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Spreco di cibo, ecco il libro nero. Intervista a Luca Falasconi di Paola Fraschini
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Spreco di cibo, ecco il libro nero
Intervista a Luca Falasconi
di Paola Fraschini

A metà maggio la FAO ha reso disponibile il rapporto su Perdita e spreco di cibo nel mondo, ebbene nel documento si legge che la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire abbondantemente 12 miliardi di esseri umani, cioè il doppio di quelli attualmente presenti sul pianeta… Com’è possibile, allora, che il numero di affamati non diminuisca, anzi aumenti? Nello State of the World di quest’anno si dice che, se vogliamo nutrire una popolazione mondiale in crescita, dobbiamo cambiare il modo in cui coltiviamo ciò che mangiamo. Ma è possibile anche puntare sulla riduzione degli sprechi lungo tutta la filiera agroalimentare.
In Italia vengono gettate oltre dieci milioni di tonnellate di cibo l'anno sufficienti a nutrire 44 milioni di persone (in Italia siamo circa 60 milioni). Numeri alla mano significa che ogni famiglia italiana in un anno spende mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà. Esistono svariati modi per recuperare i beni invenduti, uno di questi si chiama Last Minute Market. Parliamone con Luca Falasconi* curatore insieme ad Andrea Segré** de Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo.

In Italia finiscono nel pattume, con i rifiuti agroalimentari, 12,5 miliardi di euro. Quali sono le cause di tanto spreco?
Le cause dello spreco sono innumerevoli, molte legate ad aspetti meramente commerciali altre alla semplice male-educazione alimentare dei consumatori. Mi spiego. “Le regole del mercato” in una parte degli sprechi alimentari giocano un ruolo fondamentale, ad esempio quando l’agricoltore non ha convenienza economica nel raccogliere il frutto del suo lavoro, è proprio il caso di dire, a malincuore preferisce lasciarlo marcire in campo (vedi ad esempio frutta e verdura che in alcuni casi spuntano prezzi sul mercato inferiori ai soli costi di raccolta). Oppure, per passare al consumatore finale, la mancata consapevolezza della differenza che corre tra “data di scadenza” e “preferenza di consumo” (la prima la troviamo su alcuni alimenti quali ad esempio carne, pesce, latte fresco ecc. la cui vita è rigidamente stabilita dalla legge ad esempio per il latte, vendita e consumo devono avvenire entro 7 giorni dal confezionamento, mentre “la preferenza di consumo” stabilisce il periodo in cui il produttore assicura che il bene manterrà le caratteristiche organolettiche originarie, superato tale periodo il prodotto perderà progressivamente parte del suo valore nutrizionale ma non è assolutamente tossico) fa sì che vengano gettati in pattumiera alimenti ancora integri. Anche il fatto che nei supermercati si possa scegliere la merce direttamente a scaffale, e quindi si preferisce acquistare un prodotto con il packaging integro piuttosto che quello leggermente difettato (ad esempio una confezione di tre di tonno dove il cartone presenta un piccolo strappo).

Ci sono alimenti più sprecati di altri? In che modo lo spreco di cibo ha delle ricadute in termini ambientali?
Sicuramente frutta e verdura sono le categorie di alimenti con la percentuale più elevata di spreco, la loro natura di prodotti freschi-freschissimi li rende beni facilmente danneggiabili dal punto di vista estetico e ciò ne causa la loro invendibilità e quindi il loro spreco. Le ricadute in termini ambientali le possiamo leggere in modo indiretto. Infatti sprecare prodotti alimentari comporta non solo la distruzione di quel bene fisico ma anche lo spreco di tutte le risorse che sono state utilizzate per produrlo: l’acqua impiegata per far crescere un frutto, i concimi e gli antiparassitari usati per la coltivazione, i carburanti per il trasporto ecc. Per dare un’idea delle cifre, nel 2009 sono state lasciate a marcire in campo ben 177.000 tonnellate di mele per la cui produzione sono stati necessari ben 124.235.300 metri cubi di acqua, ma visto che quelle mele sono andate distrutte significa che quell’acqua in un certo senso è servita per produrre “rifiuti”. Oppure pensate al fatto che in un anno un grande ipermercato può arrivare a sprecare anche 140 tonnellate di prodotti alimentari. Se consideriamo che mediamente prima di arrivare sugli scaffali quel cibo ha percorso 1.700 Km, ciò significa che le 19 tonnellate di anidride carbonica equivalente prodotte dal loro trasporto sono state emesse anche in questo caso per produrre solo rifiuti.

