Come exit strategy per uscire dalla crisi economica e dalla disoccupazione giovanile ci vuole un'Europa paladina dell'ambiente, della lotta ai cambiamenti climatici, che riduce le spese militari e incrementa la spesa sociale, democratica, attenta alle politiche di genere ecc., l'elenco potrebbe continuare. In questo orizzonte di un’Europa diversa c’è da augurarsi che anche la Presidenza italiana del Consiglio europeo nel secondo semestre 2014 dia prova di quell’energia riformatrice di cui il governo fa sfoggio in Italia. Idee a tal proposito non mancano, come dimostrano le analisi, le riflessioni e le proposte dei contributors raccolti da Silvia Zamboni nel suo bel libro.
Che lettura dà del voto in Italia rispetto alle tematiche europee?
La campagna elettorale che ha preceduto il voto è stata, purtroppo, un’occasione mancata per affrontare in modo approfondito le tematiche che riguardano il rilancio dell’Unione europea in chiave di ripresa economica, lotta alla disoccupazione soprattutto giovanile, politiche energetiche, legittimazione democratica delle istituzioni europee. Abbiamo sentito rimbalzare slogan vuoti tipo “battere i pugni sul tavolo a Bruxelles”, slogan spericolati come “uscire dall’euro” (senza chiarire che, aldilà della sua fattibilità o meno, comporterebbe, come minimo, un aumento dell’inflazione, costi più elevati per i mutui-casa e aggravi per la bolletta energetica, visto che i fossili che importiamo li paghiamo in dollari e che il cambio favorevole dollaro-euro ci ha aiutati in questi anni a compensare l’aumento del costo del greggio), infine slogan privi di senso, come “non paghiamo i debiti alle banche legati al debito pubblico”, trascurando il fatto, tutt’altro che secondario, che il debito pubblico è spalmato anche sui risparmi che gli italiani hanno investito in bot e btp. Preceduto da questo quasi-vuoto di contenuti, il risultato delle elezioni europee ci restituisce un elettorato che si conferma il più elevato in Europa (nonostante la pur ampia astensione) e in maggioranza, come da tradizione, filo-europeo, se mettiamo insieme, pur con le dovute differenze, i voti di PD, Lista Tzipras, Forza Italia e Ncd. Il voto antieuropeo dato al Movimento 5 stelle, alla Lega Nord e a Fratelli d’Italia (che mancano l’ingresso al Parlamento europeo) resta minoritario. Un quadro che collima con i risultati relativi alla fiducia nell’Europa e nell’euro del sondaggio Eurobarometro di febbraio 2014, di cui ho ripreso i dati più significativi nell’introduzione a Un’altra Europa.
E rispetto alla politica interna?
Il ciclone Renzi ha contribuito in maniera determinante e personale a contenere il temuto astensionismo e a portare il partito democratico oltre il 40%, un risultato che nessun partito di sinistra e/o di centrosinistra aveva mai raggiunto nella storia del nostro paese. Sgonfiata la “bolla del grillismo” per il disfattismo e lo sfascismo che ne hanno caratterizzato la campagna elettorale e per il “congelamento politico” dei voti raccolti un anno fa, Renzi ha saputo incarnare la richiesta di cambiamento che viene dal paese, seppellendo per sempre il miope messaggio bersaniano “dell’usato sicuro”. Rassicurato dall’atteggiamento non ideologico di Renzi e invogliato dalla sua energia “rottamatrice”, l’elettorato italiano neo-renziano proveniente dal centro destra e dal centro ha deciso di “provare” Renzi, così come provò Berlusconi all’alba della seconda repubblica. E il PD, per una volta, non ha giocato contro se stesso il gioco delle correnti, riuscendo in questo modo a cogliere l’attimo della vocazione maggioritaria. Ora Renzi, va da sè, è più forte sia come leader nazionale sia nel consesso europeo. Vedremo se saprà utilizzare questa forza per rimettere in carreggiata la Ue su posizioni non di pura austerity contabile.
In Europa preoccupa l’affermazione di forze euroscettiche e/o di estrema destra. Quali obiettivi devono darsi secondo Lei la prossima Commissione europea e il nuovo europarlamento?
La vittoria di Marie Le Pen con la contemporanea frana dei socialisti francesi è un dato preoccupante per l’Europa non solo per la Francia, al pari del successo dell’Ukip nel Regno Unito, e di Alba Dorata in Grecia, per citare solo un paio di risultati nazionali. Nel complesso, però, lo schieramento europeista è rimasto maggioritario a Strasburgo, anche se ridimensionato rispetto al parlamento precedente. La mancata vittoria del fronte socialdemocratico esclude una guida di sinistra della Commissione: con la vittoria del PPE, privo però di una propria maggioranza autonoma, si apre la strada obbligata verso la grande coalizione tra popolari e socialdemocratici, una soluzione che non garantisce i cambiamenti di cui ci sarebbe bisogno per superare le politiche di austerity che anche il PD in Italia ha detto di voler rivedere, pur senza venir meno ai propri impegni. Fu lo stesso presidente Napolitano, nel discorso tenuto davanti all’assemblea di Strasburgo nel marzo scorso, ad affermare che le politiche di austerità erano state necessarie per sistemare i conti, ma che ci voleva un cambio di strategia per superare la crisi. In questa prospettiva gli obiettivi da non mancare sono il rilancio dell’economia in chiave di un green new deal che associ ricerca e investimenti per la modernizzazione tecnologica del settore industriale, del sistema dei trasporti e del sistema energetico in chiave di sostenibilità ambientale, per esempio per lo sviluppo delle reti smart in grado di accumulare l’elettricità prodotta dalle fonti rinnovabili e di restituirla on demand. Il green new deal europeo andrebbe finanziato con eurobond, quale forma sostenibile di ripartizione del debito pubblico, attirando anche capitali privati. Dopo l’inconcludenza dell’ultimo quinquennio della Commissione Barroso, occorre poi riprendere con determinazione l’obiettivo della transizione energetica verso un’economia e un sistema energetico low carbon, che assicuri all’industria europea competitività sui mercati internazionali nei confronti di USA e Cina che stanno investendo in modo massiccio nel settore energetico green. La crisi russo-ucraina, che tocca i gasdotti che riforniscono l’Europa, insieme all’instabilità nel medio oriente e in Libia dovrebbero essere dei campanelli d’allarme sufficienti per spingere l’Europa a ridurre gradualmente ma con determinazione la dipendenza dall’import di energia primaria. Al sistema economico europeo andrebbe poi assicurato un maggiore flusso di liquidità con misure decise dalla BCE, e agli Stati della Ue in difficoltà una revisione del fiscal compact per allentare la recessione.