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Attaccatevi al bello (e tanti auguri) di Marco Moro
Made e ReMade in Italy di Roberto Rizzo
Quali governi per la sostenibilità? di Diego Tavazzi
Dalla caverna alla casa ecologica di Paola Fraschini
La sostenibilità? Dal basso (e multimediale) di Diego Tavazzi
Nuova edizione aggiornata del prezioso manuale sulla gestione dei rifiuti di Lavinia Basso
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Dalla caverna alla casa ecologica
Intervista a Federico Butera
di Paola Fraschini

In questo articolo parliamo di:
Dalla caverna alla casa ecologica
Storia del comfort e dell'energia

di Butera Federico M.
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Le nostre case e le nostre città possono consumare meno e a costi contenuti. Bisogna solo imparare a utilizzare l’energia che ci serve in modo più intelligente. Secondo Federico Butera, professore ordinario di Fisica Tecnica Ambientale presso il Politecnico di Milano e autore in grado di coniugare gusto della scrittura e grande competenza, il comfort ci pone di fronte al dilemma dei suoi costi economici, sociali e ambientali. Dalla caverna alla casa ecologica, un autentico classico sul tema dell'abitare e della sostenibilità in versione aggiornata e illustrata con oltre 300 immagini, è il racconto della lunga strada verso il comfort domestico a partire dalla caverna, passando dalla casa dell’antica Roma e dalle dimore medievali e rinascimentali per giungere fino alla vita quotidiana in classe A.


Qual è il prezzo dell’attuale livello di comfort domestico?

Non è un solo prezzo che paghiamo, purtroppo. Uno è il contributo al cambiamento climatico, attraverso le emissioni di CO2 dovute alla combustione di fonti energetiche fossili. E non è un contributo da poco, considerato che, includendo anche gli edifici del terziario, pesa per il 25% delle emissioni mondiali da combustibili fossili e per oltre il 40% delle emissioni nei paesi sviluppati.
Un altro è una delle conseguenze del primo: l’instabilità e l’insicurezza geopolitica derivante dalla localizzazione della maggior parte delle riserve. Possiamo ricondurre al petrolio e al gas la maggior parte delle guerre dopo lo sgretolamento dell’Unione Sovietica.
Il terzo prezzo, legato ai primi due, è la dipendenza del nostro comfort domestico da fattori non controllabili e lontani: se un oleodotto o un gasdotto in Russia o in Libia viene interrotto per un po’ di tempo restiamo al buio e al freddo.
Scaldarsi e illuminarsi costa sempre di più, ma il prezzo più alto da pagare non è quello attuale, è quello futuro. Quello che faremo pagare ad altri, quelli che ci seguiranno.

La qualità della vita domestica deve e può migliorare, per noi e per tutti gli abitanti di questa Terra, senza per questo aumentare le emissioni. Come?
La risposta più sintetica è: sostituendo l’intelligenza alla forza bruta. Ovvero sostituendo la potenza del fuoco (fossile) con la conoscenza, cioè con la progettazione o la ristrutturazione appropriata degli edifici, con tecnologie di riscaldamento e raffreddamento più efficienti e con la regolazione e il controllo. Se un edificio è progettato o ristrutturato in modo da richiedere poca energia per garantire il comfort, e si usano sistemi di climatizzazione efficienti, la “potenza del fuoco “ occorrente è poca, e può facilmente ed economicamente ricavarsi dalle fonti energetiche rinnovabili.
Questo approccio è indispensabile non solo nei paesi sviluppati (e purtroppo gli USA lo adottano solo a parole), ma anche e soprattutto in quelli in via di sviluppo. Basti pensare cosa succederebbe se 5-6 miliardi di persone ottenessero (finalmente) lo stesso comfort di cui godiamo noi, con gli stessi consumi: le emissioni di CO2 crescerebbero tanto e con tanta velocità da rendere del tutto irrilevanti gli sforzi che si stanno facendo in Europa per ridurle. La Cina è l’esempio più evidente di questo pericolo.

