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Dalle reti da pesca che inquinano il mare agli skateboard di Nancy Averett
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Dalle reti da pesca che inquinano il mare agli skateboard
Il rifiuto si trasforma in merce
di Nancy Averett


Ben Kneppers partecipava a un festival musicale a Santiago, in Cile, quando si fermò a osservare alcuni ragazzi del posto che in una piccola bottega riparavano skateboard danneggiati, rendendoli di nuovo funzionali invece di gettarli via. Kneppers, un consulente per l’ambiente originario del Massachusetts, restò molto colpito da quell’iniziativa. Anche lui amante entusiasta dello skate, ammirava quei giovani che facevano avanti e indietro scivolando sull’asfalto.

L’idea nacque in quel momento. Già da tempo, insieme ad altri due amici, era alla ricerca di un sistema per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica degli oceani, e stavano studiando un business per produrre oggetti con quei rifiuti. “Pensai che gli skateboard potevano proprio essere l’oggetto adatto”, racconta. “Uno strumento perfetto per educare le generazioni più giovani”.
Diciotto mesi dopo Kneppers e i suoi partner, Dave Stover e Kevin Ahearn, hanno fondato Bureo, un’azienda che produce skateboard. Il nome significa “onde” in Mapudungun, la lingua dei Mapuche, il popolo indigeno del Cile. Il primo lotto di skate realizzati, il modello Bureo Minnow Cruiser, è stato da poco messo in vendita in California, a Chicago e New York.

Ciò che rende diverso lo skateboard Minnow dalle decine di altri skate in circolazione è il fatto che sia ottenuto riciclando rifiuti. La tavola da 25 pollici (63,5 centimetri, ndr) è realizzata con vecchie reti da pesca in plastica dismesse. Ciò che invece rende Bureo diversa dalla maggior parte delle altre aziende è che si concentra tanto sulla propria missione di riciclo quanto su quella di vendita: Kneppers, Stover e Ahearn, tutti cresciuti in località costiere degli Stati Uniti, hanno fondato la loro società anche per questo. “Come surfisti abbiamo passato la nostra vita nell’oceano e sentiamo un legame profondo con questo elemento”, racconta Stover. “Siamo riusciti a fare in modo che uno skateboard simboleggiasse la nostra volontà di risolvere in un modo positivo il problema crescente della plastica nei mari”.
Il gruppo ha scelto di concentrarsi sul riciclo delle reti da pesca, che rappresentano il 10% dei rifiuti in plastica che si trovano negli oceani e possono danneggiare gravemente la vita marina: delfini, testuggini e gabbiani vi rimangono intrappolati e finiscono spesso per morire. Succede perché i pescatori cileni gettano in mare le reti usurate visto che dismetterle costa troppo: le discariche del paese sono tutte private e inoltre per gettarvi i rifiuti occorre pagare un mezzo per il trasporto.

Kneppers ricorda che il problema delle reti abbandonate in mare non si limita solo al Cile. “Nel corso della nostra ricerca”, racconta, “abbiamo contattato pescatori della California e della costa orientale, e tutti hanno ammesso di agire spesso nello stesso modo, per semplice comodità”.
Insieme ai colleghi ha dato vita a un programma chiamato “Net Positiva”, il primo sistema cileno per la raccolta e il riciclo delle reti da pesca. Hanno distribuito sacche per la raccolta delle reti in tre villaggi di pescatori e si sono offerti di ricompensare le cooperative di pesca locali per ogni chilo di rete riciclata. “Nei primi sei mesi abbiamo raccolto tre tonnellate di reti”, racconta Kneppers. “Speriamo di estendere presto il programma ad altre località, visto che abbiamo progettato l’intero modello per essere modulabile”.

L’idea di un programma di riciclo era già nell’aria prima che Kneppers avesse il suo momento di ispirazione durante quel festival musicale a Santiago. Nel 2011, lui e Stover erano compagni di stanza e colleghi in Australia. Entrambi appassionati surfisti, rimanevano svegli fino a tardi a discutere di come risolvere il problema dell’inquinamento della plastica negli oceani, un aspetto per loro evidente ogni volta che cavalcavano un’onda. (Ahearn, anche lui surfista, si è unito a loro più tardi, quando hanno capito di aver bisogno di un designer.)

Una volta individuato il prodotto più adatto, è arrivata la parte difficile: trasformare quel sogno in realtà. La prima tappa è stata la visita alla Northeastern University, dove Kneppers aveva studiato. L’università aveva un programma a disposizione per potenziali imprenditori e offrì loro un tutor e parte dei finanziamenti iniziali utilizzati per verificare se le reti da pesca erano adatte alla creazione degli skateboard. In seguito i tre hanno chiesto e ottenuto un prestito dal governo cileno, grazie al programma Start-Up Chile, che li ha aiutati a definire il sistema di recupero e riciclo delle reti. Infine, nell’aprile del 2014, si sono rivolti a Kickstarter, lanciando una campagna che ha consentito di raccogliere rapidamente 64.000 dollari, ben oltre il doppio dell’obiettivo iniziale (25.000 dollari), riuscendo così ad avviare la produzione su larga scala.

Capita che i pescatori abbiano difficoltà a organizzare lo smaltimento delle vecchie reti, ed è questa una delle ragioni perché esse finiscono per inquinare gli oceani in proporzioni così significative. Durante le nostre ricerche, abbiano individuato anche in altri paesi programmi che offrono ai pescatori punti di smaltimento delle reti usate, così da eliminare il rifiuto pericoloso prima che finisca nell’ambiente marino. Noi abbiano deciso di avviare “Net Positiva”, un programma che garantisce ai pescatori un’entrata aggiuntiva e l’incentivo giusto per far sì che le reti non finiscano negli oceani... Continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 2, febbraio 2015

 

Nancy Averett è una giornalista scientifica freelance, di stanza a Cincinnati, Ohio. Scrive per diverse riviste statunitensi.