più innovativi del piano proposto? Per Ronchi e Colucci si può sperare in un futuro per le fonti alternative di energia? E in tema di acqua cosa propongono?
Dato per scontato che è innovativo di per sé il fatto che la proposta sia avanzata da due esponenti di campi politici diversi, con una lunga esperienza l’uno nel mondo delle istituzioni, l’altro nel settore imprenditoriale, dal punto di vista dei contenuti ho trovato particolarmente innovativa, e intellettualmente e scientificamente stimolante, la proposta avanzata da Ronchi (nel capitolo dedicato alla crisi climatica) di un metodo nuovo per suddividere tra i vari paesi emettitori il carico di diminuzione delle emissioni dei gas serra. Secondo questo metodo, il riferimento da cui partire per i conteggi diventa il “budget di emissioni” di gas serra che ci restano a disposizione, a livello planetario, per evitare di superare la soglia della “concentrazione sostenibile” in atmosfera, ovvero 445 ppm al 2050, contenendo così l’aumento della temperatura terrestre entro al massimo due gradi, al di sopra dei quali le conseguenze sarebbero drammatiche per l’esistenza umana sulla Terra. Questo approccio rovescia la prospettiva convenzionale usata fino a oggi, ossia non si calcola più quanto si deve tagliare tenendo come riferimento le emissioni correnti, bensì quanto ciascuno Stato può ancora emettere in base alla popolazione residente (secondo un budget di emissione pro capite) al fine di restare entro la soglia-limite di concentrazione di gas serra in atmosfera indicata dagli scienziati. Un metodo, penso, che comunque deve fare i conti con le diverse “intensità di emissione pro capite” da cui partono i vari paesi, e quindi le responsabilità pregresse. Ma che chiarisce che il riferimento deve essere la soglia della “concentrazione sostenibile”, da cui far discendere il calcolo delle emissioni consentite, e quindi dei tagli.
Rispetto alle prospettive future per le energie sostenibili, i due autori, dati alla mano, dimostrano che il futuro delle energie pulite in parte è già presente, e già oggi rappresenta una componente consistente, sia pure non esclusiva, di quella green economy che Colucci considera un’exit strategy formidabile dalla crisi economica attuale. Negli ultimi due anni, gli investimenti nel settore elettrico per le rinnovabili hanno superato quelli sia per il carbone sia per il nucleare, sottolinea nel libro Ronchi. Discorso diverso per l’Italia, che sconta le indecisioni del governo sul fatto se sostenere o meno le energie rinnovabili, come dimostra anche la vicenda del decreto Romani, conclusa il 5 maggio con l'approvazione di una nuova versione del contoenergia. Volendo richiamare il titolo del libro, il vento spira a favore delle rinnovabili, ma il nostro governo non ne sembra pienamente consapevole, a differenza di ampi settori dell’imprenditoria che avevano protestato a marzo contro il decreto Romani. Ad aprile c’era stato persino uno sciopero nel settore, altro segnale della consistenza di questo comparto.
Non va dimenticata anche la necessità di politiche a sostegno dell’efficienza energetica per ridurre i consumi, da soddisfare poi diminuendo il ricorso alle fonti fossili, che aumentano le emissioni di gas di serra e pesano sulla deficitaria bolletta energetica del paese. Nel capitolo dedicato a questo tema, Colucci non lesina critiche a Confindustria, che ha prodotto un programma di interventi per l’efficienza molto interessante, senza però sostenerne la promozione e la discussione con le forze politiche e sociali coinvolte.
Sull’acqua, in estrema sintesi, i due autori, oltre a ricordare che abbiamo il record europeo di consumo di acqua minerale, sostengono sia la necessità di politiche di risparmio idrico, sia la necessità di intervenire sul sistema infrastrutturale dei servizi idrici: il 40% dell’acqua ottenuta dalle varie fonti viene sprecata nella fase di prelievo e di distribuzione a causa delle perdite della rete. Stando al calcolo, citato nel volume, effettuato dall’istituto di ricerca Utilitatis (fondato da Federutility) in collaborazione con ANEA (Associazione nazionale autorità e enti di ambito) sulla base dell’analisi di 91 dei 93 Piani di ambito approvati al 2008, il fabbisogno di investimenti nel settore dei servizi idrici ammonta a 66,54 miliardi di euro, ovvero richiede una quantità di risorse finanziarie che gli autori definiscono non disponibile, anche perché, come sostengono, molto spesso a carico di enti locali. La proposta avanzata da Colucci per affrontare i problemi di questo settore parte dal concetto di acqua come bene e risorsa pubblica essenziale e irrinunciabile, per sostenere poi la necessità, da un lato, della lotta ai monopoli e alle rendite di posizione attraverso la competizione negli affidamenti, e, dall’altro, di garanzie tariffarie per l’utenza e di utili predeterminati per gli operatori, concepiti solo come remunerazione del capitale investito. Infine, Colucci richiama l’esigenza che siano fissate dagli enti appaltanti norme tecniche e di gestione, che ci sia il coinvolgimento delle Regioni competenti in materia e, infine, che sia garantita la salvaguardia dei servizi da gestire in economia per le peculiarità territoriali.

