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Un Green New Deal in Italia? Yes, we can! di Diego Tavazzi
Green economy: qualcosa รจ cambiato, qualcosa sta cambiando, qualcosa deve cambiare di Paola Fraschini
La misura del carbonio di Diego Tavazzi
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La misura del carbonio
Intervista a Daniele Pernigotti
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067
di Daniele Pernigotti

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Daniele Pernigotti è autore di Carbon Footprint, considerato da molti il testo di riferimento sull’etichetta di carbonio. Il settore della Carbon Footprint di prodotto (CFP) è in rapido mutamento, e nei due anni trascorsi dall’uscita del libro molte cose sono cambiate. Con la pubblicazione a maggio 2013 della UNI ISO/TS 14067 si è reso disponibile un riferimento unico a livello mondiale per la CFP. Abbiamo chiesto a Pernigotti, in occasione della pubblicazione del freebook (avete capito bene, si scarica gratuitamente) La carbon footprint alla luce della nuova norma UNI ISO/TS 14067, di raccontarci queste trasformazioni e di tracciare un bilancio dell’applicazione dell’etichetta di carbonio nel nostro paese e su scala globale.

Sono passati due anni dalla pubblicazione del volume Carbon Footprint. Cosa è successo da allora nel settore della normazione su questo tema?
A maggio di quest’anno è stato finalmente pubblicato il tanto atteso riferimento unico a livello internazionale, l’ISO/TS 14067. Si tratta di una Specifica tecnica che è stata immediatamente resa disponibile nel mercato italiano grazie al recepimento nel sistema normativo nazionale da parte dell’UNI. Ciò al fine di facilitarne la diffusione tra gli operatori economici interessati a sviluppare l’impronta climatica, o carbon footprint, di prodotto (CFP). Per adesso è disponibile nella versione originale in inglese, ma nei prossimi mesi è attesa la pubblicazione della traduzione in lingua italiana.
Si è scelto di pubblicare il documento come Specifica tecnica per superare le forti resistenze da parte di alcuni paesi in via di sviluppo, India in primis. Ciò non toglie nulla alla possibilità di utilizzare l’UNI ISO/TS 14067, attraverso la verifica di parte terza della CFP, per assicurare la massima credibilità dei risultati ottenuti.

 

A che punto è la diffusione dell’etichetta del carbonio nel nostro paese? E a livello internazionale?
In Italia vi è stato una notevole crescita dell’interesse per la CFP, dalla pubblicazione del libro a oggi. Ciò è da attribuire in buona parte alle esperienze di mercato che erano già maturate negli anni precedenti con le Etichette ambientali di prodotto (EPD). Altra spinta significativa arriva già dal mercato, con le richieste che le aziende internazionali più impegnate verso la sostenibilità stanno trasferendo ai propri fornitori. Un ruolo importante l’ha avuto anche il MATTM, con i bandi di finanziamento promossi nel 2011 e nel 2013, oltre che con gli specifici accordi di programma siglati con aziende leader di settore. Crescita altrettanto interessante si registra in molti altri paesi del globo. Un quadro di maggiore dettaglio sarà disponibile a maggio, quando pubblicheremo i risultati di uno studio internazionale che stiamo conducendo per conto di ISO proprio sulla CFP.

 

Cittadini, amministratori, aziende: quali sono i soggetti più interessati all’etichetta? E quali quelli che più la intralciano?
La CFP è pensata principalmente per facilitare lo sviluppo di una nuova dinamica di mercato tra produttori e consumatori, capace di favorire un’economia a basso contenuto di CO2. Per questo c’è da attendersi che la spinta maggiore arriverà dalle aziende che hanno già avviato dei percorsi di maggiore attenzione verso l’ambiente. Pensiamo per esempio alle circa 18.000 organizzazioni che in Italia già operano da anni utilizzando un Sistema di gestione ambientale certificato secondo l’ISO 14001 o l’EMAS. Ovviamente i governi hanno la possibilità di facilitare questa evoluzione in chiave di sostenibilità promuovendo, per esempio, degli strumenti di comunicazione credibili e facilmente riconoscibili dai consumatori. Non penso invece che ci possano essere dei soggetti interessati a esercitare un’attiva azione di intralcio alla diffusione della CFP. Mi preoccupano di più le realtà produttive e le associazioni di categoria che assumono un ruolo passivo perché non hanno ancora compreso la rivoluzione che interesserà il tessuto produttivo nei prossimi anni e che anziché pensare alla green sono ancora fermi alla grey economy.