I ricercatori del Santa Fe Institute, in New Mexico, dimostrano l’esistenza di una legge di scala anche all’interno della città. In un contesto di pianificazione urbana sostenibile a un sistema di maggiori dimensioni può corrispondere un consumo minore di energia pro capite. In natura i coralli crescono dove esistono già delle ramificazioni, nei mammiferi la crescita porta a un rallentamento del metabolismo (ovvero il consumo), lo stesso meccanismo di risparmio si sviluppa nelle città. Per sua esperienza, cosa ne pensa? È davvero così? Qualche esempio concreto di sistema ecologico urbano?
Indubbiamente, interventi a scala di quartiere o urbana permettono di ottenere lo stesso livello di comfort in casa con consumi più bassi, se si fa uso di tecnologie quali la cogenerazione o la produzione di biogas dai liquami, per esempio. Anche l’impiego di fonti rinnovabili discontinue, quale quella solare, a scala di quartiere o urbana può essere associato più facilmente ed economicamente a sistemi di accumulo reale o virtuale (vedi smart grid). Ma questo non basta: è il modello di funzionamento della città che va riformato, e con esso il modello economico che fa funzionare la nostra società. Proviamo a esaminare un edificio come un sistema vivente, con il suo metabolismo. Da una parte entra energia, acqua, oggetti vari, cibo, e dall’altra esce CO2, acqua sporca, rifiuti organici e inorganici. Se cambiamo scala, e guardiamo al quartiere, il suo metabolismo ha gli stessi input e output, e lo stesso alla scala della città. La prima cosa da fare è quella di ridurre gli input, e conseguentemente gli output, a tutte le scale. Si potrebbe obiettare che alla scala urbana e di quartiere c’è un fattore metabolico che non si trova alla scala di edificio, la mobilità. Non è proprio così. Ci si muove anche in casa ma la mobilità casalinga è meglio organizzata. Non ci verrebbe mai in mente di tenere il sale o lo zucchero in bagno e lo spazzolino da denti in salotto; e cerchiamo di avere la cucina vicino alla stanza da pranzo. In altre parole, la distribuzione degli oggetti e delle funzioni è razionalizzata al fine di avere ciò che serve “a portata di mano”. La stessa logica dovrebbe governare la pianificazione urbana: i negozi che vendono gli alimentari, che servono ogni giorno, dovrebbero trovarsi a poca distanza dall’abitazione; il luogo di lavoro, dove vado ogni giorno, dovrebbe pure essere vicino al luogo in cui mi riposo e dormo; anche il cinema dovrebbe essere vicino. Invece, tutto il cibo è concentrato in un supermercato più o meno lontano, per raggiungere il posto di lavoro devo fare chilometri, per andare al cinema ho un multisala all’altro capo della città. Ed è così che oltre il 30% dell’energia fossile che si consuma in una città serve per spostarsi (di più, oltre il 50% nelle città del sud, dove si consuma meno per riscaldare).
Comunque, qualche passo nella direzione giusta comincia a farsi. C’è qualche comunità (insediamenti urbani di poche migliaia di abitanti) che in centro e nord Europa ha raggiunto la totale autosufficienza energetica mediante fonti rinnovabili. Si può citare Güssig in Austria, l’isola di Samsø in Danimarca, Hollich in Germania.
Non è un caso che questo risultato sia stato raggiunto in piccoli centri: il rapporto fra chi governa e chi è governato è più stretto e tutto è a portata di mano.

Quali sono gli edifici del futuro?
Sono quelli che riescono a produrre con fonti rinnovabili non solo l’energia occorrente per la climatizzazione e l’acqua calda ma anche quella che serve per fare funzionare tutte le apparecchiature elettriche dell’abitazione e magari qualcosa di più. Sono quelli che riescono ad accumulare, almeno in parte, l’eccesso di energia rinnovabile prodotta, per cederla quando occorre: devono far parte di un sistema di accumulo distribuito. Sono quelli in cui la domotica è fortemente presente e sono capaci di dialogare con gli edifici vicini o lontani, integrati in una smart grid. Sono quelli costruiti con materiali a basso contenuto energetico, durevoli e riciclabili. Sono edifici ad alto contenuto di conoscenza incorporata: quella che ci è voluta per progettarli e quella che ci vuole per farli funzionare.
Non sono gli edifici tutti di vetro.