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In questo numero:

Se tutto fa brodo (e tutto fa Pil) di Marco Moro
Il futuro del cibo? In città a cura di Diego Tavazzi
Nuova mobilità urbana a cura della redazione
Prima di mangiare, fate bene i conti a cura di Diego Tavazzi
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Il futuro del cibo? In città
Intervista ad Andrea Calori
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Food and the Cities
Politiche del cibo per città sostenibili

a cura di Calori Andrea, Magarini Andrea
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Quando un’amministrazione comunale decide di servire acqua del rubinetto e frutta e verdura di stagione nelle mense scolastiche, sta attuando una politica del cibo. Assegnare spazi per gli orti urbani o per un farmer’s market, imporre una tassa sul consumo di bibite zuccherate o scrivere un piano urbanistico che preveda spazi per l’agricoltura: anche queste azioni fanno parte delle politiche del cibo urbane. In questi e in molti altri casi, gli interventi delle amministrazioni locali possono dare ottimi risultati su questioni come la sostenibilità, la riduzione degli sprechi e la lotta al cambiamento climatico, il benessere e la salute dei cittadini e degli ecosistemi. Il tutto senza bisogno di investimenti eccessivi e avviando percorsi di partecipazione.
Food and the Cities, scritto dal gruppo di autori che ha contribuito a definire la food policy del Comune di Milano, ricostruisce la storia delle strategie urbane per il cibo in Italia e all’estero, ne individua le caratteristiche principali e racconta come sono state declinate in decine di città in tutto il mondo. Ne parliamo con Andrea Calori, che con Andrea Magarini è curatore del volume (disponibile anche in lingua inglese).

Perché il cibo è uno snodo fondamentale in molte delle “grandi questioni” (cambiamenti climatici, urbanizzazione, sostenibilità…) che caratterizzano la nostra epoca?
La città è un ecosistema che, per sua natura, dipende da altre aree sia per acquisire ciò di cui ha bisogno (energia, acqua, suolo, cibo ecc.), sia per smaltire ciò che non ha completamente metabolizzato (rifiuti, scarti, emissioni ecc.). I sistemi alimentari delle città sono una delle componenti costitutive di questi flussi di materia e di energia che entrano ed escono dalle nostre città perché, nelle nostre cucine, arrivano prodotti da tutto il mondo che dipendono da pratiche colturali, sistemi ambientali, apparati normativi e sistemi economici estremamente diversificati.
Il modo in cui mangiamo, infatti, è strettamente legato a strutture ecosistemiche e a forme di organizzazione socioeconomica che comprendono una grande quantità di elementi che vanno dagli stili di vita individuali fino agli elementi strutturali e di lungo periodo delle nostre socioeconomie: la produzione, la trasformazione, il trasporto, il commercio, il riuso degli scarti e lo smaltimento dei rifiuti.
Leggere le città “dal punto di vista del cibo” consente, dunque, di entrare nel profondo del metabolismo ambientale e socioeconomico del nostro mondo urbanizzato e di contribuire in misura significativa a misurare e orientare il livello di sostenibilità di ciascun territorio e di ciascuna città oltre che del pianeta.
L’efficientamento dei sistemi del cibo e la ricerca di una loro maggiore sostenibilità partendo dalle città e dal modello di sviluppo moderno che le ha generate, quindi, apre una prospettiva radicalmente diversa rispetto al dibattito che vede nell’intensificazione della produzione la sola strada per rispondere alle sfide di come nutrire il pianeta. Questa prospettiva incorpora tutti i temi della sostenibilità.

