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Conflitti ambientali
Intervista a Marica di Pierri
di Anna Satolli

In questo articolo
parliamo di:
Conflitti ambientali
a cura di Centro di documentazione sui conflitti ambientali Cdca

 

Negli ultimi anni è cresciuta nel mondo l’attenzione nei confronti dei conflitti ambientali. Questo perché rappresentano una realtà che colpisce a livello locale, ma con forti implicazioni (e moventi) anche sul fronte globale.
Una lettura dei conflitti è infatti quella di essere la manifestazione localizzata e sintomatica degli effetti che il modello di sviluppo economico attuale produce in termini ambientali e sociali. Edizioni Ambiente ha già dedicato spazio al tema complesso del ˝conflitto ambientale˝ . Con Guerra alla Terra ha proposto una raccolta di storie di guerra per la contesa delle risorse naturali, raccontate dagli inviati di Peacereporter (Emergency). Appena pubblicato è invece Conflitti ambientali. Biodiversità e democrazia della Terra, un’analisi articolata della dimensione dei ˝conflitti˝, una loro mappatura, e al contempo una rassegna di proposte per la loro prevenzione e risoluzione.
Ne parliamo con Marica di Pierri del Centro di documentazione sui conflitti ambientali, che ha curato la realizazione del libro.

Non è così immediato sapere cosa siano i ˝conflitti ambientali˝. Puoi spiegare cosa si intende e quali ne sono le cause scatenanti?
In effetti è un’espressione non ancora sufficientemente diffusa, nonostante negli ultimi decenni i conflitti ambientali siano divenuti fenomeno di interesse crescente in ambito politico, economico e sociale. Senza andare troppo lontano, l’Italia offre migliaia di esempi utili a comprendere di cosa stiamo parlando: i NoTav della Val di Susa, i No Dal Molin di Vicenza, il Coordinamento Regionale Rifiuti Campania e molte altre articolazioni della società civile italiana sono in realtà attori di conflitti ambientali. In termini generali possiamo parlare di conflitto ambientale ogniqualvolta progetti di opere pubbliche o private (energetiche, infrastrutturali, produttive, estrattive ecc.) con rilevanti impatti ambientali e sociali si incontrano – o meglio si scontrano – con l’opposizione della società civile organizzata. L’importanza di questi fenomeni risiede nel fatto che essi rappresentano una manifestazione localizzata ma sintomatica degli effetti che il modello di sviluppo attuale produce ovunque nel mondo, con intensità variabili, in termini ambientali e sociali.

Come funziona la relazione tra ˝democrazia della Terra˝ e conflitti?
Quando parliamo di ˝democrazia della Terra˝ ci riferiamo alla visione di un vasto campo esistente e in continua espansione. L’altro aspetto di supremo interesse relativo ai conflitti ambientali è proprio che essi stimolano nelle comunità coinvolte, e in generale nella società civile, forme nuove e dirette di partecipazione attraverso strumenti di democrazia dal basso. In Asia, Africa e soprattutto in America Latina questi soggetti propongono un’altra idea di relazione con la vita, che parte dalla difesa dei beni comuni, dalla valorizzazione dei saperi tradizionali, dalla democrazia comunitaria. In questo senso, la loro pratica è basata su un' ˝etica della Terra˝. In questo scenario, la democrazia della Terra assume la liberazione della ˝Madre Terra˝ come elemento indissolubile della lotta per la liberazione dell’essere umano. É questa la novità più rilevante alla quale ci troviamo di fronte.

