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100% rinnovabile: una questione di civiltà di Marco Moro
Imperativo energetico. Intervista a Gianni Silvestrini di Paola Fraschini
Hermann Scheer, l'energia come questione etica di Marco Morosini

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Imperativo energetico. Intervista a Gianni Silvestrini
di Paola Fraschini


“Il mio punto di partenza non sono le fonti rinnovabili, bensì la società. Non sono giunto alla politica sulle fonti rinnovabili partendo da queste ultime, per arrivarci ho preso spunto dalla mia visione del problema e dalla mia concezione di responsabilità politica. La conversione alle rinnovabili è importante per la storia della civiltà”, afferma Hermann Scheer nell’introduzione di Imperativo energetico pubblicato in Germania poco prima della sua scomparsa lo scorso anno. Il visionario che aveva intuito i cambiamenti della scena energetica internazionale, l’“Hero for the Green Century” come l’ha definito la rivista Time, ci ricorda così come il suo impegno per la transizione verso le rinnovabili fosse fortemente ancorato a un’esigenza di giustizia sociale oltre che alla preoccupazione per la salvezza del pianeta.
Incrinare il paradigma energetico imperante è un primo e fondamentale passo verso il passaggio alle energie rinnovabili che richiede, sostiene Scheer, una nuova mentalità. “Nessun sistema di approvvigionamento energetico […] può dimostrarsi neutrale nei confronti delle proprie fonti [...] Mantenere le strutture improntate sull’atomico e il fossile e sostituire semplicemente le fonti energetiche al loro interno rappresenterebbe un grave errore.” Le rinnovabili rappresentano su scala mondiale un quarto della potenza elettrica, e la quota cresce rapidamente, ma i limiti alla loro diffusione sono soprattutto di natura politica: privilegi di legge, monopoli territoriali e di mercato. Decentralizzare, puntare all’autonomia locale e alla partecipazione di cittadini, imprese e città. Queste sono le parole d’ordine per realizzare la conversione alle energie verdi e soddisfare così, con le fonti rinnovabili, l’intero fabbisogno di energia (quindi non solo la componente elettrica) entro 25 anni.
Imperativo energetico, l’ultimo libro di Hermann Scheer, è la prossima uscita nella collana dei "Kyoto Books", pubblicata da Edizioni Ambiente. E a cui il 17 novembre verrà dedicato un incontro internazionale a Roma. Ne parliamo con Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e della collana "Kyoto Books", oltre che imprenditore, con Exalto, nel settore delle rinnovabili.

L’inizio di quest’anno è stato caratterizzato dalla pubblicazione, sul piano internazionale, di diversi studi e rapporti che sottolineano la fattibilità della conversione del sistema energetico al 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili. A precederli era uscito, in Germania, Imperativo energetico di Hermann Scheer, con delle peculiarità che lo distinguono nettamente dagli altri documenti e che poi analizzeremo. In questo quadro si è inserito il disastro di Fukushima e il conseguente abbandono del nucleare in diversi paesi (tra cui l’Italia). Il 2011 potrà essere ricordato come l’anno in cui la svolta verso le rinnovabili inizia davvero?
In realtà, il primo decennio di questo secolo ha rappresentato l’avvio della discontinuità nella produzione di energia elettrica. In Europa quasi il 50% della potenza installata tra il 2000 e il 2010 è consistita in impianti alimentati a rinnovabili. Si è così incrinato il paradigma energetico della produzione centralizzata. Oggi abbiamo 300.000 impianti che producono elettricità verde in Italia e oltre un milione in Germania.

