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In questo numero:

Occhi che non vedono di Marco Moro
Parole per il futuro di Paola Fraschini
Non è facile, ma è l’unica cosa possibile: dobbiamo reinventare il fuoco di Diego Tavazzi
Risanamento ambientale per l’Ilva di Taranto? di Anna Satolli
Clima, ambiente e alimentazione a SANA 2012 a cura della redazione
A qualcuno piace caldo? Volano i prezzi del cibo di Anna Satolli
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Parole per il futuro
Intervista a Federico Pedrocchi
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:
Parole per il futuro
Piccolo vocabolario per il prossimo decennio
di Federico Pedrocchi
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Parlare di futuro, intenzione non banale considerando i tempi nei quali viviamo.
Federico Pedrocchi, giornalista di scienza, ha scritto uno di quei saggi che non vogliono stupire prevedendo fatti di cui oggi non v’è traccia, piuttosto in Parole per il futuro ha proprio identificato tracce di futuro, “segnali deboli che già oggi contengono tutte le frequenze di sonorità ben più corpose che ci attendono. L’intento è quello di spiegare perché ora i segnali sono tenui e perché diventeranno boati”. Ma non per tutte le voci vale questa motivazione, perché si parlerà anche di tematiche trasversali come governance.

L’idea di questo volume, corredato da una prefazione in forma di storia familiare a firma di Massimo Cirri, nasce con il contributo di IMQ Istituto italiano del marchio di qualità con lo scopo di stimolare una riflessione e il conseguente approfondimento su alcuni concetti che nel futuro interverranno nel nostro quotidiano in qualità di professionisti, cittadini e individui. Parliamone con l’autore.

Come sei arrivato a definire la scelta delle 20 parole per il futuro?
In realtà, a pensarci bene, credo che in ogni epoca, dovendo in un certo momento scegliere delle “parole” – uso le virgolette perché in realtà si tratta di concetti, di azioni, di processi, che, ovviamente, un nome ce l’hanno, ma si tratta di “cose” (rieccoci con le virgolette) che sono più di parole – bene, dovendo scegliere, se ne possono trovare almeno 100. Tuttavia, se il criterio di scelta vuole essere quello di individuare delle parole che se ne portano appresso tante altre, che tracciano dei luoghi topici della mappa di un viaggio che ci attende, allora i numeri scendono. Ho lavorato, con il team editoriale, a una lista ed è venuto fuori il numero 20, perfetto come strillo. Ci siamo subito chiesti se, a guardare bene, quel 20 lì era un po’ tirato, ovvero ci piaceva come numero e quindi facevamo tornare i conti. Invece, lavorandoci sopra, sotto, intorno, con onestà intellettuale, 20 parole è davvero la sintesi. Naturalmente è un punto di vista. È assolutamente certo che presentando il libro si riceveranno suggerimenti per almeno altre 49. Ma questa è la vita.

C’è secondo te una “parola d’ordine” per il prossimo decennio?
Fortunatamente il concetto di “parola d’ordine”, sebbene declinato al singolare, si è sempre riferito a una frase. Quindi io posso dire che, a mio parere, la parola d’ordine che sintetizza le 20 è “regolazione fine”: bisogna riesaminare tutti i processi con una forte attenzione a capire che dobbiamo gestirli con maggiore attenzione, con più capacità di individuarne i particolari, valutarne le interazioni reciproche. Abbiamo tutti i mezzi e le conoscenze per entrare in un’epoca in cui si ragioni con più calma, meno approssimazione e senza strumentalizzazioni della realtà. Questa è la regolazione fine, termine usato in campo scientifico per dire che molte cose che sembrano uguali, poi, quando le guardi con più attenzione, scopri che presentano molte differenze. Il tutto, detto in modo più friendly, diventa: fare meno i gradassi.

La fase storica che stiamo attraversando, con le sue grandi trasformazioni e crisi, sarà un territorio adatto alla sperimentazione e per capire come procedere?
Non credo che si possa discutere se sia o meno il più adatto, perché la fase storica è, appunto, storica: dobbiamo capire come procedere, perché troppi fatti ci hanno dimostrato che così non si “procede”. Non andiamo verso un mondo praticabile. Dopodiché, no, non è il territorio più adatto alle sperimentazioni, questo periodo in cui ci troviamo. Se la mettiamo in termini “acquatici” e non territoriali, direi che dovendo attraversare una tempesta sarebbe meglio farlo con una imbarcazione solida e tecnicamente valida. E noi questa barca non ce l’abbiamo. Possediamo comunque la fastidiosa serenità che ci viene dal sapere che un’altra imbarcazione, migliore, non c’è, non la troviamo, non c’è tempo di costruirla; certo, lo si doveva fare prima ma non è il caso di pensare di fare i furbi, ora. Detto tutto questo, a me sembra, però, che a bordo ci sia una chiarezza crescente sulla rotta, e quindi le probabilità di raggiungere un porto non sono remote. Ci sono motivi sufficienti per essere ottimisti.