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In questo numero:

Lo specchio dei rifiuti di Antonio Cianciullo
Reinventare il fuoco: da maiali a foche a cura di Emanuele Bompan
Quo vadis sharing economy? di Silvia Zamboni
Il villaggio dei materiali a cura di Marco Moro
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Il villaggio dei materiali
Intervista a Emilio Genovesi
a cura di Marco Moro


Se c’è un luogo dove l’attenzione e la curiosità dei progettisti rischia puntualmente il collasso per eccesso di stimoli, questa è la Design Week di Milano, in programma tra il 12 e il 17 aprile. Affermatasi come principale evento globale per il mondo del design e del progetto in generale, la manifestazione milanese presenta anche quest’anno un programma pressoché sconfinato di eventi, dove migliaia di oggetti (e di idee) vengono simultaneamente proposti in una competizione tra location sempre più distribuite all’interno della città. La ricerca continua di nuovi spazi modifica ogni anno la mappa di questa “metropoli temporanea del design”, ma alcuni punti fermi rimangono, come luoghi di ancoraggio (almeno per qualche ora) sicuri in un paesaggio fluido e mutevole. Tra gli attracchi più solidi c’è da anni Supertudio Più, ed è esattamente qui che Material ConneXion Italia propone un luogo dedicato ai materiali, le sostanze con cui le innumerevoli idee che circolano durante la Design Week vengono realizzate.

Pensato come punto d’incontro e di confronto per (e tra) progettisti, aziende produttrici di materiali e aziende che ne sono potenziali utilizzatrici, l’edizione 2016 di Materials Village si caratterizza anche come luogo dove riflettere sui trend e i fenomeni globali che agiscono sul nostro rapporto con le risorse materiali, focalizzandosi sull’innovazione sostenibile. 

Le parole di Emilio Genovesi, Ceo di Material ConneXion Italia, a proposito di questa scelta sono estremamente chiare: “Il tema della sostenibilità ambientale è diventato così importante da essere quasi imprescindibile in qualsiasi evento in cui si parli di innovazione, in particolare nei materiali. L’innovazione non è più pensabile disgiunta dalla sostenibilità.”

Innovazione che oggi corrisponde anche a indirizzi di politica economica, come avviene per la bioeconomia e l’economia circolare, trend che promettono di incidere fortemente sul rapporto tra attività produttive e risorse e, quindi, anche sulla cultura progettuale. Nella percezione di chi è parte del maggior network internazionale per la ricerca e la consulenza sul tema, questi trend stanno già agendo in modo significativo?
“Diciamo che si tratta di un processo inesorabile, da cui non si torna indietro; e tuttavia è ancora un processo lento. I principi della bioeconomia e dell’economia circolare sono ancora dei desiderata più che delle realtà in grado di incidere significativamente sui processi produttivi. C’è senz’altro un forte sviluppo degli ‘acquisti verdi’, dove però si riscontra ancora una buona dose di incertezza rispetto ai criteri, basti pensare alla pletora di certificazioni ambientali legate all’edilizia, pur con una certa convergenza (a livello internazionale) verso il sistema Leed.
Dall’esperienza della nostra banca dati possiamo dire che sono sempre di più i semilavorati, per esempio tessuti, prodotti seguendo criteri di economia circolare, ma si tratta di singoli materiali, non di oggetti complessi, dove deve invece intervenire una progettazione che tenga conto del fine-vita del prodotto. In questo senso, in Italia, un esempio non nuovissimo ma ancora all’avanguardia è quello di Valcucine.”

Qual è, nella vostra visione, il maggior ostacolo alla diffusione di prodotti realizzati con materie prime seconde o con materie prime rinnovabili?
“Il problema principale è di ordine economico: le materie prime rinnovabili allo stato attuale si trovano schiacciate tra un delta-costo eccessivo e un mercato che non ne riconosce il valore. Anche perché nei periodi di crisi la sostenibilità ambientale è percepita come un lusso, non come una priorità, e così si perdono delle opportunità importanti.
Il petrolio a 30 dollari al barile, per esempio, è un problema per l’affermazione delle materie plastiche di origine vegetale, perché allontana gli investimenti e drena fondi importanti per la ricerca su nuove tecnologie che renderebbero i biopolimeri più competitivi. Insomma, è un circolo vizioso che andrebbe spezzato, magari attraverso un uso più deciso di politiche di incentivo pubblico.”

... Continua a leggere su Materia Rinnovabile n. 9, marzo-aprile 2016