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La Tempesta perfetta. Intervista a Lester Brown di Anna Satolli
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La tempesta perfetta
Intervista a Lester Brown
di Anna Satolli


Un mondo al bivio segna il nuovo appuntamento con il “Piano B” di Lester Brown, un’alternativa studiata nel dettaglio all’attuale sistema economico-sociale che funziona grazie a “uso&abuso” di risorse non infinite e all’illusione di una crescita (di economia e popolazione) no stop.
Ma questo nostro business as usual si sta dimostrando altamente fallimentare. Ormai il rischio di default degli stati tocca anche paesi guida del mondo (come ci ha mostrato l’attualità estiva degli Usa).
Allora capiamo con l’autore, e presidente dell’Earth Policy Institute, quale bivio ci convenga imboccare a questo punto.

Nella Premessa di Un mondo al bivio racconti di una “tempesta perfetta” che sta per scatenarsi. Carenza di cibo, scarsità d’acqua, accelerazione nei fenomeni di cambiamento climatico, migrazioni ambientali di massa e prezzi del petrolio sempre più elevati sarebbe il suo mix potenzialmente dirompente. Potrebbe trattarsi di una “recessione ultima” dalla quale rischiamo di non riprenderci mai più. Quando pensi che dovremo affrontare tutto ciò?
Nessuno lo sa per certo. Ora però risulta chiaro che è il cibo l’anello debole del nostro sistema. Come scrivo in Un mondo al bivio, basta ormai la differenza di un misero raccolto per scatenare il caos nel mercato mondiale dei cereali. E sarebbe già potuto accadere se l’ondata di calore che ha colpito Mosca nell’estate del 2010 avesse invece interessato Chicago. A grandi linee, il crollo del 40% del raccolto russo dell’anno scorso, normalmente di circa 100 milioni di tonnellate, è costato al mondo 40 milioni di tonnellate di cereali; una perdita del 40% sui 400 milioni di tonnellate del raccolto americano avrebbe portato a una riduzione di 160 milioni di tonnellate.
La stima delle riserve mondiali di cereali (la quantità rimasta quando ha inizio il nuovo raccolto) per il 2011 si è ridotta da 79 giorni di consumo mondiale a 72 giorni, a causa dell’ondata di caldo in Russia, e tale valore sarebbe sceso a soli 52 giorni se l’ondata di calore avesse colpito Chicago. Questi livelli sarebbero non solo i più bassi mai registrati, ma si collocherebbero abbondantemente al di sotto dei 62 giorni che hanno preparato il terreno al triplicarsi dei prezzi del grano nel 2007-2008.
In breve, se le temperature del mese di luglio a Chicago fossero state di 10 °C sopra la media, come è successo a Mosca, nel mercato mondiale dei cereali si sarebbe scatenato il caos e i prezzi sarebbero saliti alle stelle. Alcuni paesi esportatori avrebbero limitato o anche proibito le esportazioni nel tentativo di tenere sotto controllo i prezzi nazionali del cibo, come accadde nel 2007-2008. I telegiornali della sera sarebbero stati dominati dalle scene delle rivolte per il cibo nei paesi importatori di cereali e dalle storie di governi al fallimento in seguito al diffondersi della fame. I paesi importatori di cereali, ma esportatori di petrolio, avrebbero cercato di barattare petrolio in cambio di cibo, e i paesi importatori più poveri probabilmente non ce l’avrebbero fatta. Con il fallimento di molti governi e con la fiducia nel mercato dei cereali in frantumi, l’economia globale avrebbe potuto iniziare a sgretolarsi.
Al momento, la stabilità del prezzo dei generi alimentari dipende da raccolti annuali da record o quasi. I cambiamenti climatici non costituiscono l’unico rischio per la sicurezza alimentare, dato che la crescente scarsità d’acqua rappresenta una minaccia enorme, e anche più incombente, per la sicurezza alimentare e la stabilità politica. Le “bolle del cibo” basate sull’acqua, che gonfiano artificialmente la produzione di cereali prosciugando le falde acquifere, stanno iniziando a scoppiare e, di conseguenza, i raccolti che dipendono dall’irrigazione sono in calo. La prima “bolla alimentare” è esplosa in Arabia Saudita, dove il prosciugarsi del suo acquifero fossile sta praticamente cancellando i 3 milioni di tonnellate di raccolto di grano del paese. Nel mondo ci sono almeno altri 17 paesi in cui le bolle alimentari sono gonfiate dall’eccessivo pompaggio d’acqua.

