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In questo numero:

La transizione non è una passeggiata di Marco Moro
Un’opinione pubblica più attenta di Diego Tavazzi
Le storie dell’ambiente sono le nostre storie di Paola Fraschini
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La transizione non è una passeggiata
di Marco Moro


Lo testimoniano le argomentazioni con cui viene messo in discussione, con una buona dose di interessata drammatizzazione, il nuovo obiettivo UE di riduzione delle emissioni climalteranti nel territorio dell’Unione: meno 40% entro il 2030.
Lo scontro “ambiente vs occupazione” (altrimenti detto “il ricatto occupazionale”) ci riporta indietro di decenni, anche se di fatto come argomentazione non è mai scomparso dal dibattito politico e quindi dai media.

Consistenza delle argomentazioni? La stessa di decenni fa, con solo qualche accenno di maggior percezione di quanto l’esigenza di un diverso rapporto tra attività umane e ambiente sia sentita nella società.
Le richieste? Sempre le stesse: scappatoie per continuare a inquinare, sconti fiscali, deroghe, sussidi, aiuti in una parola. Paghi la società, altrimenti delocalizziamo e andiamo a inquinare da un’altra parte. Nemmeno “chiudiamo e lasciamo tutti a casa”, ma ci spostiamo a inquinare da un’altra parte. E il fatto che tale ipotesi venga anche solamente presa in considerazione (o strumentalmente dichiarata) fa misurare la distanza tuttora drammatica tra economia e realtà.
Il pianeta (persone, luoghi, ecosistemi) è lo sfondo astratto in cui opera l’Homo oeconomicus che agisce sulla base di un razionale egoismo, la cui stessa concezione è ormai considerata al pari delle più grandi bufale scientifiche. Non dagli economisti però. Il pianeta è lo scenario su cui si muovono le quantità dell’economia, come nuvole in viaggio che non sono definite che dall’entità delle transazioni. Valutate senza alcuna relazione con la qualità degli effetti reali. In un vuoto ideale fatto di risorse inesauribili e di crescita infinita. E di altrove dove inquinare in santa pace.
Si capisce che è un’idiozia, no? Eppure, spiegatelo agli economisti…

Lo stridente contrasto che esiste tra economia, finanza (soprattutto) e ambiente (un altro modo di dire “mondo reale”) sarà raccontato con rara chiarezza e capacità di sintesi nell’edizione italiana di Bankrupting Nature, di Johan Rockström e Anders Wijkman che uscirà in aprile e sarà oggetto della Peccei Lecture 2014, con la presenza di entrambi gli autori. Nell’attesa vale la pena di vedersi il TED talk tenuto da Rockström un paio di anni fa (più di 450.000 visualizzazioni).
Nel volume, gli autori non fanno sconti nemmeno alla mitologia della “crescita verde”, all’orizzonte della green economy. Ma qui basta anticipazioni. Che le cose non siano così semplici e lineari è spiegato in modo quanto mai incisivo da Vaclav Smil, in un recente articolo pubblicato su Scientific American, e che della transizione verde analizza in particolare gli aspetti energetici.

Dalla nostra produzione libraria per l’anno appena iniziato vorremmo che emergesse chiaro un concetto, semplice: senza un profondo cambiamento culturale, non c’è green economy che ci possa trascinare fuori dall’impasse.
Non c’è innovazione tecnologica dal potere salvifico, se noi rimaniamo gli stessi. A questo proposito, la lunga intervista a Serenella Iovino ci offre uno sguardo diverso su un dibattito che altrimenti rischia di essere largamente sterile. Da economisti (con tutto il rispetto…).