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In questo numero:

L’economia della ripresa ha nuovi attori di Antonio Cianciullo e Roberto Coizet
'Niente terra solo per i biocombustibili' a cura di Roberto Giovannini
Bioeconomia europea: comunicare, comunicare e comunicare a cura di Joanna Dupont-Inglis
Un nuovo paradiso tra artificio e natura a cura di Matteo Reale
Si chiama Epr, rivoluzionerà la produzione di Carlo Pesso
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Si chiama Epr, rivoluzionerà la produzione
di Carlo Pesso


Tutto ha inizio nell’agosto del 1986, con l’adozione della legge Abfallgesetz per la riduzione e la gestione dei rifiuti, che conferì al governo federale tedesco il potere di regolare il flusso di prodotti e imballaggi per avviarli verso un trattamento “ambientalmente amichevole”. Il governo tedesco dapprima adottò un approccio volontario. Tuttavia, già il 7 maggio del 1987, quando Klaus Töpfer – membro dell’Unione Cristiano-Democratica del Cancelliere Helmut Kohl – diventò Ministro per l’ambiente, la salvaguardia della natura e la sicurezza nucleare, l’approccio volontario si era rivelato un enorme fallimento.
Giungere a una conclusione del genere è, specialmente in Germania, un fatto grave. Töpfer – economista di formazione – assunse l’incarico determinato ad applicare il principio “chi inquina paga”, ovvero il principio secondo il quale i costi dell’inquinamento devono essere sostenuti da chi l’ha causato. Molto presto l’applicazione di quel principio avrebbe portato al concetto di responsabilità condivisa, o estesa, del produttore che oggi è diffuso in tutto il mondo (Extended Producer Responsibility, Epr). L’obiettivo di Töpfer è stato raggiunto il 12 giugno del 1991, quando è entrata in vigore l’ordinanza sugli imballaggi e fu istituito il primo sistema Epr.

Ma, nel raggiungere quest’obiettivo, cosa esattamente è riuscito a fare Klaus Töpfer? Gli economisti definiscono “esternalità” qualsiasi attività i cui benefici o conseguenze (siano essi positivi o negativi) non ricadono interamente su chi li ha causati. Infatti, parte degli effetti delle attività si ripercuotono sulla società e sull’ambiente (esterno). Alcuni possono essere positivi: per esempio, la guida di un veicolo elettrico riduce l’inquinamento urbano (beneficio esterno). Se poi si consuma energia elettrica di origine solare, si evita anche la produzione di CO2 (idem). In pratica, poiché la società nel suo insieme trae vantaggi da questi investimenti, si parla di esternalità positive. In linea generale, con nostro gran rammarico, le esternalità negative appaiono più comuni di quelle positive. Un esempio lampante è quello degli imballaggi: gli effetti visivi dell’inquinamento da imballaggi sono tra i più evidenti e costituiscono soltanto la punta dell’iceberg dei problemi che possono nascondere.
In genere, i costi di raccolta e recupero degli imballaggi ricadono sulla comunità territoriale. Nella maggior parte dei casi si tratta di municipalità locali che, poi, ri-attribuiscono i costi ai cittadini. In un sistema del genere è molto difficile stabilire un legame diretto tra la quantità di rifiuti prodotti, i costi del loro recupero, e i cittadini che debbono finanziare questi costi. Oltre tutto, in un sistema come questo non si riesce a incentivare la minor produzione di rifiuti. Ciò rimane vero finché tutti gli attori della filiera di consumo (produttori, distributori e consumatori) sono costretti ad assumersi la responsabilità di ciò a cui contribuiscono. Ed è qui che Klaus Töpfer ha compiuto il primo importante passo verso un’economia circolare: le norme che ha introdotto hanno attribuito ai produttori la responsabilità dei propri imballaggi, responsabilità che viene mantenuta anche quando i consumatori se ne sbarazzano. In pratica, avviene che i produttori incorporano nel prezzo dei loro prodotti i costi di raccolta, differenziazione, riciclo e smaltimento; in questo modo, i consumatori ne condividono i costi in proporzione alla quantità e alla qualità del proprio consumo. Il concetto è ben espresso con il termine “responsabilità estesa del produttore” (Epr). Come ciò possa accadere è descritto in dettaglio nell’articolo di Joachim Quoden in questo stesso numero di Materia Rinnovabile.
Oggi, a livello mondiale, operano circa 400 sistemi Epr; circa il 70% di questi sono stati avviati dopo la pubblicazione, nel 2001, delle linee guida a cura dell’Ocse per i governi desiderosi di estendere la responsabilità del produttore (“Guidance Manual for Governments on Extended Producer Responsibility”). In seguito, i programmi adottati nei vari paesi hanno via via interessato un ventaglio sempre più ampio di prodotti, tra cui: i rifiuti elettrici ed elettronici, le batterie al piombo, gli pneumatici, gli olii esausti, le vernici, le sostanze chimiche, i grandi elettrodomestici, le lampadine a incandescenza e i prodotti farmaceutici. Il numero e l’ambito dei programmi varia da paese a paese: in Francia, per esempio, è attivo un unico sistema per gli imballaggi mentre nel Regno Unito operano 29 diverse organizzazioni. Descriverne i dettagli non rientra nel nostro scopo, ma è interessante notarne alcune caratteristiche: in particolare, i programmi possono essere volontari oppure obbligatori, mentre la responsabilità nella gestione dei rifiuti può essere meramente operativa o unicamente gestionale, oppure mista. In conseguenza, i sistemi attuali differiscono gli uni dagli altri nelle modalità di attribuzione e distribuzione della responsabilità, mentre sono profondamente influenzati dalle pre-esistenti strutture organizzative per il recupero dei rifiuti e, talvolta, possono essere concepiti su misura delle specifiche condizioni territoriali, come nel caso delle isole più piccole o delle destinazioni turistiche.

Sono ormai 25 anni che i sistemi Epr hanno dimostrato la propria efficacia nel diffondere la nozione di economia circolare e la loro capacità, partendo spesso da zero, di raggiungere notevoli livelli di riciclo... continua a leggere su Materia Rinnovabile 3, aprile 2015