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In questo numero:

Contro la fame, oltre il cibo di Antonio Cianciullo
Come l'arte può guarire la natura di Nancy Averett
Tolleranza zero di Carlo Pesso
Il cartone vince sul degrado di Sergio Ferraris
Uova e miniere di Federico Pedrocchi
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Contro la fame, oltre il cibo
di Antonio Cianciullo


Un’alluvione di carta e di Carte (di Bologna, di Milano), un fiume di convegni, uno sventolio generoso di buoni propositi di lotta allo spreco di cibo. È un effetto dell’Expo di Milano da non sottovalutare: è stato compiuto uno sforzo di comunicazione importante; qualcosa resterà, aiuterà a cambiare gli umori nei confronti delle cattive abitudini alimentari, verrà incorporato nei gesti quotidiani di milioni di persone. Tuttavia sotto i riflettori è finita la denuncia dello spreco, non l’indicazione di soluzioni strutturali per ridurlo in modo radicale. Si è parlato molto di tecniche per evitare di trasformare in rifiuto cibi ancora utilizzabili (e questo è un passaggio urgente e necessario), non di una visione più ampia che consenta di prevenire il danno delineando i contorni di un’economia circolare.


In primo piano è rimasto il tema della lotta contro la fame, declinato nella stessa logica quantitativa che ha prodotto il problema. Si è sentito spesso ripetere che occorre produrre di più perché la popolazione crescerà e i consumi pro capite aumenteranno. Si è sentito spesso ripetere che i problemi di inquinamento creati dall’agricoltura stanno aumentando. Si è sentito spesso ripetere che un terzo del cibo si perde lungo il percorso che dal campo arriva alla tavola. Ma come se si parlasse di meccanismi indipendenti: non si individuano, per esempio, i nessi tra l’inaridimento che fa perdere ogni anno 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile e le asimmetrie che portano un miliardo di persone a soffrire di carenza di alimenti mentre un altro miliardo di persone soffre per eccesso di alimenti.
Sono nessi che tengono assieme la questione sociale (il 70% della produzione alimentare è assicurato dai piccoli agricoltori), la questione ambientale (un quinto delle terre produttive è irrigato e il ciclo idrico, già in crisi, viene minacciato dal cambiamento climatico), la questione economica (la corsa a prezzi sempre più bassi non basta a battere la povertà e non aiuta a difendere la salute).
Mettendo assieme questi fili si potrebbe ottenere un’immagine di lotta allo spreco più ampia. Non si tratta solo di non buttare cibo. Occorre evitare di dissipare acqua, energia, suolo fertile e coesione sociale forzando i cicli produttivi senza guardare ai risultati complessivi di medio periodo: un rischio che basterebbe sfogliare i libri di storia (dagli eccessi di irrigazione nella mezzaluna fertile alle centinaia di specie di insetti che hanno acquisito la resistenza al Ddt) per aver chiaro.

La visione circolare dell’economia agricola può aiutare a costruire un modello più solido di rilancio produttivo. Magari facendo saltare gli steccati e le polemiche che contrappongono questi due mondi, soprattutto da quando la quota di colture destinata a fini energetici è andata crescendo, con un picco stimolato dalle sovvenzioni statunitensi per il mais che attorno al 2007 hanno fatto schizzare in alto i prezzi dei cereali creando la rivolta delle tortillas e lo slogan “nemmeno un metro quadrato di suolo agricolo per l’energia”. Una lite per la terra che appartiene a un mondo tecnologicamente superato, come si evince anche dal Manifesto della green economy per l’agroalimentare in occasione di Expo 2015, diffuso dal Consiglio nazionale della green economy.

In questo manifesto si parla della bioeconomia basata sulla valorizzazione di biomasse di varia provenienza impiegate per generare energie rinnovabili e per fornire materiali per diverse attività (dall’artigianato alla chimica verde). E si dice che “queste attività – quando sono integrate e sostenibili per i territori e non sottraggono suoli e produzioni destinate all’alimentazione – possono contribuire a migliorare il presidio e la cura del territorio, il recupero di aree degradate e marginali, a fornire possibilità aggiuntive di reddito per il mondo agricolo contribuendo anche a contrastare l’abbandono delle campagne”.
Le bioraffinerie, di cui l’Italia ha la leadership, rappresentano una versione avanzata di queste attività sostenibili: sono in grado di riutilizzare scarti di lavorazione agricola, o colture realizzabili senza uso di acqua e fitofarmaci su terre abbandonate, in una serie di processi “a cascata” in cui ogni volta vengono impiegati i residui del ciclo precedente per ottenere materiali utili in vari cicli produttivi.
Questa visione dell’economia circolare, che allarga il tema cibo e lo integra nel sistema produttivo generale, può dare un contributo importante alla lotta contro lo sperpero della materia e dell’energia, aiutando a trovare la soluzione al rebus indicato da Expo 2015: nutrire un pianeta sempre più affollato, con sempre meno risorse e con un cambiamento climatico incombente. Per lottare contro la fame non basta produrre più alimenti: bisogna estendere lo sguardo al di là del cibo, garantendo la coesione sociale e l’equilibrio degli ecosistemi.

Per dirla con le parole di Vandana Shiva nel manifesto Terra Viva: “La nuova agricoltura sostituisce il processo lineare di sfruttamento del suolo e delle risorse con un processo circolare di ritorno che garantisce la resilienza, la sostenibilità, la giustizia e la pace. Questa nuova agricoltura fa parte di un processo che punta a ridefinire il concetto di democrazia e libertà. Nella vecchia concezione atomistica e meccanicistica la mia libertà finisce dove comincia la tua. Nella nuova concezione, basata sull’economia circolare e sul ruolo crescente delle comunità, la mia libertà comincia dove comincia la tua e include la libertà della terra e di tutte le specie”.

Articolo pubblicato su 'Materia Rinnovabile', n. 5 agosto 2015