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In questo numero:

Cambiamenti climatici e lavoro di Marco Moro
Efficienza energetica, in arrivo opportunità per imprese e cittadini di Francesco Petrucci
Ma quali erbacce! di Paola Fraschini
Sepolti dalla plastica? No, grazie di Diego Tavazzi
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Cambiamenti climatici e lavoro
di Marco Moro


Un recente paper presentato da ETUI (l’istituto di ricerche della confederazione dei sindacati europei) analizza l’impatto del cambiamento climatico sul lavoro e l’occupazione. Si analizzano i contesti e i settori dell’economia maggiormente interessati dagli effetti dei fenomeni in corso.
Ci sono settori e contesti che rischiano di essere maggiormente danneggiati (aree costiere, città, aree rurali) e settori che potrebbero trovare sviluppi importanti in termini di occupazione grazie all’implementazione di efficaci politiche per la mitigazione e l’adattamento.
Un documento, al di là della valutazione nel dettaglio delle analisi proposte, interessante per la fonte da cui proviene e per la capacità di stabilire un chiaro collegamento tra un macro fenomeno ambientale come il cambiamento del clima e le nostre prospettive e condizioni di vita. Non in termini astratti, ma in termini di prospettive di lavoro, di possibilità di reddito.
In conclusione, gli estensori del paper sottolineano questa ambivalenza, tra la messa in discussione degli attuali livelli di occupazione e fonti di sussistenza, e la potenziale creazione – in determinati ambiti geografici e in determinati settori – di nuovi lavori, nuova occupazione, nuove fonti di sussistenza.
Anche dai sindacati europei vengono identificati il settore delle costruzioni e quello delle energie rinnovabili tra i più promettenti sotto questi aspetti.
Con un grande “se”: se verranno implementate le politiche di cui sopra, necessarie in primis a creare le premesse per un contenimento della velocità e intensità con cui gli effetti del climate change si stanno manifestando e si manifesteranno.
Dal nostro osservatorio in quella “Southern Europe” che nel documento ETUI viene identificata come area a maggior rischio, vediamo segnali sconcertanti, come la sistematica demolizione di un settore delle rinnovabili che aveva preso uno slancio straordinario. Una lotta altrettanto sistematica alla diffusione di un modello di generazione distribuita, che davvero potrebbe creare numeri importanti di occupazione e lavoro.
E vediamo anche segnali positivi, dove la spinta a cambiare rotta non viene sempre e solo dal recepimento degli indirizzi della UE, ma anche da processi di innovazione che hanno radici nella nostra tradizione e struttura industriale, come avviene per la conversione dei poli chimici in declino verso un futuro da bioraffinerie integrate nel territorio.
La “materia rinnovabile” è uno dei cardini della trasformazione del rapporto tra economia e risorse, e in questo ambito l’Italia si trova in una posizione di avanguardia in Europa. Una posizione di leadership che fino a un paio di anni fa avevamo anche rispetto all’altro polo ineludibile del cambiamento, quello dell’energia rinnovabile.
Quale prospettiva occupazionale si propone in alternativa ai posti di lavoro persi grazie alla crisi verso cui è stato spinto il settore delle rinnovabili?
O la disoccupazione in Italia è un problema solo apparente?