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In questo numero:

Attaccatevi al bello (e tanti auguri) di Marco Moro
Made e ReMade in Italy di Roberto Rizzo
Quali governi per la sostenibilità? di Diego Tavazzi
Dalla caverna alla casa ecologica di Paola Fraschini
La sostenibilità? Dal basso (e multimediale) di Diego Tavazzi
Nuova edizione aggiornata del prezioso manuale sulla gestione dei rifiuti di Lavinia Basso
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Attaccatevi al bello (e tanti auguri)
di Marco Moro


Pubblicare un volume che coglie perfettamente lo spirito del momento dovrebbe essere per un editore motivo di orgoglio, ma constatare come State of the World 2014. Governare per la sostenibilità esca con un tempismo micidiale lascia comunque una strana sensazione.
Quando, alcuni mesi fa, dal Worldwatch Institute ci venne comunicato che il tema del rapporto 2014 sarebbe stato quello della governance l’argomento ci era apparso tra i più difficili da portare all’attenzione di lettori che sembrano in crisi nel desiderio (o nella possibilità) di dedicare del tempo a informarsi su dinamiche globali che possono facilmente risultare troppo complesse, lontane o astratte.
I segnali emersi in questa fine d’anno sono però maledettamente concreti e convergenti nel dare, ancora una volta e clamorosamente, ragione a Lester Brown, quando afferma che proprio la governance è l’elemento che più di ogni altro si frappone alla creazione di un futuro sostenibile. E al neo-ottantenne Lester Brown è dedicato, per nulla a caso, il volume di quest’anno.
Governance, ovvero l’insieme dei processi mediante i quali si coordina qualsiasi attività o sistema complesso. Qualcosa che ha ben poco di astratto, come dimostrano, in ordine da globale a locale:
- l’ennesimo esito del tutto inadeguato di un Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico a Lima, in questi giorni;
- la prospettiva, emersa sempre in questi giorni ed estremamente reale, di una clamorosa marcia indietro della Commissione europea (guidata dall’ex premier di un paradiso fiscale) sulle politiche ambientali;
- il fatto che le associazioni ambientaliste nazionali si siano dovute mettere a un tavolo per stilare un elenco di “compiti a casa” che il governo dovrebbe svolgere per recuperare quell’insufficienza piena che merita in materia di politiche a favore di uno sviluppo sostenibile (ossia, le politiche per dare un futuro al paese).

Può bastare, ma ovviamente non è tutto qui perché oltre a quelli citati, gli stessi scenari connessi al crollo del prezzo del petrolio rendono ancora più pressante l’interrogativo che era al centro, invece, di State of the World 2013. E' ancora possibile la sostenibilità?
Quello cui si assiste oggi è un poderoso convergere di fattori che su questo piano operano per spostare l’orologio indietro di almeno un trentennio.
Ecco perché quello della governance è “il” tema e perché ha senso occuparsene; per capire, tra l’altro, quali strade si possono percorrere (e si stanno percorrendo) quando le strutture di governo si rivelano del tutto incapaci di svolgere la loro funzione. Non governano, ma seguono. Fanno cioè l’esatto contrario di quello che dovrebbero, perché “lasciare che i meccanismi del mercato siano gli unici controllori degli esseri umani e dell’ambiente, oltre che della misura e dell’utilizzo del potere di acquisto, conduce alla distruzione della società”.
Quello che è intorno a noi, per chi non se ne fosse accorto.

E siamo al perché del titolo di questo editoriale, riferito al degrado del mestiere dell’informazione, nella forma dell’intrattenimento, della "gossipizzazione", che ha effetti devastanti quando si applica a temi che richiedono in primis competenza e spazio, come l’economia, la scienza o l’ambiente. Un esempio tra infiniti: sulla principale testata economica italiana si poteva leggere qualche tempo fa un pezzullo, del direttore però, in cui si affermava che per salvare l’economia italiana il paese deve aggrapparsi al bello, a piazze, chiese e paesaggi, maestrie artigianali, intrinseche qualità che ci spingeranno ad affermare la nostra economia sul mercato mondiale… del lusso. Facendo infine appello all’italico ingegno e ottimismo. Così ci rilanciamo: con gli spaghetti e il mandolino. E si tratta della “principale testata economica italiana”. La stessa che, nel medesimo giorno, citava come fatto positivo la crescita della ricchezza dei miliardari nostrani. Possibile che non baleni in testa a chi ha scritto quelle castronerie che la notizia (bisogna sempre “fare la notizia” no? E perché non “raccontarla giusta”?) è la crescita delle ineguaglianze, il vero maggior lascito delle crisi in corso? Grazie, tra l’altro, proprio alla caduta verticale della capacità di governance? Unire i puntini. Troppo difficile? Non fa notizia? Chi sarebbe quindi, per la “principale testata economica italiana”, un economista come Tim Jackson, uno che i puntini li unisce? Un brillante saggista di Saturno? E Johan Rockström e Anders Wijkman: svedesi o alieni? Ed è possibile che quando si parla di economia (sempre più raccontata come se si trattasse di una specie di videogame, dove però non si dice mai che il gioco c’è e oggi si chiama “molto ricchi contro tutti gli altri”) si parli sempre e solo di poche grandi aziende, di CEO presentati come personaggi dello spettacolo? Mentre ciò che garantisce la residua resilienza al sistema paese e contiene le premesse per un possibile futuro dello stesso è quel 99% del totale delle imprese che sono piccole, piccolissime e medie?
Di come questo tessuto sia depositario del potenziale per produrre una governance dal basso in grado di ridisegnare il rapporto tra economia, società e territorio si parla nell’ebook microMacro, che raccoglie un gran numero di riflessioni, progetti ed esperienze. Un ebook in cui scrivono economisti, ricercatori e imprenditori come Bernard Lietaer e Gunter Pauli.

Capita di sentire gli stessi operatori dell’informazione lamentarsi di come si sia “costretti” alla spettacolarizzazione di ogni tema per farne “notizia”, lasciando intendere che siano i gusti del pubblico a costringere gli integerrimi operatori dell’informazione ad assoggettarsi a questa necessità, unico modo per catturare le residue briciole di attenzione disponibili nelle teste dei lettori. Bel modo di autoassolversi. Non sarà che forse l’attenzione del lettore latita proprio in ragione della pessima qualità dell’informazione? Grandi domande…
Con tutto ciò “non fraintendetemi, io amo il mondo dell’editoria e dell’informazione. Diavolo, ne faccio ancora parte!”. Ma proprio per questo ho sviluppato una propensione al livore quando vado in overdose da cattiva informazione.
Dato che il livore è un sentimento poco natalizio, meglio però chiudere su una buona notizia “mediatica”: per ritrovare qualcosa di buono in televisione ci sarà da aspettare, ma non troppo. Esattamente il 28 febbraio, in prima serata, su Rai3. Appuntamento da non mancare se si vuole che l’informazione su ciò che non si può più definire come “i temi ambientali”, conquisti lo spazio e la qualità che merita.

* il corsivo è preso a prestito dall’incipit di Kitchen Confidential, di Anthony Bourdain e modificato “alla bisogna”.