Potresti darci una definizione delle politiche del cibo urbane?
Quando si parla di politiche urbane del cibo si fa riferimento a un insieme molto ampio di modalità attraverso le quali il cibo si incrocia con le politiche che vengono abitualmente trattate a livello locale, come quelle ambientali, urbanistiche, sociali, educative e commerciali. Il libro si concentra soprattutto su quelle politiche del cibo che hanno una rilevanza strategica e che si propongono di migliorare la sostenibilità delle città: cioè le esperienze che hanno come obiettivo esplicito la costruzione di un quadro di riferimento generale per tutte le azioni che riguardano direttamente o indirettamente il cibo, entro il quale identificare obiettivi di miglioramento complessivo del sistema dal punto di vista sociale, ambientale e di innovazione economica.
Si tratta di politiche che comprendono azioni di breve periodo e settoriali ma che, per incidere in modo significativo sulla sostenibilità urbana, necessitano anche interventi di medio-lungo periodo. È evidente che una prospettiva di questo tipo non riguarda solo l’orientamento delle politiche del Comune strettamente intese. Le politiche urbane del cibo più efficaci, infatti, sono quelle che vengono definite e implementate grazie al contributo attivo di tutti gli attori della città compresi i singoli cittadini. Per questo motivo le esperienze più interessanti nascono e si sviluppano all’interno di appositi percorsi partecipativi e, spesso, generano dei luoghi istituzionali appositamente dedicati all’indirizzamento e al monitoraggio di queste politiche come dei consigli urbani del cibo a cui partecipano persone che appartengono ai diversi mondi sociali, economici, istituzionali e della ricerca della città.

Le politiche del cibo sono state implementate da città di tutto il mondo. E possibile individuare dei tratti comuni che differenziano le esperienze nordamericane da quelle europee e di altri continenti?
Le prime esperienze di vere e proprie strategie urbane per il cibo sono nate negli Stati Uniti negli anni Ottanta, cioè in un contesto in cui l’artificializzazione del sistema agroalimentare cominciava a mostrare con evidenza squilibri ed emergenze che vanno dalla depressione dei prezzi alla produzione, all’esplosione del numero di obesi, all’aumento delle malattie cardiovascolari, fino ad arrivare alla drammatica mancanza di cibo in ampie aree di molte città – i cosiddetti food desert – a causa della polarizzazione del sistema del commercio alimentare. La consapevolezza delle dimensioni di questi fenomeni ha spinto molte città a cominciare a rispondere a questi bisogni come parte dei servizi essenziali della città, fino a coinvolgere anche istituzioni di livello superiore.
In Europa, queste politiche nascono anche sotto altri nomi e rispondono a bisogni diversi: sviluppandosi prevalentemente all’interno di programmi per la sostenibilità urbana e anche sulla scia delle Agende 21 Locali sottolineando, ancora una volta, il forte legame tra le politiche urbane per il cibo e le dimensioni della sostenibilità. A questo tipo di politiche fanno riferimento, per esempio, le numerose iniziative esistenti sull’agricoltura e l’orticoltura urbana, quelle per la produzione locale di compost derivato dai rifiuti organici domestici e le politiche per la sostituzione dei mezzi dedicati alla distribuzione del cibo con mezzi non inquinanti.
In alcune città, infine, queste politiche sono esplicitamente promosse anche come strategie di sostenibilità che alimentano politiche di marketing territoriale e competitività per aumentare l’attrattività urbana.

Com’è la situazione in Italia? A parte il caso di Milano, cosa si è fatto?
In Italia, come nella maggior parte delle città del mondo esistono già delle politiche e dei progetti che trattano il cibo come una parte delle politiche della municipalità. Le mense scolastiche, i mercati, le regole del commercio e i piani urbanistici che regolano le caratteristiche delle aree agricole sono solo alcuni degli esempi di politiche ordinarie che caratterizzano l’azione settoriale di quasi tutti gli enti locali.
L’innovazione portata dall’esperienza di Milano è quella di costruire una vera e propria strategia generale nella quale il cibo viene utilizzato come punto di vista per analizzare, valutare e indirizzare la sostenibilità complessiva della città. In questo senso il caso di Milano è sia l’unico in Italia che ha definito una strategia sul cibo come tema urbano, sia uno dei pochi casi esistenti a livello internazionale che identifica il cibo come elemento chiave per contribuire ad aumentare la sostenibilità complessiva della città e la sua resilienza rispetto a pressioni di carattere sociale ed economico e sulle componenti dell’ecosistema.