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Il cibo? Se non è eco, non è nemmeno buono. Intervista a Danielle Nieremberg di Diego Tavazzi

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Il cibo? Se non è eco, non è nemmeno buono
Intervista a Danielle Nierenberg
di Diego Tavazzi

In questo articolo
parliamo di:
State of the World 2011
Nutrire il pianeta

di Worldwatch Institute a cura di Gianfranco Bologna

L’edizione 2011 dello State of the World è focalizzata sul tema del cibo e degli impatti ambientali e sociali del sistema agroindustriale, sul fondamentale contributo che l’agricoltura può dare alla risoluzione dei problemi globali. Abbiamo chiesto a Danielle Nierenberg, Senior Researcher del Worldwatch Institute e curatrice dell’edizione del Rapporto di quest’anno, di sintetizzare le problematiche più urgenti e di illustrare quelle che sono, a suo giudizio, le soluzioni più promettenti.

Secondo le stime più prudenti della divisione delle Nazioni Unite, entro il 2015 la popolazione umana arriverà a 9,5 miliardi di persone. Pensa che il sistema agroindustriale sarà in grado di nutrirle, e di farlo in maniera sana e sostenibile?
Nonostante i progressi della tecnologia, il sistema di produzione agroindustriale non è al momento in grado di nutrire più di 6 miliardi di persone – non va dimenticato che almeno un miliardo di persone, cioè un sesto della famiglia umana, vanno a letto affamate. Dobbiamo rivedere i nostri metodi agricoli per essere sicuri che le persone possano mangiare e possano farlo in modo sano. Peraltro, lo stesso sistema che genera malnutrizione nell’Africa sub-sahariana sta causando anche un’epidemia di obesità nei paesi ricchi e anche in quelli poveri.
Svariati studi, tra cui il U.N.’s Special Rapporteur on the Right to Food Agroecology Report e l’International Assessment for Agricultural Science, Knowledge, and Technology for Development, sottolineano il ruolo che le soluzioni agroecologiche potrebbero avere nell’alleviare la fame e la povertà, proteggendo nel contempo l’ambiente. Le rese associate alle pratiche agroecologiche o a quelle ambientalmente sostenibili possono essere addirittura superiori a quelle dell’agricoltura convenzionale, che si basa sui fertilizzanti, sui pestidici e sui diserbanti chimici e sulla meccanizzazione massiccia. Inoltre, le pratiche agroecologiche assicurano ai coltivatori una serie di vantaggi impossibili da ottenere con i metodi tradizionali: incremento della biodiversità (più specie di piante, alberi, uccelli e insetti benefici), una miglior fertilità del suolo e un miglior utilizzo dell’acqua, il sequestro del carbonio e redditi più alti.

Cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale e picco del petrolio: quali impatti avranno sul sistema agroindustriale?
In molte regioni del pianeta, e in particolare nell’Africa sub-sahariana, gli agricoltori stanno già soffrendo per gli effetti dei cambiamenti climatici, tra cui un’intensificazione degli eventi meteorologici estremi come siccità, alluvioni e ondate di calore. Inoltre, si registra anche un incremento delle malattie del bestiame e delle colture.
Le pratiche agricole convenzionali dipendono fortemente dal petrolio e richiedono enormi quantità di combustibili fossili per ogni passaggio della filiera agroalimentare, dai fertilizzanti fino alla refrigerazione e al trasporto. I prezzi del petrolio e del cibo continuano a crescere, e ciò già danneggia gli agricoltori e i consumatori, e non ci sono segnali che lascino intendere che i prezzi possano stabilizzarsi. Ciò significa che i consumatori faticheranno ad acquistare cibi importati e si rivolgeranno invece ai cibi prodotti localmente e che dipendono meno dai combustibili fossili.

Gli alimenti geneticamente modificati sono la soluzione ai fabbisogni alimentari?
Non penso che i cibi geneticamente modificati possano essere vantaggiosi per i piccoli agricoltori o per garantire che tutti, nel mondo, abbiano cibi sicuri, economici e sani. Gran parte delle ricerche sugli OGM sono state condotte su colture di grandi estensioni, gestite da agricoltori di media o grande scala, e non su quelle colture che possono aiutare i piccoli agricoltori a guadagnare di più o che possono nutrire i consumatori più poveri. Sono poi preoccupata per i rischi ambientali e sanitari connessi all’uso delle colture geneticamente modificate, e credo siano necessarie ricerche più approfondite prima della loro adozione su vasta scala nell’Africa sub-sahariana e in altre aree del pianeta.