World on the Edge è il titolo originale del libro. Vuoi dire che il mondo sta giocando all’equilibrista sul limitare di un precipizio?
Infatti, e questo accade perché ci aspettiamo che un pianeta finito possa reggere una popolazione e un’economia in crescita continua.
Se si pensa che a partire dal 1900 l’economia mondiale è cresciuta di circa 20 volte, ebbene questa “scalata economica” ha messo le risorse del pianeta in uno stato di stress senza precedenti. Oggi sono in condizione di grave sofferenza foreste, praterie, terreni agricoli, riserve ittiche e risorse idriche.

In pratica il mondo si sta sovrasfruttando. Si stima che occorrerebbe l’equivalente di una Terra e mezza per sostenere i nostri consumi attuali. Come dei folli stiamo prendendo a picconate le fondamenta che garantiscono la nostra esistenza...
Eh già, bel paradosso: stiamo iperconsumando all’estremo, al punto da arrivare al declino e al totale fallimento degli stati.
Circa un terzo dei terreni adibiti a coltura del mondo sta perdendo suolo superficiale a un ritmo superiore a quello del suo ripristinarsi, che significa una perdita di fertilità e produttività (e porta alla desertificazione). A questo proposito, si stanno formando due enormi Dust Bowls (tempeste di sabbia): la prima coinvolge la Cina settentrionale, la Mongolia occidentale e l’Asia centrale, l’altra invece si trova nell’Africa centrale, nella regione del Sahel. Entrambe queste tempeste giganteggiano rispetto alla famosa Dust Bowl che colpì gli Usa negli anni Trenta (della quale racconta anche John Steinbeck in Furore, ndr).
Oggi metà della popolazione mondiale vive in paesi che stanno sovrasfruttando gli acquiferi a scopi irrigui. Tra questi ci sono la Cina e l’India, che dipendono moltissimo dall’agricoltura irrigua. Secondo le stime della Banca Mondiale i cereali prodotti in India grazie a un eccessivo pompaggio dell’acqua sfamano 175 milioni di indiani, mentre per la Cina si parla di 130 milioni di persone.
In Medio Oriente la produzione di cereali sta diminuendo con il prosciugarsi degli acquiferi (a causa del loro sovrapompaggio). Questa è la prima regione in cui la riduzione della disponibilità d’acqua ha coinciso con una sofferenza immediata dei raccolti. Negli ultimi 50 anni, il numero di capi di bestiame (bovini, pecore e capre) è raddoppiato o triplicato in molti paesi del mondo. Questo fenomeno comporta un’automatica perdita di praterie. L’ipersfruttamento dei pascoli in Cina settentrionale, in Asia centrale, in Medio Oriente e nella regione africana del Sahel sta trasformando vaste aree in zone desertiche. Inoltre, ogni anno il mondo perde nuove porzioni di foresta. È un trend che è sotto osservazione da ormai 50 anni. Le perdite si concentrato nel Bacino amazzonico, in Indonesia, e ultimamente anche nel Bacino del Congo. In Amazzonia la deforestazione sta “indebolendo” il viaggio che compie l’acqua (sotto forma di aria umida) dall’oceano Atlantico all’Amazzonia occidentale, al Brasile sudoccidentale e all’Argentina del nord. Tutto ciò minaccia la produttività agricola di queste regioni.
Il sovrasfruttamento riguarda anche gran parte delle specie ittiche oceaniche. Il risultato è una diminuzione nella grandezza media dei pesci e la pesca non può assolutamente intensificarsi oltre. Negli anni Novanta il raggiungimento del picco nella pesca ha spostato e concentrato l’attività sull’itticoltura, e questo è accaduto soprattutto in Cina. Se l’itticoltura garantisce alle riserve ittiche oceaniche di ripristinarsi, per contro esercita una maggiore pressione sulla terra. Infatti, non solo le vasche per l’allevamento occupano spazio e richiedono acqua, ma in più c’è da considerare l’impatto esercitato sulle risorse di terra e acqua per alimentare i pesci in coltura (che pasteggiano a cereali e soia). In pratica avere già raggiunto i limiti degli oceani ci sta spingendo a forzare quelli delle terre emerse.

