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Anacronismo di Marco Moro
Carbon footprint di prodotto. Intervista a Daniele Pernigotti di Anna Satolli
Green Building Economy. Intervista a Giuliano Dall'Ò di Diego Tavazzi
Energia dal deserto di Carlo Pesso

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Green Building Economy
Intervista a Giuliano Dall'Ò
di Diego Tavazzi



Green Building Economy è il primo rapporto pubblicato in Italia su edilizia, efficienza e rinnovabili. Il volume, che raccoglie e organizza un’ampia mole di dati, è arricchito da una serie di interviste ai principali operatori del settore. Abbiamo chiesto al curatore dell'opera, Giuliano Dall’Ò, di illustrare il panorama della Green Building Economy nel nostro paese, tenuto anche conto degli obblighi che ci impone l’Europa.
Per chi fosse interessato, il 16 dicembre avrà luogo a Milano (presso la sede di Assimpredil Ance, Via San Maurilio 21) un convegno per presentare il volume.

L’impressione che si ricava dalla lettura del libro è che i principali attori siano concordi nell’affermare che il settore dell’edilizia è in grave crisi, ma che le energie rinnovabili e l’efficienza energetica abbiano potenzialità enormi in termini di sviluppo del sistema paese e di crescita dell’occupazione. Il vero freno a quello che potrebbe essere un boom sembrano essere le esitazioni della politica, che si traducono in incertezze nelle normative. È davvero così? E se sì, quali potrebbero essere i provvedimenti in grado di rilanciare il settore?
Le direttive in materia di energia emanate a livello comunitario negli ultimi anni, a partire dalla Direttiva 91 del 2002, hanno accelerato all’interno di ogni paese membro le attività normative e legislative necessarie per il loro recepimento. Questo percorso non è stato semplice in tutta l’Europa e nemmeno in Italia. Sul piano legislativo dal 2002 nel nostro paese si sono succeduti ben quattro governi (compreso quello attuale), inoltre il fatto che con la modifica del titolo V della Costituzione l’energia sia considerata materia concorrente tra Stato e Regioni non ha certamente agevolato questo percorso. L’Italia nel suo insieme comunque ha fatto la sua parte, nel senso che nel panorama europeo, almeno per ciò che riguarda il tema energia, salvo qualche incidente di percorso (mi riferisco alla procedura di infrazione nell’applicazione della certificazione energetica degli edifici che comunque sta rientrando), il processo di recepimento dell’Italia è forse stato tra i più virtuosi. Dalle informazioni raccolte direttamente dagli operatori del settore, emerge che il fattore di maggiore criticità sta nella politica degli incentivi. Che non è carente nelle idee che sono state proposte e attuate, si pensi al Conto energia o alla detrazione del 55%, ma nella mancanza di una continuità programmata negli anni che consenta al comparto della Green Building Economy di programmare delle scelte nel lungo periodo, scelte che possono rendere convenienti investimenti, rilanciare l’economia e creare nuova occupazione.Quattro conti energia con regole diverse sono forse davvero troppi, e che dire del 55% di detrazione che puntualmente ci fa tenere col fiato sospeso alla fine dall’anno? È lo start and stop che fa male all’economia. Nel concreto poi si è verificato che le agevolazioni in un modo o nell’altro sono state mantenute, ma questo non è un metodo.
Una lettura obiettiva di ciò che sta succedendo non evidenzia carenze a livello politico nazionale, insomma non credo sia giusto attribuire tutte le inefficienze allo Stato. Anche i governi regionali e locali possono fare molto. Se si considera il livello regionale si evidenzia una nazione fatta di regioni virtuose e di regioni assolutamente inadempienti in tema di efficienza energetica e di sviluppo delle fonti rinnovabili. Non va trascurato poi il ruolo che possono svolgere i comuni, un ruolo importante nel governo del territorio (per esempio attraverso i regolamenti edilizi oppure attraverso lo strumento della pianificazione energetica comunale o del Piani per l’energia sostenibile). Una risposta alla domanda è contenuta nella frase conclusiva dell’ultimo capitolo del volume: la soluzione della questione energetica ha certamente bisogno di indicazioni precise, forti, lungimiranti a livello alto, ma ha ancora più bisogno di un cambiamento dell’approccio che contenga due ingredienti: la consapevolezza che nel nostro paese le potenzialità esistono e la disponibilità a sentirsi attori protagonisti pur nei diversi ruoli.

