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In questo numero:

Ottimismo, cauta sfiducia o aperta disperazione? di Marco Moro
Il bicchiere è mezzo pieno a cura di Diego Tavazzi
La rivoluzione della bioeconomia a cura di Paola Fraschini
“Un viaggio di mille chilometri inizia con un piccolo passo...” di Diego Tavazzi
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Il bicchiere è mezzo pieno
Intervista a Stefano Caserini
a cura di Diego Tavazzi

In questo articolo parliamo di:

Il clima è (già) cambiato
10 buone notizie sul cambiamento climatico

di Caserini Stefano

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Non passa giorno senza che qualche centro di ricerca ci informi che i cambiamenti climatici stanno avvenendo più velocemente del previsto, che il ghiaccio dell’Artico si sta fondendo a ritmi non previsti o che di questo passo dovremo ingegnarci a mangiare insetti e larve... In realtà, come spiega Stefano Caserini, le buone notizie su quell’argomento “maledettamente serio” che sono i cambiamenti climatici ci sono e sono sempre di più. E proprio da qui si potrebbe e si dovrebbe partire per superare le inerzie e le miopie che ancora condizionano e rallentano le azioni di contrasto al riscaldamento globale. Che è sì un problema colossale, ma è anche un’opportunità straordinaria per individui, città, stato ed entità sovranazionali. E anche questa, in fondo, è una buona notizia.

Puoi raccontarci come mai hai deciso di dedicare un libro alle “buone notizie”?
L’avevo iniziato più di tre anni fa, un po’ per gioco e un po’ per migliorare le risposte da dare, nelle conferenze, alle richieste di dire qualcosa di positivo. Avevo fatto leggere una prima piccola bozza ad alcuni amici di Climalteranti.it, ricevendo molti suggerimenti e qualche critica. L’ho messo da parte per parecchio tempo, l’ho ripreso circa un anno fa e ho iniziato a ragionarci e a raccogliere materiale e altre idee; proprio perché, come ho scritto nell’introduzione, ho iniziato ad avvertire la necessità che nel dibattito sul cambiamento climatico non fossero solo presenti notizie pessime (che, come sappiamo, non mancano...). Perché la spinta per un cambiamento non può derivare solo dal riconoscere una minaccia, un pericolo, ma dal riuscire a scorgere un altro futuro possibile. Alla fine le buone notizie erano molte più di 10, per cui le ho raggruppate in 10 categorie (Rassicurazioni, Conoscenze, Vantaggi, Vittorie, Possibilità, Opportunità, Giustificazioni, Impegni, Segnali, Alternative); ho aggiunto una prima appendice con “101 azioni per aiutare a contrastare i cambiamenti climatici” e in extremis una seconda appendice (scritta con Valentino Piana) per spiegare gli aspetti più importanti dell’Accordo di Parigi.

Ormai segui il dibattito sui cambiamenti climatici da diversi anni, e hai dedicato molte energie a smontare la pseudo-scienza dei negazionisti climatici. Come stanno? Sono ancora molto attivi?
La narrazione del negazionismo climatico si è affievolita parecchio. In campo scientifico gli argomenti negazionisti sul clima non esistevano da anni, le tesi “alternative” sono state massacrate dalle peer review. Sui giornali e le televisioni sono quasi scomparsi; anche sul web sono diminuite molto, sopravvivono in qualche blog ma fanno sempre più fatica, ormai il discorso si è fatto generico e filosofeggiante. Il punto è che hanno finito gli argomenti, hanno raschiato il barile a lungo e ora sono alla fame. L’ultimo argomento-appiglio del negazionismo climatico è stata la presunta pausa del riscaldamento globale, secondo cui la temperatura non stava aumentando dal 1998. Migliaia di articoli e di post per raccontarci il presunto mistero della temperatura che non cresce più, le presunte divisioni fra gli scienziati, il complotto mondiale per non parlare di questo. Poi, come era ovvio che succedesse, nel 2014 è arrivato un record delle temperature globali. Hanno fatto finta di niente, ed è arrivato il record ancora più marcato del 2015. Ora i primi mesi del 2016 hanno temperature ancora più alte, per cui si sono resi conto pur loro di cos’è il riscaldamento globale. Insomma, ormai i negazionisti hanno perso, e l’hanno capito pure loro (certo non proprio tutti). Ma sono in ritirata, una specie in via di estinzione, di cui non sentiremo la mancanza.

Tra le buone notizie che dai nel tuo libro, ce n’è una che ti rende più ottimista?
Scegliere una buona notizia non è facile. Ne cito tre.
Prima, un clima diverso nel negoziato internazionale sui cambiamenti climatici, in cui è palpabile il senso dell’urgenza delle azioni, molto più di quanto sembra se ci si limita a guardare l’arretrato dibattito nazionale su questo tema.
Seconda, le mosse di una parte del mondo della finanza, che ha iniziato a interessarsi e preoccuparsi per la “bolla del carbonio” di cui parlo nel libro; hanno iniziato a capire che con una politica seria sul clima, è necessario lasciare sottoterra tre quarti dei combustibili fossili. Il collasso dell’industria del carbone statunitense negli ultimi mesi è un primo segnale interessante; il rischio della bolla del carbonio è più conosciuto fra i gestori di molti fondi di investimento che fra molti nostri governanti.
Terza, lo sviluppo impetuoso delle energie rinnovabili, che negli ultimi anni è andato al di là delle più ottimistiche previsioni di tutti i centri di ricerca, compresi quelli di matrice ambientalista. L’efficienza è cresciuta in modo notevole e i costi sono diminuiti drasticamente. Se ci fosse un impegno serio in questa direzione, le rinnovabili potrebbero giocare un ruolo chiave nel sistema energetico mondiale in 1 o 2 decenni, non fra 50 o 10 anni.

Come vedi il nostro paese? C’è qualche buona notizia “locale” da dare ai nostri lettori?
Qui si fa più fatica... in Italia si parla poco di cambiamenti climatici: se si eccettua la meritoria trasmissione televisiva di Luca Mercalli, se ne parla solo in occasione dei vertici mondiali. Il tema non è nelle priorità del governo, l’Italia non ha una politica climatica definita e finanziata, ha una strategia energetica vecchia e incompatibile con i numeri dell’Accordo di Parigi. Al vertice del ministero dell’Ambiente ci sono un ministro e due viceministre chiaramente non all’altezza; il ministero dello Sviluppo economico è in mano alle lobby industriali, come raccontano le cronache. Il nostro paese potrebbe fare molto di più. Potrebbe iniziare riducendo i discorsi retorici ed enfatici (tipo quello di Renzi il 22 aprile all’Onu, “se chiudiamo gli occhi possiamo vedere i nostri figli e nipoti” ecc.) e aumentando le azioni concrete, ben strutturate e finanziate. Ci sarebbe tanto da fare, sia sul fronte della mitigazione sia dell’adattamento; ma la narrazione della “volta buona” in campo ambientale per ora rimane una chiacchera, che comincia anche a essere un poco fastidiosa.