Chi sono i principali colpevoli dello spreco nella filiera agroalimentare?
Come accennavo prima forse i principali colpevoli dell’immane spreco siamo noi consumatori che ci siamo fatti viziare e abbiamo perso parte della nostra razionalità nel consumo di cibo. Negli ultimi anni, sempre più spesso, il cibo percorre nella media circa 1.700 km prima di arrivare sugli scaffali dei negozi e, più o meno necessariamente, ha perso il contatto con chi lo produce (soggetto che potrebbe raccontarci la storia dell’alimento che mangiamo, la sua “genesi”, i problemi e le difficoltà affrontate ma anche e soprattutto il legame che quel prodotto ha con il territorio e la terra che lo ha generato). Questo implica la presenza di innumerevoli soggetti coinvolti nel suo trasporto, trasformazione, condizionamento e commercializzazione, e in alcuni casi anche somministrazione. Più il percorso tra produttore e consumatore si allunga e più soggetti si frappongono, più il bene che entra nelle nostre case è ricco di servizi. In molti casi questi servizi, sia in termini di valore sia di percezione del consumatore, acquistano più importanza del bene alimentare stesso e quindi quando presentano delle difettosità ciò determina un rifiuto dell’intero prodotto. La perdita o il non passaggio di informazioni tra chi realizza quel bene e chi realmente lo utilizza porta spesso a dar poco valore alla sostanza e molto di più a ciò che è accessorio. Per questo motivo è indispensabile che il consumatore torni nuovamente a informarsi sugli alimenti e che il produttore possa comunicare al consumatore stesso i valori portanti della sua attività (in questo senso si veda l’esperienza dei mercati della terra Slow Food e in generale le occasioni di vendita diretta dal produttore al consumatore sempre più diffuse, ndr).

C’è forse qualcosa che non va nel sistema produttivo?
Credo che in molti casi si produca troppo, la FAO stima che oggi produciamo cibo per 12 miliardi di persone e siamo “solo” in sei miliardi. Ma anche e soprattutto che siamo entrati nel circolo perverso del consumo, nel quale lo spreco e l’obsolescenza sono mali tollerati per portarci a consumare sempre più in quanto vige l’imperativo della crescita infinita, in un mondo in cui le risorse sono finite…

Come evitare lo spreco alimentare?
In primo luogo riappropriandoci dell’educazione alimentare, nel senso che nel bagaglio di conoscenze della maggior parte dei consumatori vi è ricompreso tutto il know-how per l’utilizzo delle più moderne tecnologie, ma spesso manca il know-how relativo a quello che mangiamo (vedi ad esempio la semplice differenza tra “data di scadenza” e “preferenza di consumo”). L’azione di alimentarci viene compiuta mediamente da ognuno di noi 3 volte al giorno, senza questa azione non potremmo vivere e spesso la diamo per scontata. Questo dare per scontato tutto ciò comporta spesso il dimenticarci delle regole base (ad esempio quando si fa sempre una stessa strada in auto non si fa più caso ai segnali stradali e se questi cambiano non ce ne accorgiamo subito). Quindi ritengo fondamentale che le scuole di ogni ordine e grado, e che le istituzioni pubbliche lancino campagne di sensibilizzazione e formazione in materia di educazione alimentare in modo tale che le famiglie possano riappropriarsi della consapevolezza di un’azione così “scontata” ma allo stesso tempo vitale.

