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In questo numero:

Bibliodiversità di Marco Moro
Ecodesign: pensare ecologico di Paola Fraschini
Il turismo sostenibile in alta quota di Anna Satolli
Come dare scacco matto ai negazionisti di Diego Tavazzi
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Ecodesign: pensare ecologico
Intervista a Luigi Bistagnino
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:

Il fare ecologico
Il prodotto industriale e i suoi requisiti ambientali

di Carla Lanzavecchia, a cura di Silvia Barbero, Paolo Tamborrini

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Ogni prodotto ha un impatto sull'ambiente e, per creare prodotti veramente sostenibili, è indispensabile valutare la soluzione ambientale più indicata. Per una scelta a impatto zero bisogna prendere in esame l’intero ciclo di vita del prodotto e adottare un approccio sistematico di analisi integrata. Parliamone con Luigi Bistagnino, professore presso il Dipartimento di Architettura e Design (dAD) del Politecnico di Torino, capogruppo della squadra di ricerca di Design Sistemico, gruppo curatore dell’edizione aggiornata del testo di riferimento della laurea in Ecodesign Il fare ecologico, disponibile gratuitamente su Freebook Ambiente.

In tutta Europa quella del Politecnico di Torino è l’unica laurea magistrale in Ecodesign, secondo lei perché? Ci può spiegare brevemente di cosa si tratta?
Il progettista si trova oggi a confronto con varie tematiche diverse tra loro e talvolta del tutto inedite, dal cui intreccio possono e devono scaturire nuove linee guida per la ricerca e la progettazione:
- impellente necessità di introdurre principi di ecodesign nei progetti e nei sistemi di produzione, per rispondere alle esigenze dettate dalla situazione ambientale attuale: ciò implica che sul piano pratico occorrerà fare una serie di scelte, dettate più dall'etica che dai limiti della tecnologia;
- necessità di ripensare globalmente il valore della tecnologia e soprattutto le sue concrete possibilità di espansione, in considerazione sia dei suoi aspetti positivi sia dei suoi risvolti negativi;
- necessità di ripensare completamente i concetti di "informazione" mondiale e di diffusione capillare dei mass media (teoria del "villaggio globale") per valorizzare invece la diversità culturale e i valori ancestrali tradizionali e non deprezzarli, come è stato fatto sinora;
- necessità di tutelare la diversità culturale e la biodiversità territoriale nel mondo;
- necessità di trovare risposte, all'interno della società occidentale, per soddisfare i nuovi bisogni originati dalla trasformazione sociale da mono a multirazziale.
Tutto ciò significa ri-pensare comportamenti prima ancora di ri-disegnare prodotti.
Ecco perché l’obiettivo del corso di laurea magistrale in Ecodesign è la preparazione di un progettista in grado di configurare e di gestire appieno l'attività di progettazione del prodotto industriale con la finalità di “emissioni zero”. Si vuole sviluppare una cultura del design che non si limiti solo al prodotto ma abbia una visione ampia che comprenda sia la definizione del nuovo modello produttivo, sia le componenti umanistiche relazionando l’uomo al proprio contesto ambiente, sociale, culturale ed etico.
Queste in breve sono le linee guida che animano la nostra Laurea Magistrale e nella quale si formano studenti che arrivano da tutto il mondo.

Leggendo “Il fare ecologico” ho trovato molte affinità con il pensiero di Gunter Pauli: visione sistemica, la natura come fonte di ispirazione, il superamento del concetto di rifiuto. Come sarà (o è stato) possibile applicare in ambito industriale questa visione opposta alla logica settoriale e lineare cui siamo abituati? E come cambieranno i prodotti industriali (penso all’obsolescenza programmata, al packaging eccessivo, al riciclo dei materiali…)?
Il libro Il fare ecologico ci fornisce infatti un percorso evolutivo della tematica ambientale in questi recenti anni e anche le chiavi di lettura della situazione nella quale ci troviamo immersi.
Il sapere da diffondere non deve infatti riguardare la semplice messa in scena di un prodotto in cui si valorizzi la sola componente estetica, ma si deve porre l'accento sulla consapevolezza di operare in un sistema per cui l‘attenzione progettuale non deve essere limitata ai soli prodotti ma al sistema a cui sono relazionati e dal quale sono generati.
Diventa necessario affrancarsi dal focus esclusivo sul prodotto e sul suo solo ciclo di vita, ed estendere l‘attenzione, e quindi la competenza, al complesso delle relazioni generate dal processo produttivo.
Bisogna riportare nell’equazione progettuale complessiva anche la variabile rappresentata da quelle risorse (generate come prodotto di risulta o, addirittura, di scarto) che altrimenti finirebbero per non essere utilizzate.
È necessario riacquisire la capacità culturale e pratica di saper delineare e programmare il flusso di materia che scorre da un sistema a un altro in una metabolizzazione continua che diminuisce l‘impronta ecologica e genera un notevole flusso economico: attualmente gli scarti dei processi produttivi sono solo un costo.
Questo modello trae ispirazione dai fondamenti della Scienza Generativa basata sul presupposto che, a seguito di una qualunque trasformazione di una risorsa, tutti gli output sono una risorsa, un valore generativo per un altro sistema e quindi sono oggetto di attenta valutazione.
Questo approccio metodologico, sviluppato all’interno del nostro gruppo di ricerca in svariati casi studio realizzati e in progetto, che noi definiamo Design Sistemico rivitalizza tutto il modo attuale di affrontare i problemi e delinea un vero e proprio nuovo modello economico e produttivo.
E mi sembra una bella occasione da cogliere vista la crisi che si sta vivendo!

 

Cosa significano oggi benessere e qualità della vita? Quale tipo di sviluppo è necessario secondo lei per raggiungere il benessere?
È interessante notare che anche in ambito economico si sta facendo sempre più strada la convinzione che la misurazione dello sviluppo di una società non possa basarsi semplicemente su parametri economici, ma che sia necessario adottare altri fattori imponderabili, qualitativi e non quantitativi, come la qualità della vita, dell‘ambiente, del grado di istruzione, dei servizi, cioè degli indici che manifestino il grado di benessere non materiale ma vissuto e percepito delle persone.
D’altronde se guardiamo a noi stessi ci accorgiamo che la nostra riconoscibilità si basa non tanto su quanto possediamo ma soprattutto sulle relazioni che siamo stati in grado di attivare.
Guardiamo ai giovani che traggono il loro stato di benessere e spensieratezza nel creare spontaneamente relazioni con chi li circonda, ma perdono questo stato solamente non appena cominciano a vedere un vantaggio economico nei rapporti creati!