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Carbon footprint di prodotto. Intervista a Daniele Pernigotti di Anna Satolli
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Carbon Footprint di prodotto
Intervista a Daniele Pernigotti
di Anna Satolli



Impatta di più un vasetto di yogurt intero da 250 grammi o uno equivalente alla frutta? Da qualche tempo è allo studio un nuovo strumento che permetterà di calcolare e comunicare quanta anidride carbonica è associata a ciascun prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla fabbricazione alla dismissione. Si chiama “Carbon Footprint di prodotto” e rischia di stravolgere (in meglio) l’attività di mercati e aziende, nonché garantire maggiore trasparenza ai consumatori che potranno scegliere i prodotti anche in base a questo nuovo indicatore. Ne parliamo con Daniele Pernigotti, l’autore di Carbon Footprint. Calcolare e comunicare l’impatto dei prodotti sul clima, il primo libro in Italia che introduce il tema della CFP.

Cosa si intende esattamente per Carbon Footprint di prodotto (CFP)?
La CFP è un modo efficace per descrivere l’impatto di un prodotto sul cambiamento climatico. Rappresenta, infatti, l’ammontare complessivo delle emissioni di gas serra (GHG) generate durante tutto il ciclo di vita di tale prodotto, “dalla culla alla tomba”. Ciò significa che vengono contabilizzate le emissioni generate nelle fasi di produzione delle materie prime, di realizzazione del prodotto, del suo utilizzo e nello smaltimento finale, tenendo in considerazione i trasporti che hanno luogo tra le diverse fasi. A livello ISO, l’Organismo di normazione internazionale, è in fase di sviluppo uno standard (ISO 14067) che definisce anche le modalità con cui questo valore può essere comunicato all’esterno.

Quali sono i vantaggi di sviluppare uno standard internazionale ISO sulla Carbon Footprint di prodotto, e a che punto stiamo di questo processo?
Oggi esistono diversi riferimenti nazionali, il più famoso è la PAS 2050 inglese, e internazionali, come il Product Standard del WRI/WBCSD. La CFP è uno strumento giovane ma già di grande interesse mondiale e deve pertanto basarsi su dei riferimenti chiari.
Il mercato può, infatti, rimanere disorientato davanti alla contemporanea disponibilità di strumenti diversi e il rischio in questo caso è che ciò finisca per rappresentare più un freno che un’opportunità. Gli standard ISO sono per definizione le norme riconosciute a livello mondiale e dovrebbero consentire di mettere ordine anche in questo settore. Con l’ISO 14067 si è ora in fase avanzata di sviluppo, e la versione finale dovrebbe essere finalizzata entro il 2012.

Cosa significherà per i mercati e per le aziende la diffusione della CFP?
Un recente studio inglese evidenzia come circa il 25% delle emissioni mondiali si muova oggi tra i diversi paesi “incorporato” nei prodotti. Secondo gli scienziati dell’IPCC i paesi sviluppati dovranno tagliare drasticamente le proprie emissioni nei prossimi 10 anni, arrivando a una riduzione addirittura dell’80% entro il 2050. È evidente che simili obiettivi potranno essere raggiunti solo attraverso una “rivoluzione verde” che dovrà interessare anche le scelte in fase di acquisto dei consumatori. Ciò rappresenta un’opportunità per le aziende che comprenderanno per prime questo inevitabile mutamento nelle dinamiche di acquisto e potranno così trarre un importante beneficio di mercato.
Inoltre, applicando la CFP esse saranno in grado di conoscere meglio quali siano le fasi del ciclo di vita del prodotto che comportano una maggiore emissione di GHG. In questo modo sarà più semplice decidere dove focalizzare con maggiore efficacia i propri interventi di riduzione delle emissioni di GHG.

Con la CFP verrà quindi offerta più trasparenza agli acquirenti-consumatori? Che benefici effettivi ci saranno?
La diffusione della CFP comporterà la creazione di una nuova dinamica tra produttori e consumatori. Morphy Richards, produttore di ferri da stiro inglese, ha deciso di sviluppare la CFP perché un’indagine di mercato aveva evidenziato come i 2/3 dei propri potenziali clienti erano interessati a effettuare degli acquisti più responsabili verso l’ambiente e il tema del cambiamento climatico è ormai cruciale in Gran Bretagna. Risultati simili si sono avuti da studi condotti in vari paesi, come il Giappone e la Francia, oltre che a livello mondiale.
Per aumentare la propria trasparenza, Morphy Richards ha scelto di aderire a un’etichetta, la Carbon Trust Reduction Label, attraverso cui si impegna a ridurre le emissioni di GHG dei propri prodotti nel tempo.
Sul fronte del consumatore ciò consente un’importante azione parallela di aumento della consapevolezza rispetto all’impatto climatico dei prodotti acquistati. La combinazione di questi fattori è essenziale per lo sviluppo della cosiddetta “green economy”.

CFP vorrà dire anche maggior tutela dell’ambiente e contrasto al cambiamento climatico? In che termini?
È importante ricordare sempre come la CFP non sia un’etichetta che tiene in considerazione tutti gli impatti ambientali di un prodotto, come può essere l’Ecolabel, ma si faccia carico del solo tema del cambiamento climatico.
Per contro, l’urgenza planetaria del riscaldamento globale richiede l’avvio di un’azione di ampiezza e profondità tale, che sembra ancora sfuggire a molti ma dovrà necessariamente portare a una sorta di rivoluzione verde.
Un simile scenario di cambiamento deve necessariamente passare anche dalle scelte e dagli usi dei consumatori.
È scontato che tali comportamenti saranno ampiamente adottati e condivisi in futuro, ma la vera sfida è riuscire ad anticiparli ai giorni nostri e la CFP può rappresentare un importante mezzo per traghettarci attraverso questo cambiamento.