Come trasformare gli avanzi in risorsa e lo spreco in sviluppo sostenibile?
Di modi ce ne possono essere più di uno ma noi di Last Minute Market abbiamo scelto la strada del loro recupero e redistribuzione gratuita alle fasce più deboli della nostra popolazione, attraverso un mercato dell’ultimo minuto del tutto particolare. L’obiettivo è quello di creare una rete sul territorio capace di coniugare le esigenze delle imprese con quelle del terzo settore che assiste le fasce deboli della popolazione, ma anche l’amministrazione pubblica. Tale rete è quindi capace di implementare sul territorio un recupero che ha ricadute positive sia di tipo ambientale, sia sociale, sia nutrizionale, sia economico. Last Minute Market ha origine dai banchi della Facoltà di agraria di Bologna dove si è cercato di analizzare la catena agroalimentare da un punto di vista differente (analisi dei soggetti che la compongono, peso dei vari settori, efficienza del sistema ecc.) e cioè andando ad analizzare uno dei suoi “fallimenti”, quello degli sprechi. L’obiettivo era quello di capire dimensioni e cause del fenomeno, in modo tale da proporre soluzioni che portassero a un suo ridimensionamento. Laddove ciò non era possibile abbiamo pensato di lanciare un’idea, un progetto, non troppo nuova nel suo concetto (in quanto al mondo, ma anche in Italia, già vi erano altre realtà che implementavano azioni simili a quella che avevamo pensato) ma nuova nelle modalità. L’idea di base quindi è stata quella di mettere direttamente in contatto le imprese che quotidianamente si trovano a dover gestire il problema degli sprechi e le associazioni che assistono le fasce deboli della popolazione, per le quali il problema dell’acquisto di cibo non è secondario. Così è nato Last Minute Market, ora Spin-off Accademico (impresa nata da studenti e docenti universitari in cui la stessa Università è socia), che si prefigge l’obiettivo di creare tutte le condizioni (fiscali, igienico-sanitarie, logistiche) perché quei cibi, che qualcuno reputa non più vendibili ma che sono ancora perfettamente consumabili (che altrimenti diventerebbero rifiuto), giungano nelle tavole delle associazioni che assistono i bisognosi delle nostre città. Caratteristica fondante dell’azione di Last Minute Market è che ciò che si recupera in un paese, in un quartiere rimane nello stesso paese o quartiere, quindi il bene recuperato spesso non fa più di qualche chilometro o addirittura qualche centinaio di metri. Ciò permette di tagliare le due variabili che quotidianamente ci rincorrono, spazio e tempo.
Questo aspetto è la base del concetto di sviluppo sostenibile locale. In quanto un’azione così mirata porta ricadute positive in tutte e tre le sue dimensioni, sociali economici e ambientali. Riduciamo la produzione di rifiuti e lo spreco di risorse, beneficiamo le fasce deboli della popolazione e permettiamo a tutti i soggetti di ottenere dei vantaggi economici, chi dalla riduzione delle spese legate allo smaltimento dei rifiuti, chi per la riduzione delle spese per l’acquisto di prodotti alimentari, risparmi comunque reinvestiti per l’acquisizione di altri beni e servizi per i propri assistiti.

Qual è il trend mondiale dello spreco e come si pone l’Italia rispetto a questo andamento generale?
Come accennato precedentemente al mondo, secondo le stime FAO, produciamo cibo per il doppio della popolazione attualmente presente, per cui chi più, chi meno produce sprechi alimentari.
Sicuramente Inghilterra e Stati Uniti sono due tra i paesi che producono maggiori sprechi alimentari, rispettivamente sprecano il 30-40% e il 25% del cibo che circola nel loro sistema agroalimentare. L’Italia in questa spiacevole classifica ha un posizione non di vertice per fortuna (mediamente lo spreco si attesta intorno al 10-15%). Forse i retaggi di una cultura alimentare ancora radicata in parte dei membri delle nostre famiglie ci permette di avere un rapporto accettabile con il cibo. E se ciò è vero non perdiamo “i saperi” che ci vengono dalla nostra tradizione perché oltre a non perdere le nostre radici culturali ci danno la possibilità di essere dei soggetti sostenibili, dal punto di vista economico ma anche, e soprattutto, ambientale e sociale.

Tanti alimenti buttati e tante bocche affamate (secondo i dati FAO sono quasi un miliardo), a livello globale è davvero un controsenso… è possibile ridistribuire questo “valore” in modo equo o ci raccontiamo una favola?
Nella situazione socio-politico-culturale in cui siamo ora credo che purtroppo ci raccontiamo delle favole, e ciò che sta succedendo in questi mesi nella sponda sud del Mediterraneo ne è un chiaro esempio. Se c’è qualcuno che si permette non solo di pensare ma anche di attuare azioni speculative sulle commodities (la base del cibo) credo che siamo molto lontani da una distribuzione equa dei diritti sul nostro pianeta. Sicuramente la speculazione sulle commodities non è l’unica o la principale causa della fame al mondo, ma è un chiaro segno di quali siano i valori che stanno alla base dei nostri sistemi economici.

* Ricercatore presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, è co-fondatore e socio di Last Minute Market.

** Preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna. Fondatore e presidente di Last Minute Market.