E, sempre ragionando sul livello globale, il 100% rinnovabile è una prospettiva realizzabile anche allo stato attuale di maturazione delle tecnologie?
Sono ormai molti gli studi che analizzano, a diversi livelli di dettaglio, la possibilità di soddisfare la totalità della domanda con le rinnovabili al 2050. Prevalentemente si analizza la produzione elettrica, in qualche caso l’analisi è più ampia. Particolarmente significativa la ricerca della SRU, la Commissione consultiva per l’ambiente del Governo tedesco con sei scenari che dimostrano la fattibilità tecnica ed economica di questa sfida. Le tecnologie si evolveranno notevolmente nei prossimi anni, pensiamo al fotovoltaico consentendo di ottenere la trasformazione con costi sopportabili. Anzi complessivamente la trasformazione del sistema energetico verso le rinnovabili, abbinata a una seria azione sul lato dell’efficienza, porterà un guadagno netto per le economie.

Nel nostro paese l’ottimismo legato all’esito del referendum e alla straordinaria crescita delle rinnovabili registrata negli ultimi anni sembra messo in stallo da una situazione politico economica difficile e da strategie del governo che appaiono insensate. Riesce a individuare una logica in quello che sta succedendo? Perché il governo di un paese con enormi problemi di crescita decide di penalizzare gli unici settori dell’economia in crescita e, soprattutto, dotati di prospettive?
L’azione del governo è del tutto schizofrenica. Ha puntato, con poca capacità di gestire le riduzioni degli incentivi, sul lato della domanda trascurando l’offerta delle tecnologie. Basti pensare all’abbandono del programma “Industria 2015” che avrebbe dovuto consentire alle nostre imprese di inserirsi nel filone vincente delle rinnovabili e dell’efficienza. Ma anche sul versante delle incentivazioni non c’è visione di lungo periodo. Basti pensare all’efficienza energetica con le detrazioni del 55% sempre sospese al filo e i certificati bianchi con obbiettivi che si fermano al 2012.

Poniamo di essere usciti dall’impasse politico: il sistema energetico convenzionale è tutto “da buttare”?
Il quadro di riferimento è la riduzione delle emissioni climalteranti dell’80% entro il 2050, il che comporta una de carbonizzazione completa della produzione elettrica europea entro la metà del secolo. Questo comporterà un ripensamento serio alle infrastrutture necessarie (gasdotti, rigassificatori, elettrodotti, centrali elettriche...) anche in un’ottica internazionale di un enorme sforzo verso le reti intelligenti. Le fonti convenzionali continueranno a esserci ma nella prospettiva di una loro progressiva riduzione e di una virtuosa complementarietà con le rinnovabili.

Scheer era un sociologo e forse per questo ha sempre proposto una visione diversa della questione energetica, basata su una attenta analisi degli impatti di questa sulla società. Sosteneva che il cambiamento avverrà grazie alla spinta “dal basso” (città, imprese, cittadini). Lo crede anche lei?
Le esperienze più interessanti sono certamente nate dal basso e, del resto, senza una forte pressione dei cittadini, senza un cambiamento culturale, non ci sarebbe stata neanche l’evoluzione normativa dei singoli Stati e dell’Europa. Questa spinta dovrà accentuarsi nei prossimi anni alla luce della debolezza dell’ecodiplomazia incapace di trovare una soluzione al post Kyoto.

Scheer giudica con grande diffidenza i grandi progetti “ponte” come Desertec, Seatec, anche per una questione di “democrazia del sistema energetico” Lei cosa ne pensa? Quanto la concentrazione in grandi impianti corrisponde alla caratteristiche intrinseche delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili? Esiste una contraddizione insanabile tra grande e piccola scala? È pensabile una coesistenza tra le due visioni?
Certamente la caratteristica principale delle rinnovabili è quella della diffusione sul territorio il che consente una riappropriazione del controllo energetico da parte di milioni di persone. Ma l’urgenza della sfida climatica è tale che occorre pensare anche a soluzioni di grande scala, che siano i parchi eolici off-shore nel Mare del Nord o i progetti solari nel Sahara. Naturalmente è importante e decisiva l’impostazione che viene data a questi progetti. Penso in particolare a quelli della sponda Sud del Mediterraneo che devono innanzitutto rispondere alle esigenze energetiche locali.