Anche le pratiche della certificazione degli edifici non sono esenti da problemi: una pluralità di approcci e metodi che danno risultati non omogenei e non confrontabili tra loro (per esempio: uno stesso edificio se valutato in due regioni diversi potrebbe appartenere a categorie energetiche differenti). Quali potrebbero essere le soluzioni a un problema che rischia di danneggiare la fiducia nei confronti di uno strumento, la certificazione, davvero fondamentale per l’innovazione e il miglioramento del mercato edilizio?
Il fatto che la certificazione energetica degli edifici sia stata attuata in Italia in modo non uniforme certamente non ha giovato al mercato dell’edilizia. Scopo della certificazione, lo ricordiamo, è quello di fornire al cittadino un elemento semplice di valutazione delle prestazioni energetiche degli edifici: per un cittadino non esistono i kWh ma esistono le classi energetiche, dalla A alla G, che gli consentono di comprendere se l’edificio che acquista, o che prende in affitto, consumerà tanto o consumerà poco. Non è semplice spiegare al cittadino come mai una stessa classe energetica possa esprimere nella realtà valori di prestazione e quindi di consumo a volte tanto differenti. Gli stessi attestati di certificazione energetica, oltretutto differenti da regione a regione, contengono tante informazioni che al cittadino sono incomprensibili, e anche questo non gioca a favore della certificazione. Se le regole che sono state definite sia a livello nazionale sia a livello regionale avessero realmente recepito lo spirito con il quale la Direttiva 91 ha introdotto la certificazione energetica, probabilmente tanti errori si sarebbero potuti evitare e la scelta di un criterio di certificazione e classificazione unico nazionale non sarebbe stato messo neppure in discussione.
La certificazione energetica comunque esiste e l’Italia, nonostante tutto, è uno dei paesi europei ad avere creduto di più in questo importante strumento. Nei prossimi mesi probabilmente sarà abrogata la regola introdotta dalle linee guida nazionali che prevedono l’autocertificazione (regola incompatibile con la Direttiva) e questo contribuirà a una sua maggiore applicazione.
Volendo fare un bilancio è possibile affermare che la certificazione abbia funzionato bene negli edifici nuovi, dal rapporto 2011 di ANCE per esempio emerge che i costruttori si stiano ormai orientando per il 60% a realizzare edifici di classe energetica elevata, B, A o A+, nonostante il periodo di crisi del mercato. Se la qualità energetica paga, una parte del merito va anche all'introduzione della certificazione energetica. Negli edifici esistenti, invece, la certificazione energetica non ha avuto effetti positivi. Viene percepita come un atto formale e questo comporta degli atteggiamenti di sottovalutazione da parte dei cittadini del reale potenziale che invece è ancora superiore: la conoscenza della qualità energetica di un edificio è il punto di partenza per migliorarne le prestazioni e non un pezzo di carta inutile.
È scandaloso il fatto che un numero non indifferente di certificatori offra delle prestazioni a prezzi talmente bassi da rendere impossibile una redazione dell’attestato in modo corretto. Mi viene chiesto se la certificazione è davvero fondamentale per l’innovazione e il miglioramento del mercato edilizio. La risposta è sì, senza ombra di dubbio. Piaccia o non piaccia la certificazione energetica è lo strumento cardine della Green Building Economy. È per questo che va difesa con ogni mezzo, e chi è preposto per questo, dagli enti di accreditamento regionali agli ordini professionali, non può continuare a far finta di niente. Chi certifica in modo scorretto arreca un danno irreparabile al mercato ma soprattutto al cittadino perché lo priva del diritto di conoscere la qualità energetica del proprio edificio.