Ronchi e Colucci sono due persone straordinarie nel panorama politico italiano perché mosse da intenti concilianti nonostante la diversa e opposta appartenenza politica. Si tratta di due “mosche bianche” o credi ci sia da sperare nel futuro politico del nostro Paese? Secondo la tua esperienza, sarà mai possibile in Italia vedere un esponente politico (di qualsivoglia fazione) lavorare davvero per il bene del Paese e non per conquistarsi una poltrona in Parlamento?
Ammetto di aver pensato a Colucci come a un’anomalia nel campo del centrodestra (gliel’ho anche detto!). Ritengo quindi positivo per l’ambiente e lo sviluppo della green economy nel nostro paese che una persona del suo peso imprenditoriale e delle sue vedute sieda alla presidenza di Assoambiente. Già questa nomina, però, induce a pensare che Colucci non sia, per fortuna, una rarità tra gli industriali, come peraltro dimostrano anche i dati di Confindustria Emilia-Romagna che cito nella mia presentazione al volume: l’idea che la tutela dell’ambiente sia tout-court un ostacolo all’attività imprenditoriale, pur persistendo, non è più generalizzata. E del resto la Fondazione per lo sviluppo sostenibile conferma che gli imprenditori sensibili a queste tematiche ci sono.
Altra cosa, però, è la politica: la consapevolezza e la spinta all’innovazione di alcuni settori del mondo industriale non sembrano essere corrisposte dalle politiche ambientali proposte dalla attuale maggioranza di governo, peraltro di scarso spessore se solo le confrontiamo con la Grenelle francese, o le politiche della Germania, o l’obiettivo della Norvegia di essere carbonfree al 2050, e il programma di efficientamento energetico del settore residenziale del Regno Unito, per limitarci ad alcuni esempi europei.
Anche il maggiore partito del centrosinistra, però, ha tardato ad approfittare di questo vuoto politico per fare dell’ambiente, delle energie rinnovabili, della green economy la propria bandiera, benché vada riconosciuto, a mio parere, che sta in parte recuperando terreno, e che è ai governi di centrosinistra che si deve, in passato, l’introduzione sia degli incentivi per le rinnovabili (come, ad esempio il contoenergia), sia dei bonus per l’acquisto di elettrodomestici a basso consumo energetico, sia del rimborso fiscale, pari al 55% delle spese sostenute per la riqualificazione energetica delle abitazioni. Ma anche nel maggior partito di questo schieramento c’è ancora da fare perché l’ambiente sia davvero percepito come una priorità identitaria. Probabilmente sarà la green economy che si sta sviluppando come nuova forza per la ripresa economica ad aprire gli occhi a chi non riesce ancora a cogliere le opportunità del “vento a favore”.
Quanto a politici che lavorino per il bene del nostro paese, posso solo augurare che ce ne siano sempre di più, perché lo spettacolo offerto oggi è, notoriamente, e sempre con le dovute eccezioni, per lo più desolante rispetto alla necessità di inversione di rotta, per allontanarsi dalla tempesta economica, occupazionale e climatica in corso.

 

*Giornalista, è stata assessora all’Ambiente del Comune di Bologna. Autrice di Città contro l’effetto serra (con Karl Ludwig Schibel) e Rivoluzione bici.