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Piantarla con il surf? di Marco Moro
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Il riciclo รจ ecoefficiente. Intervista a Duccio Bianchi di Diego Tavazzi
Economia della sufficienza di Marco Morosini
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Economia della sufficienza
di Marco Morosini

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“Economia della sufficienza” suona certo come un ossimoro per buona parte degli economisti. Per noi, mi diceva uno di loro, “di più è sempre meglio”. Per questo sarà così interessante leggere quanto diranno il centinaio di qualificati invitati al Simposio “Economia della sufficienza – Ciò che manca nell’Agenda per Rio”, che il Wuppertal Institut e la Fondazione Heinrich Böll organizzano a Berlino il 21 e 22 maggio in onore di Wolfgang Sachs.    

Siano essi subìti o scelti, i limiti ecologici e la sufficienza sono concetti ai quali il filosofo tedesco ha dedicato una vita di studi, di scritture e di militanza culturale per un mondo in cui giustizia sociale e salvaguardia della natura siano una la condizione per l’altra.

La nostra contraddizione è evidente. Da una parte, le scienze naturali stimano con crescente precisione i limiti biofisici da non superare nello sfruttamento della natura. Dall’altra, la maggioranza degli economisti, dei politici e dei leader economici insistono che “di più è sempre meglio” e si affannano a cercare di stimolare ulteriormente i consumi materiali anche nei paesi ricchi. Costoro non solo insistono a fomentare la crescita dell’economia materiale, ma vogliono una crescita esponenziale, cioè un’economia, che dovrebbe raddoppiarsi ogni 30-40 anni, per sempre.

Si deve a un collettivo di scienziati internazionali guidati da Johan Rockström, dello Stockholm Environment Institute, la formulazione nel 2009 di nove “limiti planetari” (planetary boundaries), cioè limiti biofisici che sarebbe prudente non superare con le attività umane, per evitare gravi squilibri nella biosfera: emissioni di CO2, di azoto, di fosforo, acidificazione dei mari, prelievo di acqua dolce, appropriazione umana dei suoli, velocità di perdita della biodiversità. Niente di simile esiste invece da parte degli scienziati sociali – e tanto meno della maggioranza degli economisti – circa i limiti che sarebbe bene dare al nostro agire materiale individuale e collettivo, per riuscire a restare all’interno dei “limiti planetari”.

Quanta energia pro capite possiamo permetterci? Quanti chilometri in automobile o in aereo? Quanti chilometri per cibi e beni che spostiamo per il mondo? Quanto spesso è opportuno rinnovare i nostri veicoli, vestiti, apparecchi elettrici? Quante materie prime possiamo usare per fabbricarli?

Se la formulazione di limiti biofisici prudenziali è soggetta a diverse approssimazioni e presunzioni, la formulazione di limiti prudenziali ai consumi materiali individuali è esposta a incertezze ben maggiori. Importanti fattori in gioco sono infatti poco conoscibili: la futura grandezza della popolazione, la distribuzione più o meno equa dei beni, il progresso ecologico nelle tecniche di produzione, uso e smaltimento, l’invenzione e diffusione di nuovi beni.

Eppure, se davvero vogliamo restare entro i “limiti planetari”, allora non è ragionevole auspicare o accettare come fatalità qualunque espansione dei consumi materiali. Così come è irragionevole credere di poter consumare senza freni, se solo gli ecoingegneri ci fornissero prodotti e servizi più ecoefficienti e più “verdi”. In effetti, da secoli quando i manufatti e i servizi diventano più efficienti se presi uno per uno (per esempio più prestazioni con meno energia), le prestazioni diventano più accessibili e più a buon mercato, e il consumo complessivo di energia cresce, invece di diminuire. È il cosiddetto effetto rebound (rimbalzo). È per questo che una “economia della sufficienza” è così necessaria.

Cercando un equilibrio tra fatalismo e rigorismo si può cominciare a orientarsi a criteri di prudenza. Si alleggerirà così il peso ecologico dei nostri consumi in una quantità difficile da valutare, ma sicuramente in una direzione più vicina al necessario.

Criteri di sufficienza possono essere applicati alle scelte individuali. Nel campo della mobilità, per esempio, si possono moderare il numero, la velocità e la distanza degli spostamenti in automobile e il peso del veicolo che si sceglie. Si può inoltre ridurre la frequenza e il numero dei chilometri dei viaggi aerei. A questi due mezzi si può preferire il treno, quando il divario di comfort e di tempo non sia proibitivo. Invece che a motore, parte dei tragitti più brevi possono avvenire a piedi o in bicicletta, con beneficio anche per la salute.

Si può ridurre la frequenza di acquisto di articoli nuovi per sostituire quelli vecchi o presunti vecchi: veicoli, vestiti, mobili, apparecchi elettrici. Più a lungo si usa un bene, più vengono ammortizzati i suoi costi in energia, materiali e inquinamento e più si ritarda la creazione di nuovi costi e danni per produrre un nuovo bene e smaltire quello dismesso.

Nell’alimentazione si posso preferire più spesso cibi locali e di stagione, piuttosto che quelli trasportati, con dispendio di energia e di emissioni nocive, da lontanissimo e nelle stagioni più disparate.

Nell’abitare si può moderare il riscaldamento e il raffreddamento dei locali, risparmiando energia, inquinamento e denaro. Lo stesso si può fare con l’illuminazione e gli altri apparecchi elettrici e spegnendo quando non necessari i sempre più numerosi stand-by che consumano elettricità giorno e notte.

Un disincentivo a questi comportamenti è la consapevolezza che i più non li praticano, quindi la loro percezione come inutili o ingiusti sacrifici. Per questo occorre anche una dimensione collettiva della sufficienza. Nel suo ultimo libro Futuro sostenibile, per esempio, Wolfgang Sachs e gli altri coautori propongono che il legislatore non consenta la costruzione di automobili più veloci di 120 km/h e treni più veloci di 200 km/h, con gran risparmio dell’energia usata da questi veicoli, che cresce in proporzione al quadrato della velocità. Agli ascensori e alle scale mobili, gli architetti potrebbero affiancare scale invitanti, ben visibili e accessibili, invece di nasconderle dietro una porta mal segnalata.

Infine, c’è una dimensione politica e culturale della sufficienza. Come scrive Sachs “il passaggio a un'economia sostenibile è pensabile solo con entrambe le strategie: ecoefficienza, cioè una reinvenzione dei mezzi tecnici, ed ecosufficienza, cioè una saggia moderazione delle pretese”.

Perché questo avvenga in tempi utili, occorre però che l’idea guida della sufficienza diventi una priorità nella sfera politica e predomini nella cultura di massa. Dal raggiungimento di questo obiettivo sembrano separarci anni luce. Ma la storia ci ha insegnato che altre tappe del progresso umano apparentemente inaccessibili sono state raggiunte prima di quanto molti pensassero.

Marco Morosini, Politecnico federale di Zurigo.