La direttiva 2010/31/Ue impone che al 2020 gli edifici di nuova costruzione siano a “energia quasi zero”. A prescindere dall’ambiguità introdotta dal termine “quasi”, si tratta di un obiettivo comunque molto ambizioso. Come sono state accolte queste nuove disposizioni dai protagonisti del panorama edilizio italiano?
Il fatto che si pensi a edifici a energia quasi zero è positivo visto che le attuali tecnologie rendono quello che fino a pochi anni era considerato un sogno una realtà. Il fatto che una Direttiva europea introduca questa regola in modo prescrittivo a partire dal 2020, quindi tra pochissimi anni, per tutti gli edifici (con anticipo addirittura di due anni per quelli pubblici o a uso pubblico) genera però non poche preoccupazioni. Abbiamo visto come la certificazione energetica, applicata agli edifici nuovi, abbia sostanzialmente funzionato. Con la legge 10/91 i costruttori si limitavano, volendo essere ottimisti, a rispettare le regole dei requisiti minimi.
La certificazione energetica ha cambiato radicalmente i paradigmi: se si vuole competere nel mercato edilizio occorre migliorare la prestazione, andare oltre i requisiti minimi: puntare in alto. Se i dati del rapporto ANCE 2011 sono corretti, il fatto che il 60% dei costruttori abbia sposato questa causa ha del miracoloso, una vera rivoluzione in un settore considerato tra i più statici dell’economia. Ma se le prestazioni energetiche molto elevate diventano un obbligo come può reagire il mercato? Io sinceramente vedo il rischio che la sana competizione sia minata e il rischio ancora maggiore che questo appiattimento verso l’alto non porti alcun giovamento ma che anzi si ritorni alla situazione in cui tutto per forza di cose debba essere di qualità e che, in mancanza di controlli, una parte della qualità sia solo sulla carta.
Io credo che la competizione la si potrà giocare attraverso la certificazione di qualità: in un mercato in cui tutti gli edifici saranno teoricamente molto efficienti, si parla del 2020, un edificio certificato da un organismo indipendente controllato dal sistema di certificazione nazionale (vedi Accredia Ex Sincert) offrirà migliori garanzie. I quasi zero energy building son un obiettivo ambizioso che comunque non ci deve distogliere da un problema importante in particolare per la Green Building Economy italiana: quello del recupero energetico del patrimonio edilizio esistente, ma questo è un altro discorso. Detto questo, le regole che definiranno le prestazioni da rispettare sono ancora in fase di definizione: il nodo più critico da sciogliere è proprio la definizione del “quasi” che questa volta si spera possa avere una interpretazione omogenea a livello nazionale, di questo mi sento fiducioso.

Tra le fonti rinnovabili il fotovoltaico è quella che ha beneficiato degli incentivi più alti. Da più parti si chiede però l’introduzione di un Conto energia per il solare termico. Si tratta di una richiesta ragionevole? E potrebbe avere effetti positivi?
Le tecnologie fotovoltaiche indubbiamente hanno beneficiato, grazie al Conto energia, un “trattamento di favore” che comunque ha portato a una serie di benefici: la creazione di un settore che prima non esisteva e una riduzione considerevole dei costi per kWp tanto per citare quelli più evidenti.
Le altre tecnologie devono comunque essere maggiormente incentivate, oltretutto in gran parte si tratta di tecnologie che potrebbero allargare il mercato nazionale.
Quella del Conto energia per il solare termico mi sembra una idea buona. Un riconoscimento dovuto a una tecnologia, quella dello sfruttamento termico dell’energia solare, che ha dei potenziali che sono stati poco sfruttati. Credo che l’introduzione del Conto energia del solare termico ci sarà e che avrà degli effetti positivi.