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In questo numero:

Due gradi di speranza a cura di Diego Tavazzi
Bioeconomia a cura di Paola Fraschini
Come uscire dal labirinto (del tempo) a cura di Diego Tavazzi
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Due gradi di speranza
Intervista a Gianni Silvestrini
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
2 °C
Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l'economia

di Silvestrini Gianni
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Lo spazio per i dubbi si è chiuso: il cambiamento climatico è reale e può contribuire a destabilizzare pesantemente le nostre economie e le nostre società. Bisogna intervenire: prima lo si farà, minori saranno i danni e maggiori i guadagni economici. In 2 °C, Gianni Silvestrini illustra scenari e tendenze di quella che ha tutte le possibilità di essere la terza rivoluzione industriale.

Cominciamo dal titolo, 2 °C. Può spiegarne il significato?

Due gradi è un obiettivo per il pianeta e al tempo stesso rappresenta una sfida. La più importante che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi decenni, come ha ricordato recentemente Barack Obama. Parliamo dell’incremento di temperatura rispetto ai valori preindustriali da non superare per evitare conseguenze catastrofiche e irreversibili. Un risultato secondo molti impossibile, ma che in realtà è ancora raggiungibile invertendo la crescita delle emissioni climalteranti già nel prossimo decennio per arrivare ad un loro dimezzamento verso il 2050. Nel libro si analizzano i comparti dell’energia, dell’edilizia, dei trasporti e dell’industria prefigurando possibili radicali evoluzioni coerenti con uno scenario di decarbonizzazione. La rivoluzione dell’uso efficiente delle risorse dovrà inoltre soddisfare le richieste di una popolazione che andrà a urbanizzarsi al ritmo di una nuove città come Milano a settimana.

Assieme al cambiamento climatico, l'impoverimento della biodiversità e le difficoltà di accesso alle fonti fossili e alle materie prime impongono un ripensamento urgente del nostro modello economico. Una delle chiavi per trasformarlo è l’innovazione tecnologica. Può indicare le tecnologie più promettenti?

In effetti, negli ultimi anni si è registrata un’evoluzione rapidissima di tecnologie strategiche per la lotta al riscaldamento del pianeta grazie al miglioramento delle prestazioni e al crollo dei prezzi. Il fotovoltaico è oggi in grado di produrre elettricità con costi due terzi inferiori rispetto a solo cinque anni fa. I Led si avviano a dominare la scena dell’illuminazione. E nella mobilità urbana proposte come il car sharing o Uber si apprestano a mettere in discussione il concetto di proprietà dell’auto in favore di un servizio, più comodo e conveniente. Le utility, come le multinazionali dell’illuminazione e quelle dell’auto devono fare i conti con queste disruptive technologies e con altre che arriveranno, come è il caso della mobilità elettrica.
Ma gli obiettivi di riduzione delle emissioni sono così ambiziosi che impongono un ripensamento di un modello economico che si dimostra sempre più incapace di contenere i consumi di combustibili fossili, che intacca la biodiversità del pianeta e mette a repentaglio le risorse idriche. E occorrerà riflettere anche sulla necessità di adottare misure incisive come l’applicazione di una carbon tax in un numero elevato di paesi, soluzione favorita dall’attuale basso prezzo del petrolio.

Assieme alle trasformazioni tecnologiche sono indispensabili i mutamenti culturali e un ruolo attivo e propositivo della politica. Ci sono segnali incoraggianti? E quali sono le riforme più urgenti?

Sul versante climatico direi che la novità politica principale riguarda l’attivismo statunitense sul fronte internazionale che ha portato a un accordo con la Cina, che ha sollecitato un maggiore impegno da India e Australia e che passa anche attraverso un’azione diplomatica sotto traccia molto efficace. Come sarà importante il ruolo del Vaticano che culminerà nei prossimi mesi con la pubblicazione di un’enciclica e con un intervento del Papa alle Nazioni Unite. Ma il segnale che qualcosa sta effettivamente mutando viene dai risultati ottenuti in Cina, il paese che ha emissioni pari alla somma di quelle di Stati Uniti, Europa e Giappone. Lo scorso anno si è registrata una clamorosa riduzione dei consumi di carbone, abbinata a una crescita delle rinnovabili superiore all’incremento della potenza termoelettrica.
Dunque, si può sperare che a Parigi a dicembre si raggiunga un soddisfacente accordo sul clima. La definizione di un quadro di impegni che coinvolga tutti i paesi del pianeta è fondamentale, ma non basta. Per ridurre l’aggressione al pianeta occorreranno infatti anche cambiamenti comportamentali che riguardano momenti centrali della nostra vita: cosa mangiamo, come ci spostiamo, cosa acquistiamo...
 
Negli ultimi tempi, diversi commentatori inclinano verso un moderato ottimismo. A suo avviso si tratta di un atteggiamento giustificato?
Direi di sì. A determinare un’atmosfera positiva concorre la nuova posizione di grandi paesi come Stati Uniti e Cina, la disponibilità di tecnologie low carbon con un’enorme capacità di diffusione nel mercato e la valutazione che potranno innescarsi profondi cambiamenti con leggeri extracosti o addirittura con un vantaggio per le economie.
Anzi, per i paesi in difficoltà economica, come è il caso dell’Italia, è chiaro che l’avvio di misure anticicliche green in settori strategici come l’edilizia e i trasporti rappresenti una delle poche ricette in grado di garantire il rilancio dell’occupazione e di ridare fiato all’economia.