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Rallentare la grande accelerazione per custodire la bellezza
di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Grande mondo, piccolo pianeta
La prosperità entro i confini planetari

di Rockström Johan , Mattias Klum
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“Noi umani, antrophos in greco antico, siamo diventati un agente di trasformazione così rilevante da poter essere considerati una forza geologica sul pianeta, più importante per effetti e ritmo delle eruzioni vulcaniche, della tettonica delle placche o dell’erosione. Con un’indifferenza spericolata, abbiamo dato il via a una nuova era geologica, l’‘Antropocene’.”
Anche se la comunità scientifica ancora discute sul momento esatto in cui è cominciata questa nuova era geologica, è ormai chiaro che la pressione esercitata dagli esseri umani sta modificando le caratteristiche fondamentali del pianeta Terra.

Rockström e Klum danno conto di questa trasformazione già nel titolo del loro libro, Grande mondo, piccolo pianeta. Se fino agli anni Cinquanta abbiamo vissuto in un piccolo mondo su un grande pianeta, a partire dalla Grande Accelerazione, iniziata a metà del secolo scorso, i rapporti sono cambiati e oggi abitiamo in un grande mondo su un piccolo pianeta.
L’interazione tra innovazione tecnologica, crescita demografica e aumento della ricchezza ha infatti prodotto un sistema che ha migliorato le condizioni di vita di miliardi di persone, ma ha cambiato tutti i processi ambientali che stanno alla base delle moderne economie. Inoltre, l’economia globale consuma risorse e genera scarti a livelli e disuguaglianze che non precedenti nella storia dell’umanità. Il mondo degli umani, sempre più interconnesso, veloce e vorace, ha ormai superato i limiti del piccolo pianeta che lo ospita.

Rockström riesce facilmente a dimostrare che questo discorso è tutto fuorché teorico. Da circa 11.700 anni, da quando cioè è iniziato l’Olocene, il clima della Terra e le sue condizioni ambientali complessive sono state, a paragone delle epoche precedenti, estremamente stabili.
E proprio questa stabilità e questa prevedibilità hanno consentito la nascita e la diffusione delle pratiche agricole, che hanno rappresentato il trampolino di lancio che l’umanità ha usato per arrivare fino agli attuali 7,3 miliardi.
Oggi, le nostre attività, che si basano su consumi smodati di energia e materiali, stanno alterando le caratteristiche fondamentali di molti dei sistemi che supportano la vita sulla Terra. Anche in questo caso, la teoria ha un immediato riscontro nei fatti. Rockström è il lead author del gruppo di scienziati che nel 2009 e aggiornato nel 2014 che ha introdotto il concetto dei confini planetari. Si tratta di nove soglie, ciascuna riferita a un processo o fenomeno (nell’aggiornamento del 2014 cambiamenti climatici, nuove entità, riduzione della fascia di ozono stratosferico, diffusione degli aerosol, acidificazione degli oceani, flussi biogeochimici, utilizzo globale di acqua, cambiamenti nell’uso dei suoli, perdita di biodiversità), che interagendo dinamicamente tra di loro permettono il funzionamento del sistema Terra e ne garantiscono la stabilità e la resilienza.

Ogni soglia indica un valore che non deve essere superato se non vogliamo compromettere l’integrità del processo o del fenomeno a cui si riferisce. Nelle parole dei due autori: “È notte, e state guidando su una strada tortuosa che costeggia uno strapiombo. È probabile che vorreste avere dei guardrail ben visibili per evitare di avvicinarvi troppo al ciglio della strada. Questa è l’idea alla base dei confini planetari. Come abbiamo avuto modo di vedere, gli esseri umani si stanno precipitando a rotta di collo verso il futuro, e dietro ogni curva si nascondono dei pericoli – rischiosi e improvvisi come precipitare in uno strapiombo. Per evitare che l’umanità possa trovarsi in una situazione simile, dobbiamo definire dei confini planetari che fungano da guardrail e ci impediscano di superare accidentalmente il bordo del dirupo. Questi confini non ostacolano la crescita o lo sviluppo, proprio come i guardrail che costeggiano una strada piena di curve non rallentano gli automobilisti. Servono per evitare gli incidenti”. Abbiamo già superato tre confini: se vogliamo evitare di superarne altri, dobbiamo modificare radicalmente i modi in cui generiamo l’energia e la utilizziamo (con un massiccio spostamento verso le rinnovabili e l’efficienza energetica), i modi in cui produciamo il cibo che mangiamo (Rockström sostiene la necessità di una nuova Rivoluzione agricola, questa volta però davvero sostenibile), i modi in cui ci muoviamo (sistemi di trasporto smart) e quelli in cui abitiamo (edifici efficienti).

Considerato poi che uno dei concetti chiave del libro è che sistemi naturali e sistemi umani sono sempre più interconnessi, se davvero vogliamo tutelare l’integrità degli ecosistemi dobbiamo cambiare anche le società. Se esistono dei limiti (i confini planetari) all’utilizzo dei materiali e delle risorse, devono esistere anche delle basi su cui appoggiare questi limiti: Rockström riprende la proposta di Kate Raworth, che indica un “pavimento” sociale rappresentato dal diritto di accedere alle risorse, agli ecosistemi, allo spazio atmosferico, a un clima stabile, oltre che dalle dimensioni dell’equità, della dignità, della resilienza e da altri fattori che sono associati a una buona qualità di vita. Allo stesso modo, vanno modificati i modi in cui misuriamo il nostro progresso e il nostro benessere, e il modo in cui pensiamo alla nostra relazione con le risorse (Rockström cita più volte Blue Economy di Gunter Pauli, e auspica la diffusione dell’economia circolare).

Grande mondo, piccolo pianeta è l’ennesima dimostrazione del fatto che chi contesta agli ambientalisti scientifici di essere pessimisti o di voler tornare a un’era fredda e buia o non sa di cosa parla oppure agisce in malafede. Il libro di Rockström e Klum è infatti una celebrazione dell’ingegno e della creatività umane, i due ingredienti base di una ricetta che comprende anche tecnologia e innovazione e che è in grado di riportarci su una strada compatibile con il mantenimento della stabilità e della resilienza del sistema Terra.