Quali sono le aree più sensibili ai ˝conflitti˝ che il Cdca ha studiato e perché?
Il Centro di documentazione sui conflitti ambientali si occupa di mappare casi di conflitto principalmente in America Latina, Asia e Africa. La maggior parte dei casi studiati provengono tuttavia dall’America Latina. La ragione di questa preponderanza è semplice: in America Latina più che altrove i movimenti sociali e la società civile organizzata sono riusciti, attorno alla difesa dei territori e dei diritti collettivi, a innescare processi sociali di portata nazionale e oltre. Basti pensare a quanto avvenuto in Bolivia, dalla guerra dell’acqua di Cochabamba del 2000 all’elezione nel 2005 del primo presidente indigeno della storia del sub continente. O ancora in Ecuador, dove dalle mobilitazioni dei movimenti indigeni si è arrivati a riscrivere la costituzione includendo al suo interno una sezione dedicata ai Diritti della Natura, approccio che ritroviamo anche nel nuovo sistema giuridico Boliviano. Ci pare che siano esperienze che vale la pena raccontare.

Gli ultimi mesi sono segnati da importanti migrazioni provenienti dal Nord Africa. Ci vuoi raccontare del fenomeno sempre più pressante dei ˝profughi ambientali˝?
Il fenomeno delle migrazioni forzate da cause ambientali è purtroppo dilagante e minaccia di divenire in tempi brevi un’emergenza su scala globale. Ha a che vedere con il concetto di giustizia ambientale: spesso sono i popoli del Sud del mondo, che in misura minima hanno contribuito alla contaminazione progressiva del pianeta, a soffrirne maggiormente e ingiustamente le conseguenze. Fenomeni meteorologici estremi, deterioramento degli ambienti di provenienza, inquinamento dei territori ecc. hanno fatto sì che al giorno d’oggi il degrado ambientale causi più migrazioni dei conflitti armati. L’Unhcr (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ndr) parla di 200-250 milioni di profughi ambientali entro il 2050. Crediamo sia importante che le persone capiscano, ad esempio, il legame tra la prostituzione di ragazze nigeriane sulle strade delle nostre città e la distruzione del delta del Niger compiuto dalle multinazionali del petrolio, tra cui la nostra Eni. Solo in questo modo, capendo i nessi tra i fenomeni cui assistiamo, è possibile mettere le cose nella giusta prospettiva.

La sindrome da gigantismo delle attuali teorie economiche tende ad annullare le realtà del ˝micro˝. Va in azzeramento tutto ciò che è locale, piccolo, diverso, non omologato. Che genere di risposte e proposte invece attivano questa miriade di piccole realtà?
Nel libro un’intera sezione è dedicata alle proposte messe in campo dal basso per contrastare le politiche spesso imposte dall’alto. Tra esse molte riguardano i livelli di partecipazione, la necessità cioè di coinvolgere la popolazione in decisioni che coinvolgono l’uso del territorio e delle risorse. Le parole chiave di questi processi sono comunità, collettività, democratizzazione dei saperi, autogoverno, auto organizzazione, autogestione ma anche interdipendenza, mutuo soccorso, reciprocità e cooperazione. La comunità locale assume una valenza che trascende la dimensione territoriale, per mettere in campo strumenti capaci di rispondere alla crisi di sistema che sta portando alla più grave emergenza ambientale che il pianeta abbia mai vissuto.

Rispetto alla dimensione del ˝conflitto ambientale˝ c’è una prospettiva futura positiva ? Come è possibile arrivarci?
Molti casi di conflitto che abbiamo studiato hanno visto delle sonanti vittorie da parte della società civile. Attraverso la mobilitazione, la partecipazione, l’auto organizzazione, molte comunità sono riuscite a perseguire la propria idea di gestione dei territori e delle risorse. Trascendendo i singoli casi, è guardando a Sud come ricordavo prima che scorgiamo le prospettive più interessanti. Riconoscere e disciplinare diritti proprio in capo alla Natura è senz’altro una delle conquiste di maggior rilievo degli ultimi anni. Arrivare all’istituzione di una corte internazionale sui crimini ambientali sarebbe un altro passo necessario a garantire alle future generazioni gli stessi diritti e le stesse responsabilità nei confronti del pianeta. È in questa direzione che vanno i movimenti sociali e le tante comunità rurali e indigene che in tutto il mondo lottano per la giustizia ambientale e sociale.