Quali sono le innovazioni più promettenti nell’agricoltura e nei settori a essa connessi?
Ci sono 4 tipologie di innovazione davvero promettenti. Il primo tipo è costituito da quelle innovazioni che rendono più professionale l’agricoltura e più attraente per i giovani. In Uganda, per esempio, Slow Food International sta lavorando con il Project DISC (Developing Innovations in School Cultivation) per far riscoprire ai più giovani il gusto per gli ortaggi africani tradizionali che, oltre a essere particolarmente nutrienti, sono anche molto resistenti agli effetti dei cambiamenti climatici. Il Project DISC insegna ai ragazzi come coltivare, cucinare e lavorare gli ortaggi. In questo modo, si recuperano il patrimonio di conoscenze dell’agricoltura locale, si incentiva lo sviluppo di un mercato per questi prodotti e i ragazzi imparano quelle abilità di cui hanno bisogno per diventare agricoltori di successo. Le innovazioni nell’agricoltura urbana possono contribuire a nutrire una popolazione mondiale in continua crescita, e in più forniscono stimoli importanti alle regioni rurali. Lo slum di Kibera, in Kenya, è il più esteso dell’Africa sub-sahariana, con il suo milione e passa di abitanti. Proprio a Kibera ho conosciuto un gruppo di contadini urbani che, oltre a far crescere cibo a sufficienza per nutrirsi e per venderlo, stanno anche diventando una preziosa fonte di sementi per i contadini delle aree rurali. Coltivano okra (una pianta tropicale erbacea coltivata per i suoi frutti commestibili, ndr), pomodori, verdure a foglia larga e altri vegetali in piccole aiuole in appezzamenti di dimensioni ridotte e vendono le sementi ai contadini delle aree rurali.
Nell’Africa orientale non ci sono molte aziende di sementi locali, e spesso gli agricoltori faticano a trovare semi di buona qualità e a prezzi ragionevoli. L’attività di questi contadini urbani sta smentendo chi sostiene che l’agricoltura urbana può nutrire solo i poveri e gli affamati delle città. Anche un fazzoletto di terra può produrre reddito. Una coltivatrice con cui ho parlato mi ha raccontato che da quando produce semi è riuscita a mandare le sue figlie a scuola, e ha potuto anche acquistare un terreno nei dintorni di Nairobi. Anche le innovazioni che evitano gli sprechi di cibo sono importanti. Dal 20 al 50% del cibo viene gettato via prima di arrivare negli stomaci delle persone: la quantità di investimenti destinati a incrementare la produzione dovrebbe equivalere a quella destinata a ridurre, appunto, gli sprechi (per approfondire l’argomento si legga Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo di Andrea Segrè e Luca Falasconi, ndr).
Gli sprechi sono insidiosi perché si verificano lungo tutta la filiera alimentare – un po’ di cibo viene sprecato direttamente nel campo, un po’ durante il trasporto, un po’ in casa – e quindi il problema deve essere affrontato su più fronti. La buona notizia è che prevenire gli sprechi è semplice ed economico. Accanto ai miglioramenti nella refrigerazione e nel trasporto, anche innovazioni meno sofisticate possono dare un contributo importante. Penso a disidratatori e essicatori alimentati a energia solare, che potrebbero aiutare i contadini e i consumatori ad avere cibo a sufficienza e per periodi più lunghi.
Infine, le innovazioni che incrementano la resilienza ai cambiamenti climatici saranno importanti per gli agricoltori di tutto il mondo. La riforestazione e la rigenerazione della vegetazione naturale aiutano non solo a sequestrare carbonio nei suoli, ma possono anche incrementare le riserve idriche e la fertilità dei suoli stessi, oltre a proteggere la biodiversità. Le analisi condotte nello State of the World 2011 stimano che nei prossimi 50 anni gli agricoltori africani potrebbero sequestrare fino a 50 miliardi di tonnellate di carbonio nei loro terreni, principalmente piantando alberi nei loro terreni, proteggendo le foreste e coltivando i loro terreni per più di un anno. 50 miliardi di tonnellate equivalgono a un anno di emissioni globali, e ciò costituirebbe un contributo assai generoso da parte di una regione del pianeta che emette una quantità minima di gas serra.
Nello State di quest’anno, Chris Reji, scienziato alla VU University di Amsterdam, illustra 75 progetti (in corso in 22 nazioni in tutta l’Africa) che hanno l’obiettivo di compensare le comunità e gli agricoltori che sequestrano carbonio nei loro terreni. Inoltre, racconta della proposta per creare un African Agricultural Carbon Facility che potrebbe fungere da incubatore per i progetti nelle aree agricole, aiutando a connetterli con i compratori.
Tutte queste innovazioni sono molto importanti, perché i cambiamenti nelle pratiche agricole che sequestrano carbonio allo stesso tempo riducono le perdite d’acqua, incrementano le rese e aiutano a far aumentare la diversità agricola, il che le rende delle soluzioni vantaggiose sia per l’ambiente sia per le comunità che le applicano.
Queste soluzioni, peraltro, non sono patrimonio esclusivo dell’Africa. Si sta infatti verificando, in tutto il mondo, una convergenza verso questo tipo di pratiche. Se si guarda alle raccomandazioni rilasciate da soggetti diversi come la Food and Agriculture Organization, l’Unione europea o lo United States Department of Agriculture, si potranno ritrovare i principi ispiratori di molte delle idee proposte nel Rapporto di quest’anno, tra cui quelle a proposito degli sprechi di cibo, degli acquisti di cibo locale da parte delle scuole e degli enti governativi e degli investimenti sui processi di produzione di piccola scala. Tutti questi cambiamenti genereranno posti di lavoro e redditi in Africa, India, nell’America Latina e in Europa, e daranno svariate occasioni a tutti i contadini urbani del mondo.
Ma la cosa più importante di questi progetti è che dimostrano che l’agricoltura può dare un contributo fondamentale alla risoluzione dei problemi globali. Può ridurre i costi a carico della sanità pubblica, può rendere le città più vivibili, può creare occupazione e può persino mitigare i cambiamenti climatici. I contadini possono essere i veri eroi di un mondo più sostenibile.
Gli esempi che ho elencato dimostrano cosa può essere fatto non solo nel continente africano ma in tutto il mondo – hanno solo bisogno di più attenzione e supporto da parte dei politici africani e dei donatori internazionali.