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In questo numero:

High Noon di Marco Moro
Il pane ingrassa, l’ananas brucia le calorie, il fruttosio fa bene... Ma sarà vero? di Sara Farnetti
La sostenibile leggerezza dell’Agricoltura 5.0 a cura di Diego Tavazzi
Formiche vs. dinosauri 3-0 di Diego Tavazzi
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La sostenibile leggerezza dell’Agricoltura 5.0
Intervista a Riccardo Valentini
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:
Eating Planet
Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro

di Barilla Center for Food & Nutrition
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Quando si pensa alle cause dei cambiamenti climatici, in pochi considerano il settore agricolo. Eppure, come spiega  Riccardo Valentini, membro dell'Advisory Board di Bcfn, premio Nobel per la Pace 2007 con l'Ipcc e contributore di Eating Planet, proprio le attività collegate alla p roduzione del cibo che mangiamo sono responsabili di una quota importante delle emissioni di gas serra. Tuttavia, proprio questo settore potrebbe dare un contributo sostanziale alla mitigazione del climate change. Valentini, che in Eating Planet presenta la sua “Agricoltura 5.0”, ci offre una ricetta per proiettare pratiche, conoscenze e tecnologie agricole nel XXI secolo.

Il settore agricolo emette il 26% dei gas a effetto serra, piazzandosi al terzo posto dopo la generazione di energia e i trasporti. Da cosa risulta un valore così elevato?
L’agricoltura mondiale ha mostrato una rapida accelerazione negli ultimi 50 anni a fronte di una crescita esponenziale della popolazione. Basti pensare che solo negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è aumentata di 4 miliardi. Sono aumentate le terre destinate all’agricoltura, con conseguente incremento della deforestazione tropicale (circa 13 milioni/ha all’anno) e l’uso intensivo del suolo. In particolare il consumo dei fertilizzanti è più che raddoppiato per unità di superficie agricola. A questo si aggiunge il cambiamento veloce della dieta che in molti casi (come per esempio la Cina), a seguito dell’incremento del reddito pro capite, è passata da un regime fondamentalmente vegetariano a uno ricco di grassi e proteine animali. La produzione di carne da allevamento con ruminanti è una delle fonti più importanti di metano di origine antropica. A seguito di questa corsa senza limiti le emissioni di gas serra sono raddoppiate a partire dal 1960 (2,7 miliardi di tonnellate di CO2eq per anno) fino al 2012 (5,4 miliardi di tonnellate di CO2eq per anno).
È evidente che il futuro delle emissioni di gas serra dell’agricoltura e conseguentemente il riscaldamento globale saranno fortemente determinati dalla crescita della popolazione globale ma soprattutto dagli stili di vita e dalle diete alimentari che seguiremo nel futuro.

Lei propone un’“Agricoltura 5.0” per rispondere alle sfide poste al sistema di produzione alimentare dall’incremento della popolazione, dal riscaldamento globale e dal cambiamento degli stili di vita. Può spiegarci di cosa si tratta?
L’agricoltura, passando dall’Homo sapiens, raccoglitore e poi cacciatore di cibo, all’Homo urbanus, consumatore di prodotti trasformati tecnologicamente, ha subito diverse e profonde fasi di cambiamento. Oggi possiamo dire che abbiamo bisogno di una nuova fase per l’agricoltura, a fronte di nuove domande che provengono dalla crescita esponenziale della popolazione, dalla variabilità climatica, dal diritto al cibo, da nuovi stili di vita e domande di cibo non tradizionale, una Agricoltura 5.0 che possa fornire le risposte necessarie per un altro passo avanti della nostra generazione umana. Nel 2050 8 persone su 10 vivranno in città ed è quindi imperativo porsi il problema di come sfamare questi nuovi cittadini soprattutto quando ci saranno sempre meno agricoltori che produrranno cibo.
In questo senso Agricoltura 5.0 deve avere nuove caratteristiche. 1) Interoperabilità, ovvero i centri di produzione agricola e di trasformazione devono essere connessi in rete per ottimizzare domanda e offerta attraverso nuove tecnologie di rete come Internet of Things e Internet of Services. 2) Decentralizzazione: realizzare Smart Factories in modo capillare e diffuso nel territorio, soprattutto in aree peri-urbane di prossimità ai centri urbani. 3) Cooperazione: creare reti di produzione interconnesse in grado di scambiare e condividere servizi sia di natura tecnologica che marketing. 4) Innovazione: sfruttare le tecnologie di monitoraggio, previsione climatica, automazione ed efficientamento dell’uso delle risorse (acqua, energia, fertilizzanti, pesticidi ecc.) per una riduzione delle emissioni di gas serra e prodotti più salubri. Questa Agricoltura è anche quella che permetterà a giovani, piccole aziende, imprenditori isolati, spesso unici custodi della nostra biodiversità e tipicità dei territori, di sopravvivere, utilizzando in modo intelligente, sostenibile e leggero le nuove tecnologie che l’ingegno umano ci mette oggi a disposizione per assicurare un futuro alla nostra specie.

Quale può essere secondo lei il ruolo delle pratiche agricole finalizzate alla conservazione dei suoli e allo stoccaggio del carbonio?
L’agricoltura, nonostante sia il terzo settore per emissioni di gas serra dopo energia e trasporti, è quello in cui è possibile agire per ridurre le emissioni in tempi più rapidi e soprattutto con costi di abbattimento minori. È infatti l’unico settore dove le emissioni possono diventare negative, ovvero è possibile addirittura assorbire più anidride carbonica di quella emessa grazie allo stoccaggio del carbonio organico nel suolo o nella biomassa. Quindi le politiche di sussidio all’agricoltura dovrebbero avere come base di principio la sostenibilità e la possibilità di ridurre le emissioni di gas serra pur mantenendo la qualità e la quantità di produzione di cibo necessaria. È stato dimostrato che, soprattutto la qualità del cibo e la sua salubrità, vanno nella stessa direzione della riduzione delle emissioni e del contenimento del riscaldamento globale.
Da questo punto di vista l’Italia è un esempio di riferimento di una agricoltura sostenibile, a partire dall’importante superficie agricola italiana dedicata alla produzione biologica e all’attenzione delle nostre aziende sulla qualità dei prodotti. Inoltre molte colture agricole mediterranee che in Italia trovano la massima espressione come la vite, l’olivo ma anche i frutteti sono esempi di colture potenzialmente a “emissioni zero” in quanto la presenza della biomassa delle piante che permangono sul suolo per lunghi periodi di tempo crea uno stock di carbonio che cresce nel tempo e assorbe le emissioni dovute alla coltivazione.