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In questo numero:

Un cetaceo nel frigorifero di Marco Moro
Green Jobs 2.0, di più e meglio di Diego Tavazzi
Tocca agli imprenditori darsi da fare di Paola Fraschini
Ricerca, sviluppo e competitività di Carlo Pesso
La democrazia inizia dal piatto a cura della redazione
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Un cetaceo nel frigorifero
di Marco Moro


Alzi la mano chi non è mai stato almeno momentaneamente affascinato dai quei frigoriferi americani dove le due ante rappresentano solo il “modello base”.
L’iperbole utilizzata da Federico Pedrocchi in Parole per il futuro, ed esattamente alla voce “Sharing”, per descrivere gli effetti psicologici e sociali di un’economia fondata sul mito della crescita come orizzonte sicuro di felicità, è perciò particolarmente centrata. Scrive Pedrocchi “In una società nella quale il confronto con i vicini – quelli di casa, quelli al lavoro, quelli che si incontrano quando si va in vacanza – è fortemente basato sul livello dei consumi […] ecco che il non poter avere un frigo nel cui congelatore si possano mettere cetacei fa sì che la famiglia si incupisca”.
Inseguendo questo orizzonte si ha l’illusione di muoversi mentre in realtà, dal momento che si muovono anche gli altri si rimane, di fatto, fermi. Se poi interviene la crisi a colpire i redditi di determinate fasce sociali e quindi a contrarne la capacità di spesa (i soliti dati “sparati” dai giornali ci dicono i nostri consumi sono tornati “a livello del 1946”) la cupezza si dovrebbe aggravare… o no? O non sarà invece che una reazione a questo stato di cose è iniziata e si esprime, per esempio, in una progressiva avanzata del desiderio di condivisione rispetto a quello di possesso individuale?
Le venti voci che costituiscono Parole per il futuro segnalano tanti indizi, suggeriscono interpretazioni e stimolano una riflessione che connette, anziché approfondire “in verticale”, nella modalità propria degli specialismi. Più elementi diversi si incrociano e più si riesce a mettere a fuoco una visione possibile del futuro: è questo il pregio del volume di Federico Pedrocchi. Nessuna pretesa – sarebbe ridicolo – di esaustività, ma il tentativo di smuovere nel lettore la capacità di immaginare. Connettendo i puntini tra parola e parola si delineano anche molti aspetti di un’economia diversa, senza dubbio il tema più caldo da quando, nel 2008, il “sistema” a cui siamo abituati ha iniziato a cadere a pezzi. Una delle cose più positive è che ciò che è successo e continua a succedere ha finalmente stimolato una maggiore attenzione (un’attenzione critica, che è quella che serve) delle persone verso l’economia e una grande produzione di studi e interpretazioni che pur in un quadro culturale ancora fortemente ancorato a “totem” come il Pil, ridisegnano i principi teorici, i metodi e lo specifico disciplinare di quelle che vengono impropriamente chiamate “scienze” economiche.

Con il mese di ottobre Edizioni Ambiente dedica una speciale iniziativa di promozione ai molti libri - nuovi e recenti - che ha pubblicato sui temi dell’economia o della sua identità alternativa, quella green (o, meglio ancora, blue). Testi di autori di fama internazionale come Tim Jackson, Gunter Pauli, Amory Lovins o Lester Brown. Oppure libri-guida, dove si documenta lo sviluppo della nuova economia in Italia, come Guida ai green jobs o L’Italia della green economy.

Tra questi ci sarà, naturalmente, Economia dell’abbastanza di Diane Coyle, autrice reduce da un “tutto esaurito” – notevole per una economista che a differenza di molti colleghi concede poco o nulla allo spettacolo – al festival Pordenonelegge. In Economia dell’abbastanza Coyle articola le sue analisi a partire dalla questione delle relazioni tra crescita e felicità, evitando ogni trappola ideologica e, anzi, muovendo da un marcato scetticismo verso chi nega l’esistenza di un legame tra i due fattori. Il ragionamento che quindi si sviluppa porta l’autrice a individuare tra i principali esiti dell’economia di questo decennio il drastico aumento delle ineguaglianze. E non si parla delle ineguaglianze tra Nord e Sud del mondo, ma di ineguaglianze di classe, soprattutto all’interno del nostro mondo “sviluppato”,  ineguaglianze di classe nelle principali potenze economiche occidentali, come gli Usa e la Gran Bretagna.

Come la mettiamo con il mito della crescita che porterebbe più ricchezza e benessere per tutti? Come la mettiamo con l’aspettativa di mobilità (crescita?) sociale che impronta i piani di vita di tutti noi? Piani che a  volte possono corrispondere al semplice desiderio di un frigo grande come un monolocale ma che hanno, spesso, ragioni molto meno futili.

Cambiamenti così traumatici vanno capiti senza accontentarsi di facili formulette per ritrovare la felicità.

p.s. Su cosa sia il frigorifero e come vada quindi corretto l’immaginario che a esso associamo, sarebbe ora di dar retta ad Andrea Segré: si tratta di un elettrodomestico dove conservare temporaneamente i cibi, non di un deposito in cui accumulare riserve alimentari che verranno poi dimenticate nelle sue regioni più remote.