Quali potrebbero essere le conseguenze di questo nostro business as usual?
Oggi possiamo studiare i siti archeologici di quelle prime civiltà che sono cresciute troppo in termini di popolazione e hanno gestito male le risorse locali. La fine dei Sumeri può essere ricondotta a un difetto nel loro sistema di irrigazione che ha portato a un’alta concentrazione di sale nel terreno. Quindi quando i raccolti di grano iniziarono a soffrire, i Sumeri si convertirono all’orzo, coltura ben più tollerante al sale. Ma quando anche i campi d’orzo entrarono in difficoltà, fu la fine dei Sumeri.
La deforestazione e l’erosione del suolo possono invece essere riconosciute come le cause di declino e collasso dei Maya, la civiltà più avanzata di quei tempi nell’emisfero occidentale. Ecco quel che potrebbe capitarci.

Ma abbiamo ancora la possibilità di cambiare rotta. Ed è ciò che tu chiami “Piano B"...
Sì, il Piano B è l’alternativa. Per dirla in breve, si fonda su quattro obiettivi fondamentali: il taglio radicale delle emissioni di anidride carbonica (80% entro il 2020); la stabilizzazione della popolazione mondiale a non più di 8 miliardi per il 2040; l’eliminazione della povertà e il ripristino delle foreste, del suolo, delle falde acquifere e delle risorse ittiche. Ecco come fare, punto per punto.
Le emissioni di CO2 possono essere sistematicamente ridotte aumentando l’efficienza energetica mondiale, ristrutturando il sistema dei trasporti e sostituendo i combustibili fossili con la ricchezza di energia eolica, solare e geotermica del pianeta. La transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili di energia può essere guidata innanzitutto da una ristrutturazione del sistema di tassazione che riduca progressivamente le tasse sui redditi e compensi questa diminuzione con un aumento della tassa sulle emissioni.
Due obiettivi del Piano B – stabilizzare la popolazione ed eliminare la povertà – vanno di pari passo e si rinforzano a vicenda. Ciò comporta innanzitutto che almeno l’istruzione di base sia assicurata a tutti, alle bambine come ai bambini. Significa anche offrire almeno l’assistenza sanitaria di base nei villaggi dei paesi in via di sviluppo, così che i genitori possano avere più fiducia nel fatto che i loro figli raggiungeranno l’età adulta; inoltre è necessario che le donne possano accedere ovunque all’assistenza riproduttiva e ai servizi di pianificazione familiare. Il quarto obiettivo, il ripristino dei sistemi e delle risorse naturali del pianeta, comporta per esempio un’iniziativa a livello mondiale per arrestare l’abbassamento delle falde acquifere aumentando la produttività dell’acqua. Questo implica il passaggio a sistemi di irrigazione e a coltivazioni più efficienti dal punto di vista idrico; per le industrie e le città comporta l’applicazione a livello mondiale di una pratica messa già in atto da alcune di esse, ossia il riciclo continuo dell’acqua.
È tempo di proibire la deforestazione a livello globale, come alcuni paesi hanno già fatto, e di mettere a dimora miliardi di alberi per favorire il sequestro del carbonio. Abbiamo bisogno di uno sforzo a livello mondiale per preservare il suolo, simile alla risposta americana alla Dust Bowl del 1930. L’Earth Policy Institute stima che stabilizzare la popolazione, eliminare la povertà e ripristinare i sistemi di supporto naturali dell’economia costerà meno di 200 miliardi di dollari di spese aggiuntive all’anno (un ottavo delle odierne spese militari mondiali).
Una cosa è certa: stiamo affrontando il cambiamento più grande con cui qualsiasi generazione della storia si sia mai misurata. Quello che non è chiaro è quale sarà il punto d’inizio di questo cambiamento: continueremo sulla vecchia strada del business as usual, entrando in una fase di declino economico e di caos diffuso, o riusciremo a ridistribuire rapidamente le priorità, muovendoci alla velocità necessaria per spingere il mondo verso un cammino economico che possa veramente sostenere la nostra civiltà?