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In questo numero:

Lo specchio dei rifiuti di Antonio Cianciullo
Reinventare il fuoco: da maiali a foche a cura di Emanuele Bompan
Quo vadis sharing economy? di Silvia Zamboni
Il villaggio dei materiali a cura di Marco Moro
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Quo vadis sharing economy?
di Silvia Zamboni


Si scambiano case, cene, abiti, competenze, passaggi in auto. Spinta dal web la sharing economy è entrata in tanti ambiti della nostra quotidianità. Ispirata dal desiderio di condividere e di risparmiare risorse. Anche ambientali. 

Valentina, 35 anni, bolognese, diploma di conservatorio in viola, è spesso in viaggio sia per lavoro come orchestrale, sia per passione. E “per risparmiare, ma soprattutto per sentirsi più a casa”, da anni si serve di Airbnb, il gigante internazionale dell’affitto temporaneo di case private tramite annunci pubblicati sul suo portale: simbolo rampante della sharing economy, l’economia della condivisione, del baratto, del prestito di beni, servizi e competenze tramite l’uso di piattaforme digitali e di app che su internet favoriscono l’incontro peer-to-peer tra domanda e offerta. […]

L’irresistibile ascesa di Airbnb ne ha fatto un autentico faro per le start-up che si lanciano nel nuovo orizzonte di questa economia ispirata alla vocazione solidale di condividere, di risparmiare risorse anche a fini di tutela dell’ambiente ed esplosa letteralmente, a livello mondiale, grazie al potenziale virale delle moderne tecnologie digitali che la innervano. È il caso, per esempio, accanto ad Airbnb, del settore trasporti e in particolare di BlaBlaCar, la piattaforma regina del ride sharing che mette in contatto chi cerca e chi offre passaggi in auto su un percorso di media-lunga distanza. Opzione diversa sia dal car sharing urbano 2.0, che con Car2go ed Enjoy sta spopolando a Milano e Roma, sia dal car pooling, spesso organizzato a livello aziendale per formare team di dipendenti che si spostano su percorsi comuni. Nei 20 paesi al mondo in cui è presente (Belgio, Brasile, Croazia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Italia, India, Messico, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Serbia, Spagna, Turchia, Ucraina e Ungheria) la community di BlaBlaCar ha superato i 20 milioni di persone. 350 i dipendenti che lavorano in 13 uffici distribuiti ai quattro angoli del pianeta. Tra i driver più assidui della community italiana spiccano i cosiddetti “pendolari dell’amore”. Come Simone C., 42 anni, che pendola da anni in condivisione tra Modena, dove lavora, e Gualdo Tadino, dove vive la moglie, e non potendo fare a meno dell’auto perché il servizio ferroviario su quella tratta è proibitivo, è un convinto fautore del ride sharing “che rispetto ai viaggi in solitaria vince non solo in socialità ma anche in tutela ambientale, perché riducendo il numero di vetture in circolazione riduce l’inquinamento”. L’importo pagato – anche online – da chi prende il passaggio copre sia le spese di gestione (pari al 12% del costo del passaggio) che trattiene BlaBlaCar, sia il contributo richiesto dal conducente, che BlaBlaCar suggerisce di fissare a 5,5 centesimi a chilometro, per evitare che un servizio basato sullo scambio e sul desiderio di socializzare diventi un’attività profittevole. Con il rischio di generare, tra l’altro, i noti problemi di concorrenza con i tassisti provvisti di costose licenze che stanno ostacolando l’arrivo in Italia di Uber e che a fine gennaio hanno spinto quelli parigini sulle barricate. Molto critica su Uber, che non ritiene assimilabile alla sharing economy, è anche Marta Mainieri, fondatrice del portale Collaboriamo.org: “Bada poco agli interessi degli utenti e punta soprattutto ad arricchire il business della piattaforma, che detiene l’algoritmo e il potere di gestire questi pseudo lavoratori, che non sono né lavoratori autonomi né dipendenti, ma qualcosa di mezzo in balia dell’algoritmo e delle decisioni della piattaforma”.

[…]

Venendo all’Italia, come evidenzia la mappatura 2015 coordinata da Marta Mainieri con il supporto di Phd Italia, da noi sono attive quasi duecento piattaforme medio-piccole distribuite sotto le voci abbigliamento, abitare, alimentare, cultura, formazione, lavoro, scambio di beni di consumo, servizi alle imprese, servizi alle persone, sport, trasporti, turismo. Per più della metà la forma giuridica scelta dai fondatori è la srl, il che rivela, dietro alla vocazione collaborativa, l’orientamento imprenditoriale.

Si scambiano o si cedono abiti usati e libri, si organizzano eventi teatrali e proiezioni di film, addirittura, con la piattaforma Fubles, si formano squadre di calcetto: sono più di 500.000 gli appassionati che ha fatto incontrare sul web, per un totale di circa 160.000 partite giocate. Mentre su TimeRepublik, la banca del tempo digitale per lo scambio di competenze, si possono barattare, per esempio, ripetizioni private per i figli con lavoretti di casa.

Nell’alimentare, accanto a piattaforme collaborative che combattono lo spreco casalingo di alimenti, come S-Cambia Cibo, LastMinuteSottoCasa e I Food Share, altre promuovono il cosiddetto social eating, che al piacere della tavola unisce la voglia di fare nuove conoscenze. È il caso di Gnammo

Continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 9, marzo-aprile 2016